
ULTIMA DOMENICA DOPO L’EPIFANIA
15/02/2015 Luca. 18, 9-14
Riferimenti : Isaia. 54, 5-10 - Salmo 129 - Paolo ai Romani. 14, 9-13
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Dalla giovinezza molto mi hanno perseguitato, -
lo dica Israele - dalla giovinezza molto mi hanno perseguitato,
ma non hanno prevalso. Sul mio dorso hanno arato gli aratori,
hanno fatto lunghi solchi. Il Signore è giusto: ha spezzato il
giogo degli empi. Siano confusi e volgano le spalle quanti
odiano Sion. Siano come l'erba dei tetti: prima che sia
strappata, dissecca; non se ne riempie la mano il mietitore, né
il grembo chi raccoglie covoni. |
Isaia. 54, 5-10
In quei giorni.
Isaia disse: Tuo sposo è il tuo creatore,
Signore degli eserciti è il suo nome; tuo
redentore è il Santo d’Israele, è chiamato
Dio di tuttala terra. Come una donna
abbandonata e con l’animo afflitto, ti ha
richiamata il Signore. Viene forse ripudiata
la donna sposata in gioventù? – dice il tuo
Dio. Per un breve istante ti ho abbandonata,
ma ti raccoglierò con immenso amore. In un
impeto di collera ti ho nascosto per un poco
il mio volto; ma con affetto perenne ho avuto
pietà dite, dice il tuo redentore, il
Signore. Ora è per me come ai giorni di Noè,
quando giurai che non avrei più riversato le
acque di Noè sulla terra; così ora giuro di
non più adirarmi con te e di non più
minacciarti. Anche se i monti si spostassero
e i colli vacillassero, non si allontanerebbe
da te il mio affetto, né vacillerebbe la mia
alleanza di pace, dice il Signore che ti usa
misericordia.
L’autore anonimo del capitolo 54 (che gli
studiosi si sono accordati di chiamare il
“Secondo Isaia”) intravede già la fine
dell’esilio di Babilonia (siamo nel VI a.C) e
descrive la nuova Gerusalemme come la città
bella e liberata. Vi si legge una profonda
gioia ed entusiasmo poiché ormai la nuova
Gerusalemme è risorta. La prima immagine è
l’apparire di tanti figli che si credevano
perduti: “Perché più numerosi sono i figli
dell’abbandonata che i figli della maritata,
dice il Signore.” (54,1) E il richiamo della
grandezza si ritrova con l’immagine bellissima
della tenda dei nomadi che deve diventare più
spaziosa: “Allarga lo spazio della tua tenda,
stendi i teli della tua dimora senza
risparmio,.. e la tua discendenza possederà le
nazioni, popolerà le città un tempo deserte.”
(54,2-3). Si risentono i grandi, terribili
ricordi della schiavitù in Egitto
(“Dimenticherai la vergogna della tua
giovinezza”) e dell’esilio (“e non ricorderai
più il disonore della tua vedovanza” (v4). Si
ritrovano le espressioni di un amore grande (la
donna sposata in gioventù) che è la sposa
scelta e amata nella novità della esperienza
amorosa. Amore del Creatore ed amore eterno.
Come garanzia, Dio dice e svela i suoi tanti
nomi: "Il tuo Creatore, il Signore degli
eserciti, il Redentore, Santo di Israele, Dio di
tutta la terra, ma soprattutto Sposo" (54,5).
Vengono date garanzie, riprese dai grandi
avvenimenti della storia del mondo,
ritornando fin alle promesse fatte a Noè dopo il
diluvio (54,9).Attraverso l’esperienza di
Gesù, noi possiamo verificare che l’amore di Dio
oltrepassa ogni immaginazione, e il perdono
del Signore raggiunge ogni persona che si
rivolga a Lui con fiducia. Gesù, per l’amore
che porta, “si svuota della sua divinità,
assumendo una condizione di servo” (Fil 2,7).
Questa garanzia, che il profeta allinea negli
avvenimenti della storia come garanzia
illimitata, ha incoraggiato il popolo alla
fedeltà dei gesti e delle scelte, ma si è
giocata su una reciprocità impossibile:
all’essere amati da Dio si è risposto garantendo
l’obbedienza della legge da conservare e
custodire. Ma l’amore di Dio non vuole
l’ossessione della legge ma lo spirito di
amore e di misericordia che si allarga verso
tutti, con pazienza e con delicatezza.
«Andate a imparare che cosa vuol dire:
Misericordia io voglio e non sacrifici. Io
non sono venuto infatti a chiamare i giusti, ma
i peccatori» (Mt9,13). |
Paolo ai Romani. 14, 9-13
Fratelli, Per questo infatti Cristo è morto ed è ritornato
alla vita: per essere il Signore dei morti e dei vivi. Ma tu,
perché giudichi il tuo fratello? E tu, perché disprezzi il
tuo fratello? Tutti infatti ci presenteremo al tribunale di
Dio, perché sta scritto: Io vivo, dice il Signore: ogni
ginocchio si piegherà davanti a me e ogni lingua renderà
gloria a Dio. Quindi ciascuno di noi renderà conto di se
stesso a Dio. 13D’orain poi non giudichiamoci più gli uni
gli altri; piuttosto fate in modo di non essere causa di
inciampo odi scandalo per il fratello. Paolo, nella conclusione della lettera ai
Romani, sta richiamando il significato dell’esistenza: tutto
è sottomesso e appartenente a Cristo. Sia la vita che la morte
sono al servizio di Cristo e da Lui questa padronanza è stata
conquistata con il suo sacrificio (2Cor 5.14ss; Fil 2,9 ss).
La vita cristiana non consiste nel giudicare qualcuno per ciò
che fare per i meriti che ha acquistato, ma nell’impegnarsi
nella carità. Nella Comunità di Paolo sono sorte
problematiche per comportamenti alimentari particolari. Ci
sono infatti cristiani dalla fede poco illuminata e quindi senza
convinzioni abbastanza solide: ritengono che in certi giorni,
o magari sempre, si debbano astenere dalle carni o dal vino.
Queste pratiche ascetiche sono già note ad alcune correnti
filosofiche pagane (i pitagorici) e nel mondo giudaico (gli
esseni, Giovanni Battista).Paolo dice che bisogna agire
secondo coscienza per il Signore. Ma tutto questo fa sorgere
discussioni, malumori, giudizi e discussioni senza soluzioni. Ci
sono delle persone forti che, con molta lucidità e sicurezza,
affermano che queste regole vanno superate. Ci sono invece
altri che si preoccupano di quello che mangiano e di quello che
bevono secondo criteri che deducono dal loro mondo religioso.
Solo il Signore giudica e noi non dobbiamo entrare a
giudicare, forti delle nostre sicurezze. Dobbiamo invece
rispettare e valorizzare le persone, aiutando, magari, via
via , a ripensare ed ad approfondire. In conclusione, nessuno
giudichi gli altri e non sia di scandalo o di inciampo. Anzi, se
agli occhi dell’altro ci si rende conto che il nostro
mangiare o bere qualche cosa viene considerato non corretto,
e quindi suscita disagio, per amore dell’altro “astieniti, per
non disorientarlo”. La carità, allora, sta nel non
scandalizzare; e, insieme, vanno trovate strade che rimettano
nella ricerca della volontà di Dio. Si suggerisce, in tal
modo, un’attenzione che nasce dalla carità e quindi dalla fede
che decide, in libertà, di sostenere la fragilità dell’altro.
Seguendo il sacrificio di Gesù, la vita cristiana consiste
nel non giudicare, ma nello sviluppare una carità reciproca di
attenzione e di accoglienza. Né il debole può giudicare e
condannare il forte né la persona forte può disprezzare il
debole. Solo Gesù è il giudice supremo. Solo Lui può esaminarci
nell'ultimo giudizio e solo Lui è capace di saper analizzare
la nostra fede e i nostri errori. L'apostolo sottolinea il
principio della sottomissione dell'appartenenza a Cristo.
"Nessuno di noi vive per se stesso e nessuno di noi muore per
se stesso; se viviamo, viviamo per il Signore; se moriamo,
moriamo per il Signore" (14,7). Paolo ricorda che siamo del
Signore e che Gesù morì e risuscitò per noi. Ci ha
riscattati, ci ha comperato con il suo sangue e questa
padronanza, che Egli ha conquistato, ci porta al suo stesso
criterio di attenzione e di amore. I drammi, sorti a Parigi
in queste ultime settimane per le pagine satiriche di un
giornale, hanno provocato tragedie e morti. Papa Francesco ha
ricordato che uccidere in nome di Dio è sacrilegio. E
tuttavia l’amore e l’attenzione all’altro devono farlo
rispettare anche nella sua fragilità, senza offendere i suoi
valori (e la religione può essere un grande valore per chi
crede) mentre vengono difese, con chiarezza e coraggio, la vita
ed i valori della vita. Si giocano in grande la nostra vita e
la nostra libertà nel rispettare l’altro. Il Signore
desidera, nella comunità cristiana, un clima capace di
accoglienza, di fiducia reciproca, di rispetto. E se questo
vale nei riguardi della fede, vanno allargate l’attenzione e
la responsabilità sulle culture di altri gruppi e di altri
popoli. C’è una grande revisione da fare anche nei nostri
criteri di valutazione di civiltà. Come occidentali, abbiamo
separato natura e cultura, anima e corpo, umani e animali,
coloro che sanno e coloro che credono. Così, per oltre
quattro secoli, abbiamo creduto che il nostro mondo, la
nostra conoscenza e il nostro modo di vivere fossero superiori
agli altri e che tutti, prima o poi, sarebbero diventati come
noi. Si sono registrati la spoliazione e il sistematico
sterminio delle “culture altre”, extra occidentali o interne ai
nostri confini: dagli indigeni alle streghe, dai pogrom
contro i migranti agli ebrei dell’Europa nazista, dalla
schiavitù coloniale alle civiltà contadine. Oggi l’egemonia
occidentale non persuade più nessuno: nemmeno gli occidentali.
C’è voluto più di un secolo per capire che il mondo, che
avevamo costruito, non era né il migliore, né il solo
possibile. Sono possibili altri mondi? Nel frattempo ci siamo
barricati nell’orizzonte soffocante del capitalismo,
rassegnati ad accettare molti drammi e troppe sudditanze.
Dobbiamo tornare all’idea di inventare “qualcosa di meglio per
tutti”. I santi, aiutati da Gesù, ci hanno aperto orizzonti
nuovi. Gandhi in India e Mandela in Sudafrica hanno aperto ai
loro popoli il cammino della pace, percorrendo, a volte senza
saperlo, l’itinerario di Gesù. |
Luca. 18, 9-14
In quel tempo.
Il Signore Gesù disse ancora questa parabola per alcuni che
avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli
altri: «Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo
e
l’altro pubblicano. Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra
sé:
“O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri,
ingiusti, adulteri, e neppure come questo pubblicano. Digiuno due
volte
alla settimana e pago le decime di tutto quello che
possiedo”. Il
pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava
nemmeno alzare gli
occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: “O
Dio, abbi pietà di
me peccatore”. Io vi dico: questi, a differenza dell’altro, tornò a casa
sua giustificato, perché chiunque si
esalta sarà umiliato, chi invece
si umilia sarà esaltato».
Com’è facile
disprezzare gli altri e ritenere di essere nella verità e nel giusto! Com’è
facile riempirsi di sé e giustificarsi in ogni occasione! Com’è gratificante
credere di essere nell’area di pensiero e di religione che detiene la
verità! Che sollievo di coscienza poter dire e mostrare di aver osservato
i doveri religiosi e di non aver niente a che fare con gli “altri uomini,
ladri, ingiusti, adulteri, e “pubblicani”, cioè compromessi con il potere
dominante, il denaro, l’ingiustizia, i piaceri! Se riflettiamo
onestamente, non siamo anche noi pronti a disprezzare gli altri, a
diffidarne, ad escluderli dal proprio perimetro, a condannarli? E siamo
anche pronti a ridurre una quantità di giustificazioni del nostro
comportamento nei confronti, ad esempio, di immigrati, clandestini,
zingari, musulmani, drogati, ma anche solo di chi non la pensa come noi.
Soprattutto se ci disturbano nelle nostre sicurezze e nel nostro quieto
vivere, senza contare né pensare che siamo tutti solidali nel bene come
nel male; e che se il male prospera e dilaga, dipende anche dal bene che
non pratichiamo noi. Il Vangelo di questa domenica ci fa ripensare al
nostro atteggiamento verso gli altri, i diversi da te. Certo, in teoria,
si fanno tanti bei discorsi sul dialogo, sulla comunicazione, sulla
collaborazione; ma in pratica? Ma che rapporto abbiamo verso chi prega nel
tuo stesso tempio? o verso chi attraversa la strada, senza che tu glielo
consenta? Il povero pubblicano non osa nemmeno alzare gli occhi al cielo e
si prostra davanti a Dio in tutta la sua piccolezza e la sua incapacità di
essere all’altezza della sua dignità di uomo e di figlio
di Dio
L’episodio ci fa riflettere anche su chi è il peccatore: è colui che rifiuta
su di sé lo sguardo di Dio che invece è pronto ad accogliere chi non
presume su di sé e non giudicagli altri. È colui che in fondo al cuore ha
intuito la misericordia di Dio che sa scovare, pure in scelte sbagliate,
la possibilità di ripresa e di speranza su un’altra dimensione di
vita.
Purché, appunto, non ci si schermi con il paravento della presunzione e del
vanto, nella consapevolezza di un sé ingigantito e mascherato e
nell’ottica dello scarto degli altri per attirare l’attenzione - anche
quella di Dio - solo su di sé.
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