VI DOMENICA DI PASQUA
10 Maggio 2015
Giovanni 15, 26 - 16, 4
Riferimenti : Atti degli Apostoli 26, 1-23 - Salmo 21  - Prima lettera ai Corinzi 15, 3-11
Signore, il re gioisce della tua potenza, quanto esulta per la tua salvezza! Hai soddisfatto il desiderio del suo cuore, non hai respinto il voto delle sue labbra. Gli vieni incontro con larghe benedizioni; gli poni sul capo una corona di oro fino. Vita ti ha chiesto, a lui l'hai concessa, lunghi giorni in eterno, senza fine.

Atti degli Apostoli 26, 1-23

In quei giorni. Agrippa disse a Paolo: «Ti è concesso di parlare a tua difesa». Allora Paolo, fatto cenno con la mano, si difese così: «Mi considero fortunato, o re Agrippa, di potermi difendere oggi da tutto ciò di cui vengo accusato dai Giudei, davanti a te, che conosci a perfezione tutte le usanze e le questioni riguardanti i Giudei. Perciò ti prego di ascoltarmi con pazienza. La mia vita, fin dalla giovinezza, vissuta sempre tra i miei connazionali e a Gerusalemme, la conoscono tutti i Giudei; essi sanno pure da tempo, se vogliono darne testimonianza, che, come fariseo, sono vissuto secondo la setta più rigida della nostra religione. E ora sto qui sotto processo a motivo della speranza nella promessa fatta da Dio ai nostri padri, e che le nostre dodici tribù sperano di vedere compiuta, servendo Dio notte e giorno con perseveranza. A motivo di questa speranza, o re, sono ora accusato dai Giudei! Perché fra voi è considerato incredibile che Dio risusciti i morti? Eppure anche io ritenni mio dovere compiere molte cose ostili contro il nome di Gesù il Nazareno. Così ho fatto a Gerusalemme: molti dei fedeli li rinchiusi in prigione con il potere avuto dai capi dei sacerdoti e, quando venivano messi a morte, anche io ho dato il mio voto. In tutte le sinagoghe cercavo spesso di costringerli con le torture a bestemmiare e, nel colmo del mio furore contro di loro, davo loro la caccia perfino nelle città straniere. In tali circostanze, mentre stavo andando a Damasco con il potere e l’autorizzazione dei capi dei sacerdoti, verso mezzogiorno vidi sulla strada, o re, una luce dal cielo, più splendente del sole, che avvolse me e i miei compagni di viaggio. Tutti cademmo a terra e io udii una voce che mi diceva in lingua ebraica: “Saulo, Saulo, perché mi perseguiti? È duro per te rivoltarti contro il pungolo”. E io dissi: “Chi sei, o Signore?”. E il Signore rispose: “Io sono Gesù, che tu perseguiti. Ma ora alzati e sta’ in piedi; io ti sono apparso infatti per costituirti ministro e testimone di quelle cose che hai visto di me e di quelle per cui ti apparirò. Ti libererò dal popolo e dalle nazioni, a cui ti mando per aprire i loro occhi, perché si convertano dalle tenebre alla luce e dal potere di Satana a Dio, e ottengano il perdono dei peccati e l’eredità, in mezzo a coloro che sono stati santificati per la fede in me”. Perciò, o re Agrippa, io non ho disobbedito alla visione celeste, ma, prima a quelli di Damasco, poi a quelli di Gerusalemme e in tutta la regione della Giudea e infine ai pagani, predicavo di pentirsi e di convertirsi a Dio, comportandosi in maniera degna della conversione. Per queste cose i Giudei, mentre ero nel tempio, mi presero e tentavano di uccidermi. Ma, con l’aiuto di Dio, fino a questo giorno, sto qui a testimoniare agli umili e ai grandi, null’altro affermando se non quello che i Profeti e Mosè dichiararono che doveva accadere, che cioè il Cristo avrebbe dovuto soffrire e che, primo tra i risorti da morte, avrebbe annunciato la luce al popolo e alle genti»

Stiamo leggendo il resoconto di un discorso di Paolo, imprigionato a Cesarea da qualche anno. Egli parla davanti al re Agrippa, accompagnato da Berenice, in visita a Festo, governatore romano eletto da Nerone attorno agli anni 60.È un discorso molto elaborato, dove si sente la preoccupazioni di coinvolgere persone che non sono ebrei e che tuttavia hanno interessi alla comprensione del mondo d’Israele. Paolo ricorda d'aver vissuto nel popolo come un buon fariseo, " nella più rigida setta della nostra religione” (vv 4-8), quindi richiama la lotta anticristiana che lui stesso ha sviluppato (vv 9-11), la sua conversione (vv12-18), le sue attività di credente cristiano (vv 19-20), il suo arresto (v 21), il contenuto del suo insegnamento (vv 22-23).È la terza volta che Luca, autore degli Atti, racconta, in situazioni diverse, la conversione di Paolo. Inserito nella storia d’Israele, l’annuncio di Gesù rappresenta la convergenza e la conclusione dell’attesa del popolo Dio. Paolo non risparmia una denuncia del proprio comportamento contro i cristiani, crudele e profondamente irresponsabile, e tuttavia Paolo è ancora convinto di avere agito secondo alcuni criteri e valori maturati nella scuola ebraica. Egli voleva estirpare questa eresia perché tutto concordava, nelle sue valutazioni, con una situazione di menzogna e di tradimento. "Anzi alzati e sta ritto" (v 16): è il richiamo ad una missione profetica a cui Paolo è destinato. Egli deve essere “ministro e testimone della visione che hai visto e di quelle che di me vedrai”. Equiparato “ai testimoni oculari e ai ministri della Parola” (Lc1,2), gli viene fatta una promessa: “Sarà liberato da Israele e dai pagani per aprire gli occhi ai pagani perché vengano alla luce, si sottraggono al potere di Satana e ricevano il perdono dei peccati insieme con l’eredità e la fede in Gesù” (v 17). Mentre denuncia l'acredine verso di lui e la sua predicazione ai pagani (v 19), Paolo rivendica che il suo insegnamento ha come contenuto ciò che è stato previsto direttamente dai profeti e da Mosé (v 22).Questa riflessione colpisce molto Agrippa che esprime liberamente la sua impressione e il suo giudizio: "Quest'uomo non fa nulla che meriti la morte o il carcere". "Si sarebbe potuto rimettere in libertà quest'uomo, se non avesse appellato all'imperatore" dice Agrippa a Festo (vv 30-32).


Fratelli, a voi ho trasmesso, anzitutto, quello che anch’io ho ricevuto, cioè / che Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture/ e che fu sepolto / e che è risorto il terzo giorno secondo le Scritture / e che apparve a Cefa e quindi ai Dodici. In seguito apparve a più di cinquecento fratelli in una sola volta: la maggior parte di essi vive ancora, mentre alcuni sono morti. Inoltre apparve a Giacomo, e quindi a tutti gli apostoli. Ultimo fra tutti apparve anche a me come a un aborto. Io infatti sono il più piccolo tra gli apostoli e non sono degno di essere chiamato apostolo perché ho perseguitato la Chiesa di Dio. Per grazia di Dio, però, sono quello che sono, e la sua grazia in me non è stata vana. Anzi, ho faticato più di tutti loro, non io però, ma la grazia di Dio che è con me. Dunque, sia io che loro, così predichiamo e così avete creduto.
Con il capitolo 15 si potrebbe parlare di una terza parte della prima lettera ai Corinzi il cui centro focale è la risurrezione di Gesù. Paolo ci tiene a sottolinearlo ai suoi contemporanei (ma la chiarificazione vale anche per noi oggi) che il contenuto della fede cristiana non è una dottrina morale o sapienziale, Piuttosto il fondamento è costituito dagli avvenimenti della presenza di Gesù, figlio di Dio nel mondo, e, in particolare, dai fatti conclusivi della sua esistenza tra noi: la morte, la sepoltura e la risurrezione. Riporto alcuni testi biblici a cui la prima Comunità allude, ricavati dal Primo Testamento: “soffrì per i nostri peccati”: Isaia, 53,5-7: “ Egli è stato trafitto per i nostri delitti, schiacciato per le nostre iniquità. Il castigo che ci dà salvezza si è abbattuto su di lui; per le sue piaghe noi siamo stati guariti... il Signore fece ricadere su di lui l'iniquità di noi tutti”; la passione e morte di Gesù: Isaia53,8: “Con oppressione e ingiusta sentenza fu tolto di mezzo”; la sepoltura: Isaia 53,9 “Gli si diede sepoltura con gli empi, con il ricco fu il suo tumulo”, la resurrezione: Osea 6,3: “Affrettiamoci a conoscere il Signore, la sua venuta è sicura come l'aurora. Verrà a noi come la pioggia di autunno, come la pioggia di primavera, che feconda la terra»; Salmo 16,10: “Perché non abbandonerai la mia vita nel sepolcro, né lascerai che il tuo santo veda la corruzione; Giona riportato da Mt 12,40: “Come infatti Giona rimase tre giorni e tre notti nel ventre del pesce, così il Figlio dell'uomo resterà tre giorni e tre notti nel cuore della terra”. Sono ricordate qui le diverse apparizioni di Gesù "la cui testimonianza può essere ancora oggi proposta…da molte persone viventi" dice Paolo. Egli scrive a circa 25 anni dai fatti raccontati. Le testimonianze elencate sono sei e non corrispondono tutte a quelle riportate nei Vangeli perché Paolo, probabilmente, ha un suo documento di particolare valore per la sua antichità e non va dimenticato che i Vangeli sono stati scritti diversi anni dopo questa lettera, e ognuno in una propria ottica di catechesi.  È apparso “ai dodici” nello stesso giorno della risurrezione: e tuttavia, con questo numero, si vuol ricordare semplicemente il gruppo degli apostoli (in pratica sono solo 10; manca Tommaso e ovviamente anche Giuda il traditore). Si parla di 500 fratelli ma nei Vangeli un tale numero non si ricorda, a meno che si faccia riferimento al Monte della Galilea (Matteo 28,16) o al momento dell'ascensione al Monte degli ulivi (atti 1,12). Da ultimo Paolo parla dell’apparizione di cui lui stesso è stato testimone, incontra i nemici di Gesù che lo abbia visto e sentito risorto. Questa esperienza ha convertito il suo cuore. La sua testimonianza ha ancora più valore perché Paolo è stato un persecutore della prima Chiesa e lontanissimo ad ammettere la risurrezione di Gesù. Paolo però si rende conto che la risurrezione non può essere dimostrata mediante prove inoppugnabili: è una manifestazione di Dio per coloro che egli ha scelto. Se si vuole tuttavia riscoprire un senso e il segno della risurrezione, bisogna verificare il comportamento di coloro che credono. I discepoli avevano perso ogni speranza, si erano scandalizzati, erano fuggiti ed ora affermano che Gesù è vivo. Essi affrontano sofferenze e persecuzioni, nonostante la loro ignoranza (non hanno frequentato scuole particolari), difendono la risurrezione, così assurda allo stesso buon senso, sostengono le conseguenze nella loro ricerca religiosa e nel loro cammino, utilizzano proprio la Scrittura come garanzia della verità di Gesù rispetto ai teologi ed ai sacerdoti. Paolo incoraggia a fare lo stesso cammino degli apostoli, ad aprire le Scritture, ad ascoltare la Parola di Dio che viene proclamata nelle comunità cristiane ed invita ad aprire il cuore allo Spirito. In tal modo anche noi scopriremmo la pienezza della risurrezione come un dono di gloria che Gesù farà a tutti coloro che lo hanno seguito. Come possiamo dare speranza a tutti noi in un tempo di fatiche e di maggiore povertà, quando cadono molte illusioni e si scoprono molte insicurezze e molte incertezze sul futuro? La risurrezione potrebbe arricchirci di speranza e sprigionare novità, creatività, solidarietà, incoraggiamento comune, superando le paure e gli egoismi. Potrebbe essere possibile nella Comunità cristiana?

Giovanni 15, 26 - 16, 4

In quel tempo. Il Signore Gesù disse ai discepoli: «Quando verrà il Paràclito, che io vi manderò dal Padre, lo Spirito della verità che procede dal Padre, egli darà testimonianza di me; e anche voi date testimonianza, perché siete con me fin dal principio. Vi ho detto queste cose perché non abbiate a scandalizzarvi. Vi scacceranno dalle sinagoghe; anzi, viene l’ora in cui chiunque vi ucciderà crederà di rendere culto a Dio. E faranno ciò, perché non hanno conosciuto né il Padre né me. Ma vi ho detto queste cose affinché, quando verrà la loro ora, ve ne ricordiate, perché io ve l’ho detto./ Non ve l’ho detto dal principio, perché ero con voi»

Vi ho detto queste cose, perché ve ne ricordiate e non abbiate a scandalizzarvi”. Che cosa dice Gesù? Ci parla di Spirito, che è la vita stessa di Dio e di Gesù, che è il loro amore, la loro passione per gli uomini da salvare per una gioia incredibile, la stessa gioia di Dio; ci parla di testimonianza, che nasce dalla condivisione di vita con Lui; ci parla di persecuzione in nome dello stesso Dio. Ma siamo ancora a Pasqua? Sembrerebbe di no; ma forse dobbiamo capire che la Pasqua si traduce e si vive giorno per giorno: è il ‘passaggio’ ad un nuovo modo di vivere, quello di Gesù, non più in una prospettiva ristretta e perbenistica, ma ampia, illimitata, quella appunto delineata dallo Spirito. Lo Spirito di Dio è il soffio creatore, che rende nuove tutte le cose, che ci dice che ‘le cose vecchie sono passate, ne sono nate di nuove’ e quindi non dobbiamo intristirci in un orizzonte angusto, monotono, ripetitivo, ma essere disposti a lasciarci condurre in spazi illimitati, che richiedono coraggio, inventiva (l’inventiva dell’amore appassionato), testimonianza. Testimonianza, cioè apertura del nostro cuore abitato dalla vita e dal messaggio del Signore, che è grande, che è bello, inimmaginabile: altrimenti ci ridurremmo ad una testimonianza piccola, quella di noi stessi, che, se pure preziosa a volte per la nostra dignità umana, tuttavia rimane circoscritta e privata dell’inventiva dello Spirito. Tutto questo sembrerebbe bello, desiderabile, sorprendente. Ma subito dopo si parla di ‘persecuzione’ e questa parola ci porta immediatamente al concreto della vita e della storia, all’oggi che stiamo vivendo offuscato datante ombre di morte e di violenza inaudita. Il fatto di seguire Gesù non dà credito a nessuno sconto di dolore, di sconfitta, di delusione, proprio perché seguirlo fino alla sua uccisione, assunta da lui come dono/offerta per tutti gli uomini, è condividere sino in fondo il suo messaggio, il significato del suo camminare con noi, come uno di noi, nella mitezze e nella misericordia, per rivelarci il vero volto di Dio che è quello di chi assume fino in fondo la libertà dell’uomo nelle sue molteplici manifestazioni contraddittorie per riorientarla verso il bene e verso l’accogliersi come fratelli, responsabili gli uni della vita degli altri. Siamo invitati ad essere alla pari con Dio nell’amore per tutti. Come Gesù. Per questo abbiamo bisogno del suo Spirito, perché ci animi e ci guidi.