
II domenica dopo l'Epifania
18 gennaio 2015 Giovanni 2,1-11
Riferimenti : Isaia 25, 6-10a - Salmo 71 - Colossesi 2,
1-10a |
In te mi rifugio, Signore, ch'io non resti
confuso in eterno. Liberami, difendimi per la tua giustizia,
porgimi ascolto e salvami. Sii per me rupe di difesa, baluardo
inaccessibile, poiché tu sei mio rifugio e mia fortezza. Mio
Dio, salvami dalle mani dell'empio, dalle mani dell'iniquo e
dell'oppressore. Sei tu, Signore, la mia speranza, la mia
fiducia fin dalla mia giovinezza |
Isaia 25, 6-10a Preparerà il
Signore degli eserciti per tutti i popoli, su
questo monte, un banchetto di grasse vivande, un
banchetto di vini eccellenti, di cibi
succulenti, di vini raffinati. Egli strapperà su
questo monte il velo che copriva la faccia di
tutti i popoli e la coltre che copriva tutte le
genti. Eliminerà la morte per sempre; il Signore
Dio asciugherà le lacrime su ogni volto; la
condizione disonorevole del suo popolo farà
scomparire da tutto il paese, poiché il Signore
ha parlato. E si dirà in quel giorno: "Ecco il
nostro Dio; in lui abbiamo sperato perché ci
salvasse; questi è il Signore in cui abbiamo
sperato; rallegriamoci, esultiamo per la sua
salvezza. Poiché la mano del Signore si poserà
su questo monte". Moab invece sarà calpestato al
suolo, come si pesta la paglia nella concimaia.
Questo testo fa parte di una serie di
capitoli (cc 24-27) chiamati anche "Apocalisse
di Isaia". Vi si trova la rivelazione del
giudizio definitivo di Dio contro i suoi
avversari e l'annuncio dell'inizio del dominio
universale di Dio sul mondo. Dopo che il Signore
avrà sconfitto l'esercito celeste e tutti i re
della terra, si potrà celebrare la sua
intronizzazione sul monte Sion, dove egli
manifesterà la sua gloria in una dimensione
cosmica (si parla del sole che impallidisce e la
luna che arrossisce: Is24,22-23). Il capitolo 25
va compreso come seguito della intronizzazione
di Dio e si apre con un inno di lode e di gloria
a Dio (25,1-5). Dio prepara un banchetto per
tutti popoli: Egli stesso celebra finalmente la
conclusione festosa per la vittoria e
rappresenta il coinvolgimento di tutti popoli
per cui è garantita la pace. Si deve ricordare
che uno stesso banchetto rituale fu consumato
dopo il "patto dell'alleanza" con Mosé al Sinai
(Es 24,9-11). Anche Gesù, nel Nuovo Testamento,
celebra un banchetto, prima di morire. Esso è,
nello stesso tempo, il rinnovo della Nuova
Alleanza conclusa tra Dio e tutti gli uomini
della terra e gesto continuo di comunione in un
mondo che si costituirà nella pace. Si dice
infatti nel Vangelo di Matteo "Ora, mentre
mangiavano, Gesù prese il pane, recitò la
benedizione, lo spezzò e, mentre lo dava ai
discepoli, disse: «Prendete, mangiate: questo è
il mio corpo». Poi prese il calice, rese grazie
e lo diede loro, dicendo: «Bevetene tutti,
perché questo è il mio sangue dell'alleanza, che
è versato per molti per il perdono dei peccati".
(26,26-28). Il Signore eliminerà il dolore da
tutti popoli e "da ogni volto" e vincerà la
morte. In questo brano si apre anche lo
spiraglio di una speranza di immortalità e
quindi il superamento della morte. Gesù
ricorderà la risurrezione. Tutti i popoli si
riconosceranno nella fede e nella speranza del
Signore e quindi vivranno nella serenità,
felicità e pace. Per tre volte viene nominato il
monte del Signore per indicare che sarà proprio
Gerusalemme il punto di confluenza della
vittoria di Dio sul male. Ma ancor oggi
Gerusalemme non è il luogo della pace e dobbiamo
tutti pregare perché possa vivere in pace il suo
cammino e il suo cambiamento per la concordia
dei popoli.
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Colossesi 2, 1-10a Se c'è
pertanto qualche consolazione in Cristo, se c'è conforto
derivante dalla carità, se c'è qualche comunanza di spirito, se
ci sono sentimenti di amore e di compassione, rendete piena la
mia gioia con l'unione dei vostri spiriti, con la stessa carità,
con i medesimi sentimenti. Non fate nulla per spirito di
rivalità o per vanagloria, ma ciascuno di voi, con tutta umiltà,
consideri gli altri superiori a se stesso, senza cercare il
proprio interesse, ma anche quello degli altri. Abbiate in voi
gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù, il quale, pur
essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua
uguaglianza con Dio; ma spogliò se stesso, assumendo la
condizione di servo e divenendo simile agli uomini; apparso in
forma umana, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla
morte e alla morte di croce. Per questo Dio l'ha esaltato e gli
ha dato il nome che è al di sopra di ogni altro nome; perché nel
nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e
sotto terra;
Paolo non è stato nella città
di Colossi o di Laodicea né ha fondato queste comunità e
tuttavia è preoccupato per le notizie che gli fa giungere Epafra,
un collaboratore che sembra essere stato il fondatore di queste
piccole chiese. L'apostolo se ne sente la responsabilità, pur
non avendole fondate ed usa una immagine biblica famosa, quella
che corrisponde alla lotta di Giacobbe con l'angelo
(Gen32,25-33), quando dice: "Sappiate quale lotta debbo
sostenere per voi" (2,1).. Questa "lettera ai Colossesi",
collocata durante la prima prigionia di Paolo a Roma (tra il 61
e il 63 d.C.), affidata a Tichico, mette in guardia da "inganni"
che vengono proposti "con argomenti seducenti". Confluiscono,
probabilmente, elementi giudaici sugli angeli ed elementi pagani
che nascono da una suggerita "filosofia". Con questo termine
Paolo indica il pensiero anche religioso che propone idee
opposte al Vangelo. E l'inganno consiste nel ritenere presenti
altri esseri accanto a Cristo o in alternativa a lui, per
garantire che possono offrire essi stessi la salvezza: si tratta
di potenze cosmiche o angeli (1,16) come pure elementi del mondo
naturali (aria, acqua, terra, fuoco). Questo affollamento di
potenze e di elementi, accanto a Cristo, compromette la fede
nella sua supremazia sul mondo. Paolo non mette in discussione
la potenza e l'attività di queste realtà, che egli assomiglia
agli angeli della tradizione giudaica (2,15), ma chiarisce che
"è in lui, cioè in Gesù, che abita corporalmente tutta la
pienezza della divinità", e voi partecipate della "pienezza di
lui che il capo di ogni principato e di ogni potestà" (2,10). E
se gli angeli hanno svolto un ruolo di mediazione e di
amministrazione della legge finora, essi hanno solamente
preparato questo tempo. Ora quel loro ruolo è cessato. E'
Cristo, il Signore, che ha preso in mano il governo del mondo e
ha instaurato un tempo nuovo. In questo testo Paolo accenna
alle lotte che ha affrontato per salvaguardare la fede nelle
comunità di Colossi e di Laodicea. Egli desidera fortemente
portare questa comunità a conoscere sempre più profondamente il
mistero di Cristo. Paolo prega perché i "cuori vengano
consolati" (2,2) nei doni dello Spirito Santo. Egli è sicuro che
la fraternità arricchirà "di una piena intelligenza" ciascuno di
questa comunità, "per conoscere il mistero di Dio". Il mistero
di Dio è "Cristo in cui sono nascosti tutti tesori della
sapienza e della conoscenza" (2,3). Paolo parla della mistero
che è unico, superando così tutta la letteratura giudaica. Il
mistero è concentrato in Gesù che attua insieme la rivelazione e
la presenza di Dio stesso nella concretezza storica della sua
vita. Questo mistero è rivelato ai credenti nella Chiesa. E se
in Gesù sono nascosti tutti tesori della sapienza e della
conoscenza, nella parola di Dio viene svelato che essi
risplendono nella sua pienezza nel cuore dei credenti. Questo
brano aiuta a capire anche il significato del lavoro pastorale.
Paolo ritiene giusto non essere di parte. Anzi, la
frammentazione in gruppi contrapposti lacera e isterilisce la
fede (1Cor1,10ss). Il suo compito non è solo quello di
annunciare ma è anche quello di sostenere, istruire e
incoraggiare per camminare verso la piena maturità di Cristo. Si
tratta così di un faticoso lavoro quotidiano per far progredire
la comunità, rivolgendosi a tutti perché tutti possano conoscere
il Signore Gesù e vivano senza divisioni (id).. La pastorale che
Paolo sviluppa, e che fa maturare nelle sue comunità,
proponendola come stile di vita, non è certo quella della
selezione, del creare gruppi, del preoccuparsi di una elite di
persone, ma è quella di costituire una famiglia dove ci si
accolga e dove ciascuno aiuti l'altro nelle difficoltà e nelle
incomprensioni. Non a caso questo brano orienta verso la
fraternità. Perciò Gesù è la strada, il compagno di viaggio, la
meta, il progetto, il fondamento di tutto per tutti: "Camminate
dunque nel Signore Gesù". Restando perciò in comunione con Lui,
ogni credente riceve la garanzia da parte di Gesù risorto che
egli è in noi e noi aderiamo a lui.
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 La Giara di pietra al tempo di Gesù |
 Facciata della chiesa di Cana |
Giovanni
2,1-11 Il terzo giorno vi fu una festa di nozze a Cana di Galilea e c’era
la madre di Gesù. Fu invitato alle nozze anche Gesù con i suoi discepoli.
Venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: «Non hanno vino». E
Gesù le rispose: «Donna, che vuoi da me? Non è ancora giunta la mia ora». Sua
madre disse ai servitori: «Qualsiasi cosa vi dica, fatela». Vi erano là sei
anfore di pietra per la purificazione rituale dei Giudei, contenenti ciascuna
da ottanta a centoventi litri. E Gesù disse loro: «Riempite d’acqua le
anfore»; e le riempirono fino all’orlo. Disse loro di nuovo: «Ora prendetene
e portatene a colui che dirige il banchetto». Ed essi gliene portarono. Come
ebbe assaggiato l’acqua diventata vino, colui che dirigeva il banchetto – il
quale non sapeva da dove venisse, ma lo sapevano i servitori che avevano
preso l’acqua – chiamò lo sposo e gli disse: «Tutti mettono in tavola il vino
buono all’inizio e, quando si è già bevuto molto, quello meno buono. Tu
invece hai tenuto da parte il vino buono finora». Questo, a Cana di Galilea,
fu l’inizio dei segni compiuti da Gesù; egli manifestò la sua gloria e i suoi
discepoli credettero in lui.
Gesù è invitato ad un
matrimonio e Giovanni ricorda che siamo al terzo giorno, il settimo giorno
dall'inizio del Vangelo, suggerendo un particolare valore poiché siamo alla
conclusione della nuova creazione. Il racconto è particolare. Lo si dice "il
primo dei segni": "segni" e non "miracoli. I segni che Giovanni riporta nei
primi 12 capitoli sono sette, tutti nella linea del manifestare il
significato della presenza di Gesù tra noi. Nel restante testo del Vangelo si
parla "dell'ora". "L'ora" viene ricordata anche qui, ma per negarla: "Non è
ancora giunta la mia ora" (2,4). Così il Vangelo di Giovanni è compreso
"nell'ora": la prima è anticipo per la gioia degli sposi e l'ultima ora è la
gloria di Gesù morto e risorto (GV13,1ss).. Questo testo, che è splendido e
nello stesso tempo curioso, suscita molti interrogativi di interpretazione
per cui va letto, nello stesso tempo, come un episodio ma anche come un
interessantissimo racconto simbolico. Il settimo giorno, ovviamente, è il
parallelo con il racconto della creazione, quando Dio si riposa dopo aver
creato l'uomo e la donna (Gen 1,26-27). Egli riposa con loro in una intimità
che fa superare il rapporto e l'attenzione alle cose per orientarli nella
gioia della relazione e dell'accoglienza. E, nello stesso tempo, con terzo
giorno", si ricorda l'operato di Gesù che dalla morte risorge. La
risurrezione costituisce la pienezza della creazione e della liberazione dal
male. Non si parla per nulla della sposa e, solo marginalmente, dello sposo.
Non si parla degli invitati, ma i due personaggi fondamentali sono Maria e
Gesù. Il vino è il simbolo dell'amore coniugale nel Vecchio Testamento e, se
si accetta che questo segno sia l'immagine dell'amore di Dio verso il suo
popolo, si comprende come il rapporto tra Dio e Israele (in ebraico Israele è
femminile: è la sposa) è destinato al fallimento. La madre di Gesù (Giovanni
non la chiama mai Maria ma la "donna") intercede perché Dio compia, per pura
gratuità il dono dell'amore pieno. E se un primo momento la risposta di Gesù
sembra esprimere diffidenza e rifiuto: "Che cosa vuoi da me", la risposta
della madre corrisponde, insieme, all'attesa di comprensione, alla sicurezza
di amore, alla disponibilità verso la volontà di Dio, incontestabilmente.
"Qualsiasi cosa vi dirà, fatela" (2,5). E questo testo si può accostare alla
promessa del popolo d'Israele prima del dono della legge al Sinai (Es 19,8):
"Quanto il Signore ha detto, noi lo faremo". Ci sono sei anfore di pietra,
monumentali, inamovibili e per quello che appare, sono anche vuote. Manca
l'acqua della purificazione e manca il vino per la gioia dell'amore. Colui
che dirige il banchetto saprà solo scoprire l'eccellenza del vino, ma non
capirà altro. Rappresenta il vecchio mentre i servitori intravvedono il nuovo
perché hanno scoperto il senso di ciò che è avvenuto. Così Gesù, dice
Giovanni, inizia una serie di gesti (segni) che dovrebbero aiutare la
comunità cristiana a intravvedere il significato della presenza di Gesù tra
noi. Ci vogliono delle persone che Intercedano, sono necessarie delle attese
e speranze sul futuro (qualcuno poteva andarsene via prima, disgustato), è
necessario che qualcuno accetti di rischiare, come i servi, perché può
sembrare di dover fare gesti inutili o addirittura ridicoli. Solo i discepoli
riescono a credere e quindi saranno i custodi di questa novità che li porterà
ad essere annunciatori nel mondo. Collegando con la conclusione del quarto
Vangelo: "E' stato scritto perché credono che Gesù il Messia, figlio di Dio,
e credendo abbiano vita nel suo nome" (Gv 20,31), con le nozze di Cana, in un
certo senso, tutto porta già alla conclusione. Questi testi sviluppano il
progetto della pace, danno speranza di pace e offrono suggerimenti alla pace.
Il nostro tempo soffre duramente l'instabilità, conosce di più la morte
perché le notizie sul mondo ci caricano di drammatiche conoscenze che ci
coinvolgono ogni giorno. Per questo conosciamo la morte più di prima ma,
meglio di altri tempi, aspiriamo alla pace e stiamo comprendendo meglio il
bisogno ed il coraggio di costruirla.
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