
IIa dopo Pentecoste 07/06/2015 Luca 12, 22-31
Riferimenti : Siracide 16, 24-30 - Salmo 148 - Romani 1, 16-21 |
Lodate il Signore dai cieli, lodatelo nell'alto
dei cieli. Lodatelo, voi tutti, suoi angeli, lodatelo, voi
tutte, sue schiere. Lodatelo, sole e luna, lodatelo, voi
tutte, fulgide stelle. Lodatelo, cieli dei cieli, voi
acque al di sopra dei cieli. Lodino tutti il nome del
Signore, perché egli disse e furono creati. |
Siracide 16, 24-30 Ascoltami,
figlio, e impara la scienza, / e nel tuo cuore
tieni conto delle mie parole. / Manifesterò con
ponderazione la dottrina, / con cura annuncerò
la scienza. / Quando il Signore da principio
creò le sue opere, / dopo averle fatte ne
distinse le parti. / Ordinò per sempre le sue
opere / e il loro dominio per le generazioni
future. / Non soffrono né fame né stanchezza
/ e non interrompono il loro lavoro. /
Nessuna di loro urta la sua vicina, / mai
disubbidiranno alla sua parola. / Dopo ciò il
Signore guardò alla terra / e la riempì dei
suoi beni. / Ne coprì la superficie con ogni
specie di viventi / e questi ad essa faranno
ritorno. Il libro del Siracide, detto anche "Sapienza di
Sirach” e, fino a poco tempo fa, detto anche
Ecclesiastico, fu inizialmente scritto in
ebraico da Ben Sira, (il nome greco è Siracide)
verso il180 a. C. Il nipote tradusse questo
scritto in greco attorno al 130 a.C.,
lasciandone testimonianza nel prologo nel
libro stesso. È composto da 51 capitoli con
vari detti di genere sapienziale, sintesi della
religione ebraica tradizionale e della
sapienza comune. Nell’ultimo capitolo (51,1-,30)
si può leggere una breve autobiografia
dell’autore stesso. In Israele sta penetrando
nella cultura ebraica anche la cultura greca,
riletta con le sue pericolose novità e il
Siracide, attraverso la sua opera, vuole porre
una diga morale per i suoi, per aiutare a
riprendere la Sapienza delle proprie tradizioni.
Coraggioso e infervorato dalla Sapienza e del
culto ebraico, insiste che non ci si deve
vergognare della propria ricchezza morale e
della legge. Quando il mondo ebraico stabilì
il Canone (elenco ufficiale dei libri della
Scrittura attorno il 90d.C,) non si
considerò adatto questo testo, probabilmente
perché la sua diffusione era avvenuta
prevalentemente nel testo greco. E’ rimasto
invece come testo sacro ispirato nei testi
ufficiali del Canone cattolico. Perciò non è
elencato nella Bibbia ebraica (22 libri), né nel
Canone del mondo protestante (che segue, per
l’A.T., il criterio ebraico). Nelle bibbie,
perciò, è elencato come Deuterocanonico.
E’ un libro che non ha una struttura definitiva
e organica. Per questo gli viene dato il nome di
“Raccolta di sentenze”. Si possono intravvedere,
tuttavia, al suo interno, piccoli trattati su
argomenti particolari. Il testo che leggiamo
oggi inizia una lunga riflessione in cui si
incoraggiano i credenti ad abbandonarsi alla
misericordia di Dio:16,24-18,14.C’è un primo
invito all’ascolto (vv24-25): “ascolto e
attenzione del cuore”. È necessario l’ascolto
per percepire il valore di un dialogo (v24) e ci
vuole il desiderio di scoperta e lo spessore
di un’attesa per percepire una rivelazione
(attenzione del cuore: v24 b). Solo a queste
condizioni un maestro accetta di entrare a
scoprire la Sapienza ed è disponibile a
trasmettere“ dottrina e scienza” (ma, al
meglio, “con esattezza e con cura”).Il
racconto si sviluppa ricordando i testi della
creazione del I° racconto del libro della Genesi
e in particolare, gli interventi di Dio nei
primi quattro giorni. Si parla di astri, dello
splendore e della legge armoniosa che ordina
e regola, come per un’obbedienza alla Parola di
Dio, il loro movimento in pace. E dopo aver
popolato il cielo di splendore e di luce, Dio
riempie di beni la terra. Così Dio manifesta
la sua grandezza e bellezza nel preparare la
casa dell’uomo. Cielo e terra vivono
nell’ordine e nell’armonia, rendendo bella la
dimora dell’umanità che Dio vuole al centro
del creato. Tra i beni regalati ci sono pure gli
animali, che però ritornano alla terra con la
morte. Il testo incoraggia all’armonia ed alla
pace, mentre Dio opera creando (26 a),
distinguendo (26b), ordinando (26 a b). |
Romani 1, 16-21 Fratelli, io non
mi vergogno del Vangelo, perché è potenza di Dio per la
salvezza di chiunque crede, del Giudeo, prima, come del
Greco. In esso infatti si rivela la giustizia di Dio, da fede
a fede, come sta scritto: «Il giusto per fede vivrà». Infatti
l’ira di Dio si rivela dal cielo contro ogni empietà e ogni
ingiustizia di uomini che soffocano la verità
nell’ingiustizia, poiché ciò che di Diosi può conoscere è
loro manifesto; Dio stesso lo ha manifestato a loro. Infatti
le sue perfezioni invisibili, ossia la sua eterna potenza e
divinità, vengono contemplate e comprese dalla creazione del
mondo attraverso le opere da lui compiute. Essi dunque non
hanno alcun motivo di scusa perché, pur avendo conosciuto
Dio, non lo hanno glorificato né ringraziato come Dio, ma si
sono perduti nei loro vani ragionamenti e la loro mente
ottusa si è ottenebrata. La
riflessione sulla fiducia, nell’abbandono al Signore, prosegue e
si articola con questo bellissimo testo di testimonianza di
Paolo. L’apostolo afferma con lucidità, carico
dell’esperienza e della consapevolezza della forza di Gesù, che
è necessario “confessare il Vangelo”. Gesù, attraverso la
croce, porta alla salvezza. Paolo è cosciente della grandezza di
questa comunione con Gesù e non ha timore di proclamarsi seguace
di un condannato ad una morte da schiavo. Ha scoperto che in
Gesù si nasconde la potenza di Dio, unica possibilità di
riscatto. La salvezza è liberazione dal peccato e dalle sue
conseguenze, attesa fiduciosa nella conclusione della storia,
consapevolezza di essere stati chiamati e voluti liberi da Dio.
Perciò noi stessi siamo fiduciosi nel giudizio di Dio. La
fede ci mette in contatto con il Signore e quindi con la sua
giustizia che recupera il mondo e lo conduce all’armonia
iniziale. “Da fede a fede” l’apostolo pone nel ritmo del tempo
la fedeltà e la costanza di credere e di affidarsi a Dio.
“Tutti gli uomini sono sotto l’ira di Dio perché non hanno
realizzato una giustizia”. Il che vuol dire che non hanno
vissuto la fede “(v17).Certamente a Paolo non sfugge il
problema della impossibilità di una veloce evangelizzazione:
egli è consapevole che l’umanità, per lo più, è pagana. Paolo
dice: “Però avevano la possibilità di accettare di conoscere
Dio che, di fatto, hanno conosciuto (v19).” Certamente, ma tale
conoscenza non è diventata riconoscimento. “Potenza e divinità”
non sono state percepite. Anzi sono state deturpate, confuse,
rimescolate a vaneggiamenti e ottenebramenti (21). Così non
hanno saputo dare “gloria e grazie”. La riflessione si sposta
più in là. Se non hanno conosciuto Cristo, se non hanno
intravisto splendore di Dio riconoscendolo, tutta l’umanità,
comunque, non può dirsi dannata, ma chiamata alla giustizia.
Tutta l’umanità, dice più avanti, chiamata per vocazione al
rapporto con Dio, è interpellata perché “metta in pratica la
legge”. Poiché non basta l’ascolto. All’interno di questa
esigenza fondamentale per ogni persona, viene rimessa in circolo
la speranza. I pagani hanno, come tutta l’umanità, “per loro
natura la legge”. Essi “agiscono secondo la legge, essi sono
legge a se stessi” (Rom2,14).In ogni uomo o donna esiste una
legge scritta nel cuore di ciascuno a cui fare appello e a cui
riferirsi. La legge non è, prima di tutto, scritta sui libri o
rotoli o tavole di pietra ma è scritta sui cuori. E’ un
patrimonio che Dio ci ha regalato. Così il rapporto con Dio
continua ad esserci se si pratica la legge (2,13) mentre non
è sufficiente solo l’ascolto, con tutto quel corredo che
sostiene le impalcature del religioso e del culto. Ci sono, sono
importanti ma non sufficienti, poiché quello che conta è
mettere in pratica la legge. A questo livello sorge la
consapevolezza della salvezza universale. Paolo si rende
conto che non si può selezionare le persone tra chi crede e
chi non crede in Gesù, Resta un riferimento alla legge osservata
secondo coscienza, E se Paolo sa che ci vuole la forza di Dio
per ubbidire alla legge, sa che questo dialogo è un segreto
che si svolge nel mistero dell’incontro tra Dio ed ogni persona.
Di questo non possiamo giudicare poiché ognuno, su una strada
misteriosa, è legato ad un impianto morale e ad un cammino di
vita. Però Paolo sente di poter dire: “Si svelano i segreti
degli uomini” mediante Cristo, che lo si sia conosciuto o no. |
Luca 12, 22-31 In quel tempo. Il Signore Gesù disse ai suoi
discepoli: «Io vi dico: non preoccupatevi per la vita, di quello che
mangerete; né per il corpo, di quello che indosserete. La vita infatti
vale più del cibo e il corpo più del vestito. Guardate i corvi: non
seminano e non mietono, non hanno dispensa né granaio, eppure Dio li
nutre. Quanto più degli uccelli valete voi! Chi di voi, per quanto si
preoccupi, può allungare anche di poco la propria vita? Se non potete fare
neppure così poco, perché vi preoccupate per il resto? Guardate come
crescono i gigli: non faticano e non filano. Eppure io vi dico: neanche
Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro. Se dunque Dio
veste così bene l’erba nel campo, che oggi c’è e domani si getta nel
forno, quanto più farà per voi, gente di poca fede. E voi, non state a
domandarvi che cosa mangerete e berrete, e non state in ansia: di tutte
queste cose vanno in cerca i pagani di questo mondo; ma il Padre vostro sa
che ne avete bisogno. Cercate piuttosto il suo regno, e queste cose vi
saranno date in aggiunta». Il brano del
vangelo di oggi è bellissimo. Ci mostra tutta la tenerezza di Dio. La
sua volontà per noi di essere felici. Di non farci problemi aggiuntivi e
ingolfarci in preoccupazioni superflue. Ma di “guardare”: guardarci
intorno con limpidezza per scorgere quello che vale veramente, per vedere
ciò che dà ali alla nostra vita. Perché se allarghiamo lo sguardo e ci
accorgiamo della bellezza che c’è intorno a noi e che questa bellezza è un
dono che Dio ci fa per dimostrarci l’assoluta e infinita gratuità e
trasparenza del suo amore, non possiamo ripiegarci su di noi e sulle
nostre ansie, ma solo affidarci a Chi appunto desidera per noi quella
gioia che ha i Suoi connotati di infinita presenza e consolazione.
Infatti, se leggiamo bene, il testo di Luca ha come oggetto la
‘preoccupazione’: non ci dice di non occuparci delle cose di cui dobbiamo
avere cura e che sono affidate al nostro impegno e alla nostra
responsabilità, ma di non preoccuparci, cioè di non finalizzarci ad esse con
ansia ed affanno, puntando su di noi e sulle nostre azioni, come se tutto
dipendesse da noi. Sembra invece che ci dica: prendete fiato, non ponetevi
nella vita con presunzione e superbia, ma cercate di guardare, andare
oltre, fermarvi a contemplare, perché l’artista della vita non siete voi, ma
il Padre, infinitamente ricco di premura e di attenzione, e perché la vita va
scoperta bella, va resa bella. Certo, occorre avere gli occhi di Gesù,
la volontà e i desiderio di andare oltre i nostri angusti orizzonti e
spaziare nella scia dello sguardo di Dio, cioè di uno sguardo colmo d’amore,
capace di commozione e carezzevole. Ma come si fa a metterci in questa
prospettiva, con tutto il male e l’odio che si rovesciano sul mondo e la
violenza con cui gli umani si massacrano a vicenda, che sembrano toglierci
ogni respiro di bontà e di presenza di Dio? Gesù stesso ce lo dice, che
il male si vince con il bene e che ogni bruttura e sofferenza va lenita con
un ‘surplus’ d’amore e di, per così dire, dissotterramento della bellezza e
della bontà. Sapendo che c’è un Padre che fa germogliare un fiore
sull’asfalto o tra i ruderi di una città distrutta .Basta guardare per
vedere. E in questo fiore si racchiude tutta la sua –e forse anche nostra-
volontà d’amore. |