 I domenica di Quaresima
22/02/2015 Matteo 4, 1-11.
Riferimenti : Isaia. 57, 15 - 58, 4a 2 - Salmo 50 - Corinzi. 4, 16b - 5, 9
|
Parla il Signore, Dio degli dei, convoca la
terra da oriente a occidente. Da Sion, splendore di bellezza,
Dio rifulge. Viene il nostro Dio e non sta in silenzio; davanti
a lui un fuoco divorante, intorno a lui si scatena la tempesta.
Convoca il cielo dall'alto e la terra al giudizio del suo
popolo: "Davanti a me riunite i miei fedeli, che hanno sancito
con me l'alleanza offrendo un sacrificio". Il cielo annunzi la
sua giustizia, Dio è il giudice. |
Isaia. 57, 15 - 58, 4a
In quei
giorni. Disse Isaia: ”Così parla l’Alto e
l’Eccelso, che ha una sede eterna e il cui
nome è santo. «In un luogo eccelso e santo io
dimoro, ma sono anche con gli oppressi e gli
umiliati, per ravvivare lo spirito degli
umili e rianimare il cuore degli oppressi.
Poiché io non voglio contendere sempre né per
sempre essere adirato; altrimenti davanti a
me verrebbe meno lo spirito e il soffio
vitale che ho creato. Per l’iniquità della sua
avarizia mi sono adirato, l’ho percosso, mi
sono nascosto e sdegnato; eppure egli,
voltandosi, se n’è andato per le strade del
suo cuore. Ho visto le sue vie, ma voglio
sanarlo, guidarlo e offrirgli consolazioni. E
ai suoi afflitti io pongo sulle labbra:
“Pace, pace ai lontani e ai vicini – dice il
Signore – e io li guarirò”». I malvagi sono
come un mare agitato, che non può calmarsi e
le cui acque portano su melma e fango. «Non
c’è pace per i malvagi», dice il mio Dio.
Grida a squarciagola, non avere riguardo;
alza la voce come il corno, dichiara al mio
popolo i suoi delitti, alla casa di Giacobbe
i suoi peccati. Mi cercano ogni giorno,
bramano di conoscere le mie vie, come un
popolo che pratichi la giustizia e non abbia
abbandonato il diritto del suo Dio; mi
chiedono giudizi giusti, bramano la vicinanza
di Dio: «Perché digiunare, se tu non lo vedi,
mortificarci, se tu non lo sai?». Ecco, nel
giorno del vostro digiuno curate i vostri
affari, angariate tutti i vostri operai.
Ecco, voi digiunate fra litigi e alterchi”.
Il profeta Isaia (gli
studiosi considerano questo testo scritto dal "
Terzo Isaia ") vive nel periodo del ritorno
da Babilonia (ha scritto i capitoli 56-66) nel
VI secolo a.C., durante il periodo della
ricostruzione di Gerusalemme. In questo tempo ci
sono difficoltà per il tempio (66,1); la
comunità è rientrata, ma in preda alla
sfiducia e alle lotte intestine (66,5), ha
difficoltà di ordine morale e religioso
(55,9-11; 60,20). Vi sono Giudei che praticano
l’idolatria (57,7-8; 65,3. 11) ed i capi del
popolo sono inetti ed indifferenti. Il
profeta garantisce la grandezza di Dio
inarrivabile (trascendenza), insieme con la sua
vicinanza, poiché Egli cura le persone umili
e povere (v 15). E se mostra severità contro i
comportamenti malvagi, tuttavia sa mostrare
misericordia perché altrimenti “davanti a me
verrebbe meno lo spirito e il soffio vitale
che ho creato” (v 16). E se il Signore reagisce
abbandonando, per un tempo, coloro che
falliscono, tuttavia Egli ama e garantisce che
“guarirà, guiderà, concederà il conforto a chi
sbaglia” (v 18).Il rapporto con Dio si gioca
sempre sulla libertà di Dio e dell’uomo: al
centro c’è la legge che è la volontà di Dio
in rapporto alla ubbidienza del suo popolo alle
scelte morali. Agli occhi di Dio sono chiari
i sentimenti di ciascuno, le sue vie, le sue
afflizioni. Il testo fa riferimento non solo
agli esuli ritornati, ma anche a coloro che
restano dispersi nelle terre del mondo antico e
quindi non possono tornare a Gerusalemme.
Tuttavia il Signore provvede a tutti ed è
misericordioso con tutti. Ma a Gerusalemme
continuano ad esserci ancora anche degli empi
che risiedono nella comunità dei salvati e
che si comportano come il mare agitato che
sconvolge il vivere del popolo. Imbrattano il
mondo spargendo fango e detriti ovunque.
Sembrano ricordi di una alluvione che si è
sviluppata anche allora in tempi di calamità.
Ma il conflitto sulla legge morale, che Dio
verifica, necessita di una mediazione per la
giustizia e il comportamento irresponsabile
del popolo. Perciò Dio ha bisogno di un profeta.
Il Signore ha fiducia di lui e lo impegna
perché si faccia udire con la parola gridata
senza timore: “Grida a squarciagola ,non
avere riguardo; alza la voce come il corno,
dichiara al mio popolo i suoi delitti, alla casa
di Giacobbe i suoi peccati” (58,1).È
necessario che qualcuno non abbia timore di
parlare e che si rivolga a tutti per chiarire:
deve essere una parola che tocchi il cuore di
ciascuno. In fondo il Signore si fida nella
intelligenza di ciascuno, dei sentimenti,
della volontà di comprensione e, aiutato dalla
forza e dalla coerenza del profeta, mette in
chiaro il vero significato e la vera sostanza
del culto e del rapporto dei suoi fedeli con
Lui. Inizia qui uno splendido testo di
chiarimento di cui leggiamo solo l’inizio. Che
cosa significa davvero il digiuno e in quali
rapporti si pone, rispetto all’amore ed alla
fiducia con Dio? Equale rapporto della fede
con il digiuno, col fare penitenza, con la
preghiera e la supplica in confronto al
prossimo? E quale rifiuto provoca la
prevaricazione che causa schiavitù? E quanto ci
si deve sentire coinvolti, in un mondo, da
Dio dato a tutti, dove ci siano, invece, persone
senza casa, senza libertà, senza pane, senza
vestito? Il Signore sottolinea fortemente che il
vero digiuno e il vero modo per essere
gradito a Lui sono questi impegni di rapporto
sociale: "Libera dall'oppressione ,sciogli le
catene inique, togli i legami del giogo, rimanda
liberi gli oppressi, spezza ogni giogo"
(58,7-10). L’atteggiamento di autosufficienza
che non vuol condividere con altri che sono
poveri, l’individualismo, l’abbandono delle
responsabilità sociali, il rifiuto del bene
comune e quindi della politica che
ridistribuisce secondo il bisogno, la
responsabilità che ognuno abbia competenze e si
rispetti il diritto al lavoro, un salario minimo
garantito sapendo ridimensionare gli stipendi e
le pensioni troppo alte, tutto questo fa
parte di responsabilità che toccano l’orizzonte
della giustizia. Noi riduciamo il tutto in
elemosina e in volontariato, sempre necessari in
molti casi ma non sufficienti. Problemi del
genere sono politici, cioè problemi che
interessano tutta la comunità civile, sono
bene comune, legati alla responsabilità di
tutti, ai diritti dell’uomo che l’ONU ha
proclamato nel 1948, alla fine della
terribile II guerra mondiale, come antidoto
contro la tragedia della distruzione
dell’umanità. Ma giustizia suppone il
superare l’idea della elemosina che deve restare
a livelli eccezionali. La giustizia deve e
vuole rintracciare meccanismi legislativi che
permettano di raggiungere obiettivi utili
alle persone in difficoltà, ciascuno con le
capacità e l’operosità di cui è capace. La
preghiera deve darci la forza di chiedere lo
Spirito del Signore che ama ogni persona, per
rendere il nostro mondo più giusto. |
2 Corinzi. 4, 16b - 5, 9 Fratelli, anche il nostro uomo esteriore si va disfacendo,
quello interiore invece si rinnova di giorno in giorno.
Infatti il momentaneo, leggero peso della nostra
tribolazione ci procura una quantità smisurata ed eterna di
gloria: noi non fissiamo lo sguardo sulle cose visibili,
ma su quelle invisibili, perché le cose visibili sono di un
momento, quelle invisibili invece sono eterne. Sappiamo
infatti che, quando sarà distrutta la nostra dimora terrena,
che è come una tenda, riceveremo da Dio un’abitazione, una
dimora non costruita da mani d’uomo, eterna, nei cieli.
Perciò, in questa condizione, noi gemiamo e desideriamo
rivestirci della nostra abitazione celeste purché siamo
trovati vestiti, non nudi. In realtà quanti siamo in questa
tenda sospiriamo come sotto un peso, perché non vogliamo
essere spogliati ma rivestiti, affinché ciò che è mortale
venga assorbito dalla vita. E chi ci ha fatti proprio per questo
è Dio, che ci ha dato la caparra dello Spirito. Dunque,
sempre pieni di fiducia e sapendo che siamo in esilio lontano
dal Signore finché abitiamo nel corpo – camminiamo infatti
nella fede e non nella visione –, siamo pieni di fiducia e
preferiamo andare in esilio dal corpo e abitare presso il
Signore. Perciò, sia abitando nel corpo sia andando in
esilio, ci sforziamo di essere a lui graditi”. Paolo si sente sfiduciato perché, attorno
a lui, sorgono persone che equivocando il messaggio che egli
porta, provocano tensioni e discordie. Così viene deformato il
Vangelo di Gesù e, nello stesso tempo, vengono messe in
cattiva luce la sua persona e la sua opera di apostolo. D’altra
parte Paolo, che incomincia ad accusare un suo indebolimento
fisico, sa confrontare la tribolazione di un “momentaneo peso
leggero nella vita di quaggiù” con la crescita del vigore di un
uomo che rinasce alla gloria futura, smisurata ed eterna,
quale Dio offre a coloro che lo accolgono. Così le cose
visibili sono di un momento, egli dice; se si paragonano a
quelle invisibili, queste sono eterne. Paolo non disprezza la
realtà di questo mondo e non indirizza al disimpegno e al
disinteresse della realtà quotidiana. Invita, invece, a dare
il giusto valore alla propria operosità. I beni materiali non
possono in alcun modo trasformarsi in idoli né diventare fine
ultimo dell’esistenza. Le cose materiali servono per vivere,
non debbono diventare lo scopo fondamentale della vita umana.
Perciò è saggio colui che vive questa vita come preparazione
alla nascita di una nuova e definitiva realtà. Infatti egli
crede che riceveremo, in cambio dell’abitazione della terra,
una dimora eterna nei cieli. Paolo esprime la certezza della
fede in ciò che sta vivendo: il corpo è paragonato ad una tenda
dei beduini che la montano e la smontano con rapidità,
contrapposta alla casa eterna dei cieli cioè la dimora presso
Dio dopo quest’esistenza terrena. Paolo richiama le due
condizioni umane rispetto al mostrarsi del corpo. Con il
nostro corpo possiamo mostrarci vestiti o nudi. Essere vestiti
significa presentarci nello splendore di buone opere che ci
abbelliscono come uno splendente vestito: splendidi perché
rivestiti della dignità di figli di Dio che operano secondo la
volontà di Dio. Essere nudi equivale ad un presentarci
davanti a Dio a mani vuote, e quindi pieni di rossore, nella
condizione dello schiavo che non ha una sua dignità (spesso gli
schiavi venivano venduti nudi come animali). Dio ci ha fatti
per la grandezza, per la trasformazione nella gloria, avendoci
dato la caparra dello Spirito (v 5). Così lo Spirito Santo è
la radice e l’ inizio della realtà nuova. Si ritorna allo
splendore della creazione, quando lo Spirito di Dio è il soffio
della vita, offerto all’umanità, ma è anche lo Spirito che
aleggia sul mondo ed è, anche, lo Spirito di Dio nella pienezza
dell’amore di Gesù che ci viene inviato come riconoscimento
della ubbidienza e della disponibilità a seguire la Parola
del Figlio .Infine vengono usate due immagini: quella della
patria e quella del cammino. Abbiamo come termine finale una
patria che ci fa uscire dall’esilio ed abbiamo un cammino di
fede che ci porta alla visione. Paolo sente fortemente il
desiderio di poter incontrare il Signore e tuttavia si pone a
disposizione della volontà di Dio, mantenendo il suo compito di
apostolo in questa vita. Importante è restare sempre a
disposizione di Dio, sia nella dimora del corpo e sia esulando
da esso, per essere nella pienezza della gloria con Dio.
Davvero Paolo ha imparato in pienezza il messaggio di Gesù. |
Al monastero della Tentazione
 |
 |
Perché le tentazioni avvennero nel deserto? In Gesù rivive tutta
la storia del popolo di Israele, che una volta liberato dalla terra
della schiavitù, dall’Egitto, nel deserto viene messo alla prova da
Dio per vederne la capacità di rimanere fedele all’alleanza.
Monte della quarantena deserto di Giuda
|
Matteo 4, 1-11.
In quel
tempo. Il Signore Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto, per essere
tentato dal diavolo. Dopo aver digiunato quaranta
giorni e quaranta
notti, alla fine ebbe fame. Il tentatore gli si avvicinò e gli
disse:
«Se tu sei Figlio di Dio, di’ che queste pietre diventino pane». Ma egli
rispose: «Sta scritto: «Non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola
che esce dalla bocca di Dio». Allora il diavolo lo
portò nella città
santa, lo pose sul punto più alto del tempio e gli disse: «Se tu sei
Figlio di Dio, gettati giù; sta scritto infatti: «Ai suoi angeli darà
ordini a tuo riguardo ed essi ti porteranno sulle loro
mani perché il
tuo piede non inciampi in una pietra». Gesù gli rispose: «Sta
scritto
anche: «Non metterai alla prova il Signore Dio tuo». Di nuovo il diavolo
lo portò sopra un monte altissimo e gli
mostrò tutti i regni del mondo
e la loro gloria e gli disse: «Tutte queste cose io
ti darò se,
gettandoti ai miei piedi, mi adorerai». Allora Gesù gli rispose:
«Vattene, Satana! Sta scritto infatti: «Il Signore, Dio tuo, adorerai: a
lui solo renderai culto». Allora il diavolo lo
lasciò, ed ecco, degli
angeli gli si avvicinarono e lo servivano. Il vangelo delle tentazioni di Gesù mi richiama la preghiera che
Lui ci ha insegnato - il Padre nostro là
dove ci fa chiedere al Padre di
non indurci in tentazione o, meglio, secondo una traduzione più
esatta, di
non esporci alla tentazione, di non lasciarci troppo a lungo nella
tentazione. Anche il termine 'tentazione', così radicato nella recita
abitudinaria e tradizionale di questa preghiera, evocatrice soprattutto di
'tentazioni' legate ai VI comandamento nella versione dei catechismi di una
volta, non è esatto, perché il testo greco ha la parola "peirasmòs", che più
propriamente significa 'prova', 'lotta', 'sfida'.
E si tratta di
'prove' che riguardano il senso da dare alla propria vita e alla propria
missione in essa, la prospettiva, l'orientamento. Non a caso la
'tentazione/prova' massima per Gesù è la Croce, cioè la
rivelazione del
dono di Dio, che accetta di morire con gli uomini e per gli uomini come
manifestazione dell' assoluta e sorprendente gratuità dell'amore: "un amore
che rimane fermo, totale, anche di fronte al rifiuto e al disprezzo, e che
appare come la conclusione di una vita spesa nella gratuità".
Le
'prove', presentate a Gesù nel deserto, sono le scelte che Gesù fa non in una
sola volta raccontata in questo episodio, ma in tutta la sua vita, perché
il rifiuto del potere, del successo e dell'uso stravolto della Parola di
Dio a proprio esclusivo vantaggio sono il modo concreto, visibile di
mostrare e annunciare la novità di Dio, vivendola in prima persona.
E la
novità di Dio consiste proprio nella totale accoglienza, da parte di Gesù,
della logica del Padre, la cui volontà è che gli uomini si amino -imparino
ad amarsi- come figli dello stesso Padre misericordioso, al di là di ogni
schematismo e rigidità formale o della mentalità di sfruttare per se
stessi i talenti propri e degli altri con la spettacolarità e l'inganno,
peggio ancora con il vuoto e la chiassosità.
Collocare l'episodio delle
'tentazioni' di Gesù all'inizio della Quaresima ci richiama a considerare le
nostre scelte di vita e le prove, che ora, nel nostro presente, siamo
chiamati ad affrontare perché appunto, nel nostro cammino, prevalga la
logica di Dio, cioè di un amore capace di spossessarsi di
sé per essere
totalmente liberatorio, accogliente, consolante. Egli è capace di fare della
propria vita un "capolavoro" come diceva Madeleine Delbrel, per immettere
in questo mondo, così tragicamente sfigurato dalla violenza del Male,
germi di bellezza e di bontà, senza i quali si disperderebbe ogni
possibilità di speranza. Tutti siamo chiamati a questo
|