
SANTI INNOCENTI MARTIRI
28.12.2014
Matteo 2, 13b-18
Riferimenti : Geremia 31, 15-18. 20 - Salmo
123- Romani 8, 14-21 |
A te levo i miei occhi, a te che abiti nei
cieli. Ecco, come gli occhi dei servi alla mano dei loro
padroni; come gli occhi della schiava, alla mano della sua
padrona, così i nostri occhi sono rivolti al Signore nostro Dio,
finché abbia pietà di noi. |
Geremia 31, 15-18. 20
Così dice
il Signore: «Una voce si ode a Rama, un
lamento e un pianto amaro: Rachele piange i
suoi figli, e non vuole essere consolata per
i suoi figli, perché non sono più». Dice il
Signore: «Trattieni il tuo pianto, i tuoi
occhi dalle lacrime, perché c’è un compenso
alle tue fatiche – oracolo del Signore –:
essi torneranno dal paese nemico. C’è una
speranza per la tua discendenza – oracolo del
Signore –: i tuoi figli ritorneranno nella
loro terra. Ho udito Èfraim che si lamentava:
“Mi hai castigato e io ho subito il castigo
come un torello non domato. Fammi ritornare e
io ritornerò, perché tu sei il Signore, mio
Dio. Non è un figlio carissimo per me Èfraim,
il mio bambino prediletto? Ogni volta che lo
minaccio, me ne ricordo sempre con affetto.
Per questo il mio cuore si commuove per lui e
sento per lui profonda tenerezza». Oracolo
del Signore.
La narrazione della persecuzione di
Gesù bambino comanda la scelta della prima
lettura: Matteo, secondo la prassi che gli è
tipica, introduce, a commento dell'episodio
dei bambini uccisi, un passo di Geremia. Esso
appartiene al mirabile "libretto della
consolazione" dei cc. 30-31 scritto dal
famoso profeta sofferente come segno di
speranza dopo l'oscuro periodo del crollo e
della fine di Giuda e di Gerusalemme. Al
centro dell'oracolo si erge la figura statuaria
di Rachele, la moglie amata di
Giacobbe-Israele: essa era morta dando alla
luce Beniamino, il figlio prediletto di
Giacobbe, sulla strada di Rama (Gen 35,20).
Ora, proprio a Rama erano stati fissati i primi
campi di concentramento per gli esuli, una volta
distrutta Gerusalemme dalle armate babilonesi
(Ger 40,1). In quell'occasione il profeta
immagina che l'ombra di Rachele sia ritornata a
piangere i figli caduti e deportati di
Israele. Il Signore, però, le aveva asciugato
le lacrime facendole balenare un futuro di
speranza, il ritorno delle sue creature
dall'esilio. Il «figlio caro» di Dio, Israele (Efraim),
«giovenca non domata» (Ger 31,18), cioè popolo
ribelle e peccatore, attraverso il crogiolo
dell'esilio babilonese, diventa «giovenca
addestrata» (Os 10,11), cioè ritorna pentito e
ravveduto, certo che le viscere materne di
Dio si sono ancora commosse per lui(Ger
31,20). La storia del ritorno dell'uomo e
dell'attesa amorosa di Dio è la costante
della storia della salvezza e della speranza
biblica. |
Romani 8, 14-21 Fratelli, tutti
quelli che sono guidati dallo Spirito di Dio, questi sono
figli di Dio. E voi non avete ricevuto uno spirito da
schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto lo
Spirito che rende figli adottivi, per mezzo del quale
gridiamo: «Abbà! Padre!». Lo Spirito stesso, insieme al
nostro spirito, attesta che siamo figli di Dio. E se siamo
figli, siamo anche eredi: eredi di Dio, coeredi di Cristo,
se davvero prendiamo parte alle sue sofferenze per
partecipare anche alla sua gloria. Ritengo infatti che le
sofferenze del tempo presente non siano paragonabili alla
gloria futura che sarà rivelata in noi. L’ardente aspettativa
della creazione, infatti, è protesa verso la rivelazione dei
figli di Dio. La creazione infatti è stata sottoposta alla
caducità – non per sua volontà, ma per volontà di colui che
l’ha sottoposta – nella speranza che anche la stessa
creazione sarà liberata dalla schiavitù della corruzione per
entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio.
Noi abbiamo ricevuto da Gesù la garanzia di poter
chiamare Dio “nostro Padre” come Gesù chiamava Dio “Padre
mio” e perciò ci è stato garantito un destino di gloria che è
riservato a tutti i credenti in Lui. Il Figlio di Dio,
attraverso l'esperienza della sua vita umana, a cominciare
dalla sua incarnazione fino alla sua glorificazione, fa
diventare noi figli adottivi di Dio. Così, per questo, noi ci
rivolgiamo a Dio, in compagnia e garantiti da Gesù,
chiamandolo con tenerezza e intimità abbà, «papà» (Le 11,2;
Gal 4,6).Tutto ciò è possibile poiché avviene nella fede e
nella speranza mentre viviamo nella terribile situazione di
violenza e di precarietà ove il male sembra essere dominante
e sembra abbia un largo lasciapassare per cui spadroneggia
sulla vita dei deboli e dei poveri, spesso degli stessi
bambini. Noi non riusciamo a intravedere una muro di difesa
dietro cui difenderci. Tutta la creazione è soggetta al
disfacimento, alla fragilità, alla corruzione; eppure grida
il suo dolore, ma sembra che non sia ascoltata. Il male ed il
peccato la stravolgono e la responsabilità del mondo umano di
salvarla, sostenerla, “custodirla” (Gen2,15) non facilmente è
diventata un comando chiaro e affidabile di cui rendere
conto. Questo si gioca nella dimensione della libertà, ma va
accettata e creduta come possibile. Solo così la forza dello
Spirito smantella ogni paura che nasce dalla schiavitù, fa
scoprire fiducia e tenerezza, la fiducia da parte nostra e la
tenerezza da parte di Dio, che non si cancella. Il nostro
tempo ha la possibilità di migliori chiarezze ma, certamente,
vanno costruite barriere e sviluppate coscienze critiche
collettive difronte ai mali, alle ruberie, alle violenze ed
agli sfruttamenti. È sempre lo Spirito che attesta a ciascuno
di noi che siamo figli e quindici avvia a somigliare a Gesù.
Ma deve sorgere la coscienza di popolo che opera nella
dimensione personale, sociale ed economica e resiste, spinge
a coerenze, denuncia il male, prima di tutto, aiutando
personalmente i deboli ad uscire dalle dipendenze e dalle paure.
Dobbiamo stare attenti allo scoraggiamento, alla pigrizia, alla
non partecipazione, al non voler capire e riflettere, al non
intervenire. Dobbiamo ricordare i tre elementi fondamentali e
diritti inalienabili della “terra, la casa e il lavoro”,
ricordati da papa Francesco nel discorso dei movimenti
popolari, che non vanno dati gratuitamente ma bisogna fare un
grande sforzo collettivo per renderli disponibili ed
accessibili attraverso il lavoro che costituisce la vera dignità
dinamica della persona. Il richiamo al confronto tra la
sofferenza e la gloria permette a Paolo di ricordare che non
sono paragonabili: la sofferenza è breve, la gloria è
grandiosa ed eterna |
Matteo 2, 13b-18
In quel
tempo. un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe e gli disse:
«Alzati,
prendi con te il bambino e sua madre, fuggi in Egitto e resta là finché
non ti avvertirò: Erode infatti vuole cercare il bambino per ucciderlo».
Egli si alzò, nella notte, prese il bambino e sua madre e si rifugiò in
Egitto, dove rimase fino alla morte di Erode, perché si compisse ciò che
era stato detto dal Signore per mezzo del
profeta: Dall’Egitto ho
chiamato mio figlio. Quando Erode si accorse che i Magi si
erano presi
gioco di lui, si infuriò e mandò a uccidere tutti i bambini che
stavano
a Betlemme e in tutto il suo territorio e che avevano da due anni in
giù, secondo il tempo che aveva appreso con esattezza dai Magi. Allora si
compì ciò che era stato detto per mezzo del
profeta Geremia: «Un grido
è stato udito in Rama, un pianto e un lamento
grande: Rachele piange i
suoi figli e non vuole essere consolata, perché non sono
più».
Questa domenica ci fa ripensare a tutte le innumerevoli vittime
innocenti. In particolare i bambini-che ancora oggi insanguinano
le coscienze di tutti. E’ la furia del potere, della ubriacatura della
forza, di chi si sente e vuole fare il padrone degli altri, soprattutto di
chi è più debole, di chi non ha parole, se non la voce del pianto.
Dovremmo riflettere oggi sulla ferocia della violenza, sull’odio che
imperversa sul mondo, sulla responsabilità che interpella tutti.
Responsabilità perché non ci associamo concretamente al lamento
grande e
inconsolabile di Rachele e al grido di dolore e di ribellione
contro
l’ingiustizia e la violenza. Responsabilità perché nell’indifferenza
generalizzata contribuiamo ad elevare questo tasso di odio, che inquina
l’umanità, col nostro placido sentimento religioso, che tutt’al più si
accontenta di fare un’offerta per sentirsi a posto con la propria
coscienza. Potremmo prendere spunto da questa pagina di Vangelo per
esaminarci sulla violenza, anche noi che ci riteniamo miti perché viviamo
per lo più una religione borghese.
Anche noi, invece, siamo violenti,
perché prendiamo le distanze, perché ci limitiamo a rifiutare la violenza
a parole e non prendiamo parte effettiva alle grida, al lamento e al
pianto grande di Rachele. Perché rifiutiamo di essere madre -donne e
uomini- di tutte le nascite e celebriamo un Natale fasullo perché non ci
sporchiamo le mani e non prendiamo posizione. Anche nel nostro piccolo.
|