Sapienza 19, 6
Tutto il creato fu modellato di
nuovo nella propria natura come prima, obbedendo ai tuoi
comandi, perché i tuoi figli fossero preservati sani e salvi.
Si vide la nube coprire d’ombra l’accampamento, terra
asciutta emergere dove prima c’era acqua: il Mar Rosso
divenne una strada senza ostacoli e flutti violenti una
pianura piena d’erba; coloro chela tua mano proteggeva
passarono con tutto il popolo, contemplando meravigliosi
prodigi. Furono condotti al pascolo come cavalli e
saltellarono come agnelli esultanti, celebrando te, Signore,
che li avevi liberati.
Durante la dominazione greca sulla Palestina (attorno al secolo
II/I a.C.), mentre la diffusione della cultura ellenista si
scontrava fortemente con la riflessione ebraica sulla legge,
i giudei, egiziani di Alessandria, ebbero la fortuna di avere
tra loro l’autore di questo libro, che ha come titolo “la
sapienza”, presentato come opera di Salomone. In realtà fu
scritto da un grande, ma per noi anonimo maestro ebreo di questa
città. Egli si costituì subito come custode della legge,
carica della sapienza di Dio, in un contesto culturale
raffinato: ad Alessandria era stata tradotta la Scrittura
dall’ebraico in greco, consegnando al mondo la Bibbia detta
“dei 70”. Il libro della Sapienza fu accolto con favore dalla
prima comunità cristiana perché segnava come i1 ponte degli
scritti tra il Primo e il Secondo Testamento, mentre, per la
sua originaria scrittura greca, non fu riconosciuto dal mondo
ebraico come libro canonico quando fu deciso, attorno agli
anni 90 d.C., quali libri scegliere come garantiti da Dio e
quali libri fossero da considerarsi opere totalmente umane.
Verso la fine del libro della Sapienza, all’interno di una
riflessione sulla creazione di Dio, l’autore biblico ricorda
che l’opera del Signore, all’inizio, destinata a tutta
l’umanità, da secoli si era mostrata pronta alla salvezza di
Israele. Gli avvenimenti, infatti, si verificarono nel libro
dell’Esodo, meravigliosi e sconcertanti, duri verso gli
egiziani e segni di misericordia e di aiuto per il popolo
schiavo in fuga. “Tutta la creazione assumeva, daccapo, una
nuova forma perché tutti i tuoi figli fossero preservati sani
e salvi” (v 6). Il cono d’ombra della nube portava refrigerio
sull’accampamento, e il sole asciugava l’erba. La nube
rappresentava la presenza di Dio in mezzo al suo popolo e il
verbo “coprire d’ombra, dove prima c’era acqua”, ricorda
l’espressione della Genesi (1,2) quando lo Spirito di Dio
aleggiava sulle acque; così viene detto che Dio fu nuovamente
all’opera nella sua potenza creatrice quando il Signore aprì
la strada nel mar Rosso e l’immagine della pianura verdeggiante
rievocava il testo della Genesi (1,11-13). Il ricordo storico
della liberazione si fa inno e preghiera, riconducendo alla
memoria delle nuove generazioni il cantico di Mosé e della
libertà dalla schiavitù (Es 15). Il richiamo dei cavalli
probabilmente ricorda la sconfitta della cavalleria egiziana,
e gli agnelli esultanti si rifanno all’immagine del salmo
114: “i monti saltellarono come arieti e le colline come agnelli
di un gregge” (v4). Ma il testo fa pensare anche alla danza
di Maria e delle donne vicino al mare (Es15,20). Il mondo
viene paragonato al cosmo dell’inizio, vera novità e dono
gratuito di Dio, vera offerta gioiosa e generosa. E’ un
paradigma che ci aiuta a capire che gl’interventi di Dio nel
mondo hanno la stessa pienezza e giocondità
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S. Paolo ai Romani 8, 28-32
Fratelli, noi
sappiamo che tutto concorre al bene, per quelli che amano
Dio, per coloro che sono stati chiamati secondo il suo
disegno. Poiché quelli che egli da sempre ha conosciuto, li
ha anche predestinati a essere conformi all’immagine del
Figlio suo, perché egli sia il primo genito tra molti
fratelli; quelli poi che ha predestinato, li ha anche
chiamati; quelli che ha chiamato, li ha anche giustificati;
quelli che ha giustificato, li ha anche glorificati. Che
diremo dunque di queste cose? Se Dio è per noi, chi sarà
contro di noi? Egli, che non ha risparmiato il proprio
Figlio, ma lo ha consegnato per tutti noi, non ci donerà
forse ogni cosa insieme a lui? Il testo della “Lettera ai romani”, proposto
con lucidità e con convinzione da Paolo, apostolo scelto da
Gesù dopo la sua risurrezione, sviluppa la consapevolezza di ciò
che noi, credenti, abbiamo ricevuto da Dio: la nostra vita
viene abitata dallo Spirito e quindi siamo incoraggiati a
camminare "non secondo la carne ma secondo lo Spirito". I
versetti immediatamente precedenti (vv 26- 27) ricordano
“l’aiuto che lo Spirito dà alla nostra debolezza”. L’aiuto
consiste nel “ suo pregare in modo conveniente. E’ lo stesso
Spirito che intercede con gemiti inesprimibili. Questa presenza,
riconosciuta dal Padre, fa realizzare il suo piano di
salvezza e di novità in noi che pure viviamo nella debolezza
e nella corruzione della creazione. Il piano di Dio fa sì che
tutto concorra al nostro bene e questo è il progetto di Dio da
tutta l’eternità: Egli ci ha pensato come figli, ci ha voluti,
ha creato per noi e desidera attuare passo passo questo
enorme progetto divino attraverso la nostra disponibilità:
piano di Dio su di noi sì che tutto concorra al nostro bene.
Egli ci conosce da tutta l’eternità e la sua opera è
infallibile. La sua “conoscenza” non è solo intellettuale,
obiettiva, come quella che abbiamo noi verso gli altri ma,
secondo il significato ebraico, è amore di comunione, scelta,
elezione. L’amore di Dio precede il nostro amore, in Lui c’è
il fondamento del nostro essere poiché ci stabilizza, ci apre
ad un cammino di collaborazione.. È la sua “predestinazione” a
riprodurre nella nostra vita l’immagine del Figlio suo”. Così
coloro che accettano la fedeltà a lui e la sua conoscenza
vengono “chiamati, giustificati, glorificati”. Per questo
possiamo sentirci fiduciosi poiché il Padre ha persino
offerto suo Figlio e non lo ha risparmiato a nostra garanzia.
Il messaggio, che perciò Gesù ci offre, è quello della sua
accoglienza per ogni uomo. Ma può sembrare strano e
sconcertante, tanto più che verifichiamo nel mondo, a parte
la fragilità e la debolezza, anche in noi, la presenza vera
della crudeltà, l’irresponsabilità, la volontà di
prevaricazione e il gusto della corruzione. Eppure a noi il
Signore affida questo messaggio. E questo compito ci lascia
stupiti e tuttavia sappiamo che è vero, garanzia per noi e
garanzia per l’altro, anche se l’altro non crede. A questo
punto, però, sentiamo di dover essere portatori di speranza e di
fiducia per tutti, per noi e per gli altri; e non dobbiamo
avere paura. Egli si offre per appoggiarci alla sua forza e a
saper vedere il mondo con occhi più maturi, più profondi, più
chiari, più aperti al mistero della presenza di Dio e del suo
Spirito. Quando celebriamo, c’è una parte di popolo con noi e
davanti a noi. E sappiamo che proprio a quel popolo il
Signore invia questa garanzia e questa forza. Ma chiede anche
di non camminare in paura di chi vuole intimidirci, di non
nasconderci, di sentirci fiduciosi, nell’accettare di vedere
il bisogno e la sofferenza degli altri, di saper essere
amici, Ma ci invita anche a non giudicare, a non ritenere gli
altri delle persone perdute, a saper ricostruire la
possibilità di un cammino anche per loro, certo, se lo
desiderano, se lo sanno accettare. Altrimenti resta
sempre, nel nostro cuore, la preghiera per l’altro perché si
apra, perché scopra l’attenzione e la vocazione che il
Signore ha per tutti e quindi ciascuno di noi: lui e lei,
conosciuti e sconosciuti, buoni e cattivi, e non solo per i suoi
credenti. Infatti è lo Spirito stesso che "intercede con
insistenza per noi tutti con gemiti inesprimibili"(8, 26). |