 PENULTIMA DOMENICA DOPO L’EPIFANIA
detta “della divina clemenza” 8 febbraio 2015
Luca. 7, 36-50
Riferimenti -
Osea 6, 1-6 - Salmo 50 - Galati 2,19 - 3,7 |
Parla il Signore, Dio degli dei, convoca la
terra da oriente a occidente. Da Sion, splendore di bellezza,
Dio rifulge. Viene il nostro Dio e non sta in silenzio; davanti
a lui un fuoco divorante, intorno a lui si scatena la tempesta.
Convoca il cielo dall'alto e la terra al giudizio del suo
popolo: "Davanti a me riunite i miei fedeli, che hanno sancito
con me l'alleanza offrendo un sacrificio". Il cielo annunzi la
sua giustizia, Dio è il giudice. |
Osea 6, 1-6
Così dice il Signore Dio:
“Venite, ritorniamo al Signore: egli cha
straziato ed egli ci guarirà. Egli ci ha
percosso ed egli ci fascerà. Dopo due giorni
ci ridarà la vita e il terzo ci farà
rialzare, e noi vivremo alla sua presenza.
Affrettiamoci a conoscere il Signore, la sua
venuta è sicura come l’aurora. Verrà a noi
come la pioggia d’autunno, come la pioggia di
primavera che feconda la terra”. Che dovrò
fare per te, Efraim, che dovrò fare per te,
Giuda? Il vostro amore è come una nube del
mattino, come la rugiada che all’alba
svanisce. Per questo li ho abbattuti per mezzo
dei profeti, li ho uccisi con le parole della
mia bocca e il mio giudizio sorge come la
luce: poiché voglio l’amore e non il
sacrificio, la conoscenza di Dio più degli
olocausti. Il Regno del Nord
(o regno d’Israele chiamato anche Efraim),
costituito dalle 10 tribù ebraiche che si
erano separate dal Sud (regno di Giuda) al tempo
della morte di re Salomone (attorno al 930
a.C.),volle attaccare il regno del Sud nel
734 a.C. con l’aiuto della Siria. Così iniziò
una guerra di conquista per impossessarsi di
alcune città di Giuda, nella prospettiva di
abbattere pure Gerusalemme. Acaz, re di
Giuda, nonostante l'invito insistente di Isaia
perché non si rivolgesse ad un re straniero,
chiese l'intervento della Assiria che già
dominava la zona. L’esercito assiro arrivò
velocemente e devastò con brutalità, vandalismi
e ferocia tutto il territorio del Nord. Samaria,
la capitale del Nord, fu conquistata dal re
Assiro nel 721 a.C. E se, rispetto alle
minacce del Nord, l’intervento dell’Assiria
portò sollievo momentaneo al Sud, tanto da
incoraggiare l’esercito di Gerusalemme a
conquistare città non proprie, tuttavia la
situazione complessiva si fece dura per tutti.
Il popolo di Dio, tanto a Nord che a Sud, non si
era reso conto che stava tradendo la fiducia
in Dio, cercando salvezza presso popoli pagani.
Il profeta aveva richiamato la fedeltà al
Signore, ma la paura non aveva fatto pensare che
si dovesse riporre la propria speranza in
Dio. Nel frattempo anche a Sud, a Gerusalemme,
l’esercito dell’Assiria impose tributi
eccessivi e angoscianti. Perciò il popolo, nel
momento della fatica, si impose sacrifici, ma
capì che doveva tornare al Signore. Perché
accettasse le proprie offerte. Si moltiplicarono
le pratiche religiose, i sacrifici di animali
nel tempio, i doni votivi. Sembrava un ritorno
alla conversione sincera e gli stessi fedeli
s’immaginavano sinceri. “Venite, ritorniamo al
Signore: egli ci ha straziato ed egli ci
guarirà”(v 1).Ma qui il profeta, con un
intervento indispensabile, diventa la voce
sonora e chiarificatrice del pensiero di Dio.
“Il Signore non sa che farsene dei doni e dei
gesti di culto che non significano e non
portano alla conversione. Voglio l’amore e non
il sacrificio, la conoscenza di Dio più degli
olocausti” (v 6). I paragoni successivi del
profeta sulla fertilità e sull’abbondanza sono
splendidi ma vanno confrontati e il profeta
stesso li soppesa agli occhi e alla sensibilità
del contadino. “Il dono che voi chiedete, e
che il Signore è disposto a darvi, verrà a voi
come la pioggia d’autunno e come la pioggia
di primavera che feconda la terra”. Ma il
Signore vuole da noi altrettanto coraggio e
serietà. E invece “il vostro amore è come la
pioggia che viene da nube di primavera e da
rugiada che non feconda” .Nelle scelte di
Gesù questa esigenza di amore e di conoscenza di
Dio ritorna insistente. Egli vuole il
desiderio profondo di porre un rapporto
continuo, una corrente non esaustiva, un legame
che si ricostituisce giorno per giorno. E’
tutta la vita che si deve aprire a Dio, non il
gesto che si esaurisce in sé, che si
sclerotizza, si incastona nel tempo, accanto ad
altre 100 preoccupazioni. “Voglio amoree
conoscenza”: suppone ricerca, rapporto continuo
e mai soddisfatto, dialogo, sentimenti e cammini
comuni con il Signore. La nostra conversione di
cuore non è moltiplicare doni sontuosi, ma
reggere un richiamo che spesso è nostalgia e
riconoscimento di povertà che, però, non manca
di fiducia e coinvolge noi in sintonia con
Lui nel mondo e gli altri con cui viviamo
perché, insieme, scopriamo e cantiamo la
gioia e la bellezza della vita che Egli ci dà e
che ci prepara ancora più viva e preziosa con
Lui. La solidarietà che ci riporta alle
nostre opere quotidiane di sviluppo, di
progresso, di vita, di cura, di opere hanno
bisogno di questo clima di rispetto e di
coinvolgimento, di speranza e di aiuto
reciproco, di sostegno e di impegno comune.
Poiché il lavoro ci identifica come responsabili
del mondo, del cammino, del progresso e del
benessere di ciascuno, delle famiglie, dei
piccoli che crescono e degli anziani che con
dignità offrono la ricchezza della loro
esperienza alle generazioni più giovani, in una
parola il lavoro, vissuto in dignità e
solidarietà, è opera più meritoria delle stesse
offerte al tempio poiché restituisce dignità
e valore collaborativo. Con il lavoro vissuto da
credenti si offre e si costituisce una società
più libera e più giusta. E’ un messaggio per i
lavoratori e per gl’imprenditori, per
gl’insegnanti e peri politici, per chi ha
possibilità economiche e per i sindacati, per le
casalinghe, gli artigiani, i commercianti.
I nostri interrogativi di conversione si debbono
indirizzare molto verso la convivenza, la
disponibilità, il sostegno. La qualità dei
nostri contributi non debbono limitarsi al
denaro, ma richiamano tempo, competenze,
sollecitudine, accompagnamento, sostegno
reciproco. Qualche decennio fa, cantavamo in
Chiesa e, magari ancor oggi: “Quando busserò
alla tua porta, avrò fatto tanta strada avrò
frutti da portare, ceste di dolore e grappoli
d’amore…avrò amato tanta gente, amici da
ritrovare e nemici per cui pregare.” |
Paolo ai Galati 2, 19 - 3, 7.
Fratelli, mediante la Legge io sono morto alla Legge,
affinché io viva per Dio. Sono stato crocifisso con Cristo, e
non vivo più io, ma Cristo vive in me. E questa vita, che io
vivo nel corpo, la vivo nella fede del Figlio di Dio, che
mi ha amato e ha consegnato se stesso per me. Dunque non
rendo vana la grazia di Dio; infatti, se la
giustificazione viene dalla Legge, Cristo è morto invano,.- O
stolti Galati, chi vi ha incantati? Proprio voi, agli
occhi dei quali fu rappresentato al vivo Gesù Cristo
crocifisso! Questo solo vorrei sapere da voi: è per le
opere della Legge che avete ricevuto lo Spirito o per aver
ascoltato la parola della fede? Siete così privi
d’intelligenza che, dopo aver cominciato nel segno dello
Spirito, ora volete finire nel segno della carne? Avete
tanto sofferto invano? Se almeno fosse invano! Colui dunque
che vi concede lo Spirito e opera portenti in mezzo a voi, lo
fa grazie alle opere della Legge o perché avete ascoltato
la parola della fede? Come Abramo ebbe fede in Dio e gli fu
accreditato come giustizia, riconoscete dunque che figli di
Abramo sono quelli che vengono dalla fede.
Alcuni farisei convertiti, poiché avevano accettato Gesù
come Messia, contemporanei a Paolo,
continuavano, nella loro mentalità, a ritenere che il premio di
Dio fosse destinato a coloro che si erano preoccupati di
accumulare molti meriti mediante le opere buone. Perciò, secondo
le loro consuetudini, continuavano ad essere scrupolosissimi
nell’osservanza della legge e, nelle nuove comunità,
riuscivano ad immettere la stessa mentalità, provocando,
tuttavia, divisioni tra convertiti ebrei e convertiti dal
paganesimo. Uno scontro animato di Paolo con Pietro, e
raccontato in questa stessa lettera qualche versetto più
sopra (2,11 ss), ricorda che fu obbligatoria una chiarificazione
tra loro, poiché anche Pietro fu influenzato da questi nuovi
venuti. Prima che arrivassero nella comunità in cui viveva anche
Paolo, Pietro si comportava allo stesso modo, in armonia con
tutti, sia ebrei che pagani convertiti, frequentandosi senza
problemi. Ma poi la venuta di questi nuovi cristiani che
disdegnavano i pagani, se pur convertiti, con grandi pretese
di cautele per l’impurità nei confronti dei pagani stessi,
secondo la legge, mise in crisi il comportamento di molti
compreso l’atteggiamento di Pietro che “cominciò a evitarli
ed a metterli da parte (pagani convertiti) per timore dei
circoncisi” (2,13). Questi “circoncisi” sono quelli che
vengono “da parte di Giacomo”(2,12) (apostolo responsabile della
Chiesa di Gerusalemme che aveva mantenuto una mentalità più
legata all’ebraismo).Il problema che sorse era squisitamente
teologico. Chi o che cosa salva? Sono le regole, la legge, le
remore che bisogna rispettare e che, nella condizione in cui ci
troviamo, ci fanno sentire travolti da separazioni e
diffidenze, rifiuti e lacerazioni? O ci salva la fede in Gesù
che ci garantisce la fraternità, il superamento
dell’esclusione, la scoperta di un amore universale che ci apre
ad essere il nuovo popolo? C’era il pericolo di spostare
l’asse della salvezza da Gesù e dal seguire Gesù alla
preoccupazione dell’esattezza dei nostri gesti. “Non è Gesù
che ci salva, la sua parola, il suo stile di amore e le sue
scelte, il suo accettare di restare nell’amore del Padre?”.
C’era il pericolo, sempre presente, di pensare che tutto
dipendesse da noi, dalle nostre azioni, dei nostri criteri di
comportamento, e non dalla forza della fede e dalla ricerca
di Gesù. E invece il Paradiso, e bisognava convincersi, era dato
dalla grazia di Dio perché Egli ci considerava suoi figli e
voleva che, insieme con Lui, potessimo godere la bellezza e
la grandezza della Sua pienezza. Pensavano: “Ma se ci sono un
amore ed una fiducia aperta alla presenza ed alla salvezza
del Signore, il Signore ci aiuterà a trasformarci, ad
assumere scelte e significati impensabili. E’ Lui che ci cambia
perché ci sostiene e ci mostra il senso delle cose e la
bellezza del mondo. E’ Lui che ricrea. Sarà nostro segno di
amore comportarci secondo le scelte che Egli ha vissuto e che
ci propone”. E questo vale anche per noi oggi. Siamo
richiamati alla sua Parola, siamo incoraggiati e sostenuti dalla
sua presenza, siamo interpellati a cogliere i doni che Egli è
disposto a regalare a piene mani. Egli ama noi ed ama tutti
gli altri anche attraverso noi; Egli è felice se noi osiamo
aprire la nostra serenità nel mondo perché attorno a noi ci
si accorga, per la consapevolezza e la fiducia che portiamo,
che la presenza del Signore e la sua presenza sono disponibili a
coinvolgere ciascuno, se accetta. A noi chiede di vivere ciò
che crediamo e di accorgerci della sofferenza che c’è. Egli
domanda che ci siano partecipazione, attenzione, fedeltà
fiduciosa e coraggiosa. E se Paolo si mostrò duro con i
fratelli Galati e li chiamò, per ben due volte, persone “senza
criterio” stolti),elencò cinque domande la cui risposta è
una sola, quella, cioè, che Paolo stesso desidera far loro
capire: “Colui dunque che vi concede lo Spirito e opera portenti
in mezzo a voi, lo fa grazie alle opere della Legge o perché
avete ascoltato la parola della fede?” Paolo era convinto di ciò
che diceva e ripeteva che tutto questo l’ha sperimentato
nella sua coscienza e, in questa consapevolezza, intuiva più
profondamente l’immagine di Abramo “che ebbe fede in Dio e gli
fu accreditato come giustizia”. E concludeva: "Sono stato
crocifisso con Cristo, e non vivo più io, ma Cristo vive in me". |
Luca. 7, 36-50 In quel tempo. Uno dei farisei invitò il Signore Gesù
a mangiare da lui. Egli entrò nella casa del fariseo e si mise a tavola.
Ed ecco, una donna, una peccatrice di quella città, saputo che si
trovava nella casa del fariseo, portò un vaso di profumo; stando
dietro, presso i piedi di lui, piangendo, cominciò a bagnarli di
lacrime, poi li asciugava con i suoi capelli, li baciava e li cospargeva
di profumo. Vedendo questo, il fariseo che l’aveva invitato disse tra
sé: «Se costui fosse un profeta, saprebbe chi è, e di quale genere è la
donna che lo tocca: è una peccatrice!». Gesù allora gli disse: «Simone, ho
da dirti qualcosa». Ed egli rispose: «Di’ pure, maestro». «Un creditore
aveva due debitori: uno gli doveva cinquecento denari, l’altro
cinquanta. Non avendo essi di che restituire, condonò il debito a tutti e
due. Chi di loro dunque lo amerà di più?».Simone rispose: «Suppongo
sia colui al quale ha condonato di più». Gli disse Gesù: «Hai giudicato
bene». E, volgendosi verso la donna, disse a Simone: «Vedi questa
donna? Sono entrato in casa tua e tu non mi hai dato l’acqua per i
piedi; lei invece mi ha bagnato i piedi con le lacrime e li ha
asciugati con i suoi capelli. Tu non mi hai dato un bacio; lei invece, da
quando sono entrato, non ha cessato di baciarmi i piedi. Tu non hai unto
con olio il mio capo; lei invece mi ha cosparso i piedi di profumo. Per
questo io ti dico: sono perdonati i suoi molti peccati, perché ha molto
amato. Invece colui al quale si perdona poco, ama poco». Poi disse a
lei: «I tuoi peccati sono perdonati». Allora i commensali cominciarono
a dire tra sé: «Chi è costui che perdona anche i peccati?». Ma egli
disse alla donna: «La tua fede ti ha salvata; va’ in pace!». L’episodio, raccontato da Luca, che va letto contestualizzandolo
secondo le modalità dei banchetti ebraici di quell’epoca, normalmente
viene interpretato in termini di peccato e di perdono così come lo
presenta l’Evangelista. Ma, se guardiamo più a fondo, il discorso è
soprattutto tra Gesù e Simone il fariseo che lo aveva invitato. Il
giudizio del fariseo è perentorio e scandalizzato: “Non vede che è una
peccatrice?”. E Gesù, dopo aver raccontato un breve eloquente apologo,
ribatte: “Vedi questa donna?” restituendo a lei un’integrità e una
dignità, depurata dal giudizio di Simone, il fariseo timorato di Dio. E
Gesù fa notare, con grande dovizia di particolari, la sua grande capacità di
amore: un amore capace di gesti concreti, che nascono da una totale
partecipazione interiore e utilizzano elementi coinvolgenti, toccanti,
come il bacio, i capelli, il profumo. Fa venire in mente il Cantico dei
Cantici. Il peccato viene dopo la capacità di amore della donna e consiste
nell’aver deviato la potenzialità. Però lei rimane la donna “che ha molto
amato ”.E Gesù la rimette in cammino nella fede del suo perdono,
ridonandole stima di fronte a tutti coloro che azzardano giudizi secondo
la convenienza e la superficialità di chi si sente giusto, superiore di
fronte agli altri e alle “altre”. La tua fede, cioè “il tuo amore ti ha
salvato”, cioè liberato dalla rete malevole delle critiche sociali, perché
coraggiosamente, pubblicamente, hai messo il tuo amore e il tuo dolore
nella fiducia in Gesù.“Va in pace”: rimettiti in cammino nella pace, cioè
nella consapevolezza che la tua capacità di amore ha trovato la direzione
di Gesù, perché ha toccato la sua comprensione ed è stata toccata dal suo
perdono, cioè da un amore che supera, comprende e avvolge il suo. Come se
dicesse: “Donna (non“ peccatrice”) continua ad amare con tutta la tua
passione, in piena dignità”. E questa è la pace. |