IV DI QUARESIMA
Domenica del Cieco
15/03/2015
Giovanni 9, 1-38b.
Riferimenti : Esodo 33, 7-11a - salmo 35 - 1 Tessalonicesi 4, 1b-12
Signore, giudica chi mi accusa, combatti chi mi combatte. Afferra i tuoi scudi e sorgi in mio aiuto. Vibra la lancia e la scure contro chi mi insegue, dimmi: "Sono io la tua salvezza". Siano confusi e coperti di ignominia quelli che attentano alla mia vita; retrocedano e siano umiliati quelli che tramano la mia sventura. Siano come pula al vento e l'angelo del Signore li incalzi; la loro strada sia buia e scivolosa quando li insegue l'angelo del Signore.

Esodo 33, 7-11a

In quei giorni. Mosè prendeva la tenda e la piantava fuori dell’accampamento, a una certa distanza dall’accampamento, e l’aveva chiamata tenda del convegno; appunto a questa tenda del convegno, posta fuori dell’accampamento, si recava chiunque volesse consultare il Signore. Quando Mosè usciva per recarsi alla tenda, tutto il popolo si alzava in piedi, stando ciascuno all’ingresso della sua tenda: seguivano con lo sguardo Mosè, finché non fosse entrato nella tenda. Quando Mosè entrava nella tenda, scendeva la colonna di nube e restava all’ingresso della tenda, e parlava con Mosè. Tutto il popolo vedeva la colonna di nube, che stava all’ingresso della tenda, e tutti si alzavano e si prostravano ciascuno all’ingresso della propria tenda. Il Signore parlava con Mosè faccia a faccia, come uno parla con il proprio amico.

Questo capitolo unisce insieme diverse tradizioni, ma il brano che stiamo leggendo sembra essere il nucleo più antico in cui confluiscono grandi e drammatiche scelte che Dio e Mosè, in reciproca sincerità, proporranno, arrivando quindi ad un accordo. Dio dice: “Su, esci di qui tu e il popolo… Ma io non verrò in mezzo a te…” (33,1). E’ un intervento molto duro di Dio che sembra quasi, “scaricare” il suo popolo. Si, è vero: la promessa rimane e la terra resta all’orizzonte la méta del cammino del popolo, ma… “Io non verrò in mezzo a te”.“Manderò davanti a te un angelo” (33,2). E’ una terribile novità! Dio dice: “Va’ pure verso la terra dove scorrono latte e miele. Ma io non verrò in mezzo a te, per non doverti sterminare lungo il cammino, perché tu sei un popolo di dura cervice» (33,3). “Il popolo udì questa triste notizia e tutti fecero lutto: nessuno più indossò i suoi ornamenti (33,4).“Tutti fecero lutto e si spogliarono dei loro ornamenti…”. La reazione del popolo alla notizia è il lutto – qui espresso attraverso un verbo che indica un profondo dolore per la perdita di una persona particolarmente cara – e lo spogliarsi degli ornamenti. In precedenza, per costruire il vitello d’oro era stata fatta una colletta forzata di raccolta. Adesso è un gesto spontaneo che indicala presa di coscienza del proprio peccato, il rimorso per quanto è avvenuto; dimostra di avere a cuore quel Dio che, in un momento di tenebra, il popolo ha abbandonato. La tenda diventa garanzia e segno di un patto che si rinnova giorno per giorno tra Dio e il popolo. Mosè è riuscito a porre una mediazione ed ha ottenuto che il Signore li accompagni, abbandonando la delega dell’angelo. La tenda diventa anche luogo di consultazione del popolo. Non si dice come avviene la mediazione con il Signore, ma c’è un dialogo, un porge reinterrogativi e un ascoltare soluzioni. E’ la tenda dell’incontro e delle scelte, della reciproca presenza e dell’ascolto. Si parla, ci si ascolta e si decide nella tenda del convegno che è anche la tenda delle scelte che vengono fatte dal popolo via via che si sposta nel deserto, da un posto ad un altro. E’ una tenda molto semplice, ad una certa distanza dall’accampamento, adatta per un colloquio personale e privato tra Dio e Mosè. E qui, nel testo letto (Es 33,7-11),vengono ricordati i segni di rispetto, la devozione, la trepidazione e il pudore nel seguire i movimenti dei propri rappresentanti, attenti a voler cogliere tutto ed a sfiorare con discrezione il mistero che si svolge sotto i propri occhi. C’è qui uno dei rari testi antichi che parlano della tenda: essa è il luogo del «convegno» di YHWHcon Mosè e il popolo (Nm 11,16s;12,4-10; cf.Es 29,42-43;Lv 1,1). Ed è verosimile che la tenda del deserto fosse il santuario dell’arca, e Giosuè vi fosse addetto (33,11). Consultare il Signore: cioè domandare un oracolo, tramite Mosè che, nella tenda, si intrattiene solo con Dio. Al suocero Ietro ha già confidato questo suo ruolo (Es18,15). Più tardi, si «consulterà»YHWH presso un uomo di Dio o un profeta (1Re 14,5;22,5.8;2Re 3,11;8,8; ecc.) oppure per mezzo delle sorti sacre (cf.1Sam 2,28;14,41).Alla fine “Dio cede”: “Disse il Signore a Mosè: «Anche quanto hai detto io farò, perché hai trovato grazia ai miei occhi e ti ho conosciuto per nome…» e rinnova la sua promessa(33,17).Questo assenso è segno di perdono e prelude al rinnovo dell’Alleanza che caratterizzerà il capitolo seguente. Israele torna ad essere “proprietà di Jaweh". La preghiera, la fedeltà di Mosè, la costanza, nonostante difficoltà e drammi, fanno arrendere Dio a Mosè: l'incidente dell'idolatria è definitivamente superato.


Fratelli, vi preghiamo e supplichiamo nel Signore Gesù affinché, come avete imparato da noi il modo di comportarvi e di piacere a Dio – e così già vi comportate –, possiate progredire ancora di più. Voi conoscete quali regole di vita vi abbiamo dato diparte del Signore Gesù. Questa infatti è volontà Di dio, la vostra santificazione: che vi asteniate dall’impurità, che ciascuno di voi sappia trattare il proprio corpo con santità e rispetto, senza lasciarsi dominare dalla passione, come i pagani che non conoscono Dio; che nessuno in questo campo offenda inganni il proprio fratello, perché il Signore punisce tutte queste cose, come vi abbiamo già detto e ribadito. Dio non ci ha chiamati all’impurità, ma alla santificazione. Perciò chi disprezza queste cose non disprezza un uomo, ma Dio stesso, che vi dona li suo santo Spirito. Riguardo all’amore fraterno, non avete bisogno che ve ne scriva; voi stessi infatti avete imparato da Dio ad amarvi gli uni gli altri, 1equesto lo fate verso tutti i fratelli dell’intera Macedonia. Ma vi esortiamo, fratelli, a progredire ancora di più e a fare tutto il possibile per vivere in pace, occuparvi delle vostre cose e lavorare con le vostre mani, come vi abbiamo ordinato, e così condurre una vita decorosa di fronte agli estranei e non avere bisogno di nessuno.
Paolo è preoccupato della situazione della comunità di Tessalonica, a cui è molto affezionato, anche perché, per lui, è, insieme, la prima grossa esperienza missionaria e la prova di un confronto con il mondo greco a cui egli vuole arrivare ad annunciare la fede di Gesù. Lo fa, iniziando dalla comunità ebraica ivi insediata, e quindi, con l’esperienza fatta ad Antiochia, ha la speranza di potere incontrare il mondo greco. Egli sa che ci sono tante persone disponibili a Gesù, ma che non possono incontrarlo se non lo conoscono. La fuga precipitosa di Paolo, da Tessalonica, per il pericolo della sua vita, ha lasciato lo stesso Paolo deluso per l’opera solo da poco iniziata. E', quindi, molto preoccupato. Ha atteso notizie da Timoteo che aveva mandato per conoscere gli sviluppi e questa lettera è anche un ringraziamento gioioso e sereno per le informazioni ricevute.“Questa infatti è volontà di Dio, la vostra santificazione: che vi asteniate dall’impurità, che ciascuno di voi sappia trattare il proprio corpo con santità e rispetto, senza lasciarsi dominare dalla passione, come i pagani che non conoscono Dio” (vv3-5). La volontà di Dio per a santificazione dei credenti aiuta a superare la dissolutezza propria di un mondo che dimentica totalmente comportamenti sessuali corretti. Per questo motivo viviamo su una terra dove c’è libero corso per gli istinti passionali senza rispetto e senza limiti. In questa mentalità corre un grande pericolo il matrimonio, e in tal modo viene profanata ogni fedeltà ed ingannato “il proprio fratello” a cui si sottrae la madre o la sposa. Una irresponsabilità, una mancanza di rispetto delle scelte fondamentali di altri, l’assalire il prossimo con richieste suggestive, attentando i diritti che non rispettano la condizione di impegno e di giustizia che ciascuno ha assunto nel suo vissuto, producono danni enormi. Si può sempre portare la scusa di superficialità, di non aver agito con malizia, di non averci pensato, di non sapere e tuttavia, nel mondo, si smantella, attraverso una rete intricata di debolezze, la santificazione di vita e si ha, come risultato, una infedeltà nel clima di collaborazione di sostegno e mancanza di responsabilità reciproca, di rispetto e di accoglienza. Se la santità è una preziosa scelta di fedeltà personale a Dio, risente ed ha bisogno di sostegni mentre cresce, attorno a sé, rispetto, responsabilità e desiderio di esemplarità. Ci sono, ora, suggerimenti sull’amore fraterno (vv 9-12). Paolo è soddisfatto dello stile e dell’equilibrio che questa sua comunità sviluppa e si compiace dell’accoglienza che ha verso tutti i fratelli della Macedonia. “Riguardo all’amore fraterno, non avete bisogno che ve ne scriva; voi stessi, infatti, avete imparato da Dio ad amarvi gli uni gli altri” (v 9). Insospettiscono, tuttavia, la preoccupazione e il suggerimento di: “vivere in pace”. Si sente l’irrequietezza di persone che poggiano la vita su espedienti per il proprio sostentamento, si danno persone che si danno da fare senza dignità per avere dagli altri quello che ognuno dovrebbe guadagnarsi con le proprie mani e col proprio lavoro, entrando anzi nella prospettiva del lavoro manuale che, nel mondo pagano, a differenza del mondo ebraico, è disprezzato e considerato come opera di schiavi. Il vero modo di vivere la carità è quello di provvedere personalmente al proprio sostentamento senza dipendere da nessuno. Tessalonica è una grande città di mare dove si trovano anche molti fannulloni. E’ probabile che ci siano, anche tra i credenti, persone incapaci di trovarsi un lavoro continuativo, sempre in attesa del colpo di fortuna per una richiesta di imbarco. Questo ci aprirebbe un grande capitolo sulla manualità e sulle competenze. Sulla manualità, in particolare, dovrebbe esserci una proposta precisa per tutti, soprattutto nel periodo educativo dei ragazzi e delle ragazze. E’ uno stile intelligente per affrontare il futuro lavorativo, utilizzando la curiosità e la voglia che ogni ragazzo e ragazza porta, latenti, di imparare e di produrre. Bisogna voler fare il giovane apprendista di lavori manuali, uomini e donne. C’è già, all’orizzonte, nei progetti della scuola anche italiana, l’ipotesi di educare nella società le nuove generazioni a sviluppare l’apprendistato durante il tempo scolastico, nella prospettiva ed i suggerimenti di unire insieme studio e lavoro, sviluppo per tutti. Andrebbero valorizzati, comunque, per disoccupati, immigrati, persone senza qualifiche, scuole di lingua italiana e formazione professionale serali. Nelle comunità cristiane, aiutati da qualche esperto, bisogna sviluppare queste riflessioni per un cammino di ricerca. Ma in tutto questo anche le istituzioni civili, sostenute ed aiutate dalle forze vive della società, superando gli egoismi e le contrapposizioni, i debbono poter provvedere ai bisogni esistenti nella società così complessa in cui viviamo. Non dobbiamo dimenticare che le esigenze emergenti sono: casa, lavoro e studio. La comunità cristiana non può limitarsi al pacco viveri, armadi di vestiti o ricupero mobili, sempre preziosi, certo, in circostanze particolari. Ma l’elemosina, che spesso è diseducativa se non si aprono, insieme, con la scuola, progetti di autonomia personalizzati, anche nell’ipotesi del piccolo commercio che temporaneamente può essere utile, non risolve ancora i problemi. E tuttavia, la Comunità cristiana deve continuare a vivere con amore e progredire mentre devono tornare in equilibrio alcune scelte religiose che si stanno compiendo e che provocano litigi e tensioni. Dovremmo con intelligenza riprendere la storia degli ultimi 100 anni per cogliere scelte ed itinerari e per capire anche il nostro tempo. Rileggiamo la conclusione del testo di Paolo: “Ma vi esortiamo, fratelli, a progredire ancora di più e a fare tutto il possibile per vivere in pace, occuparvi delle vostre cose e lavorare con le vostre mani, come vi abbiamo ordinato, e così condurre una vita decorosa di fronte agli estranei e non avere bisogno di nessuno” (4,10-12).

Piscina di Siloe

Giovanni 9, 1-38b.

In quel tempo. Passando, vide un uomo cieco dalla nascita e i suoi discepoli lo interrogarono: «Rabbi chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché sia nato cieco?». Rispose Gesù: «Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è perché in lui siano manifestate le opere di Dio. Bisogna che noi compiamo le opere dico lui che mi ha mandato finché è giorno; poi viene la notte, quando nessuno può agire. Finché io sono nel mondo, sono la luce del mondo". Detto questo, sputò per terra, fece del fango con la saliva, spalmò il fango sugli occhi del cieco e gli disse: «Va’ a lavarti nella piscina di Sìloe» – che significa Inviato. Quegli andò, si lavò e tornò che ci vedeva. Allora i vicini e quelli che lo avevano visto prima, perché era un mendicante, dicevano: «Non è lui quello che stava seduto a chiedere l’elemosina?».Alcuni dicevano: «È lui»; altri dicevano: «No, ma è uno che gli assomiglia». Ed egli diceva: «Sono io!». Allora gli domandarono: «In che modo ti sono stati apertigli occhi?». Egli rispose: «L’uomo che si chiama Gesù ha fatto del fango, mi ha spalmato gli occhi emi ha detto: “Va’ a Sìloe e làvati!”. Io sono andato, mi sono lavato e ho acquistato la vista». Gli dissero: «Dov’è costui?». Rispose: «Non lo so». Condussero dai farisei quello che era stato cieco: era un sabato, il giorno in cui Gesù aveva fatto del fango e gli aveva aperto gli occhi. Anche i farisei dunque gli chiesero di nuovo come aveva acquistato la vista. Ed egli disse loro: «Mi ha messo del fango sugli occhi, mi sono lavato e ci vedo». Allora alcuni dei farisei dicevano: «Quest’uomo non viene da Dio, perché non osserva il sabato». Altri invece dicevano: «Come può un peccatore compiere segni di questo genere?». E c’era dissenso tra loro. Allora dissero di nuovo al cieco: «Tu, che cosa dici di lui, dal momento che ti ha aperto gli occhi?». Egli rispose: «È un profeta!». Ma i Giudei non credettero di lui che fosse stato cieco e che avesse acquistato la vista, finché non chiamarono i genitori di colui che aveva ricuperato la vista. E li interrogarono: «È questo il vostro figlio, che voi dite essere nato cieco? Come mai ora ci vede?». I genitori di lui risposero: «Sappiamo che questo è nostro figlio e che è nato cieco; ma come ora ci veda non lo sappiamo, e chi gli abbia aperto gli occhi, noi non lo sappiamo. Chiedetelo a lui: ha l'età, parlerà lui di sé». Questo dissero i suoi genitori, perché avevano paura dei Giudei; infatti i Giudei avevano già stabilito che, se uno lo avesse riconosciuto come il Cristo, venisse espulso dalla sinagoga. Per questo i suoi genitori dissero: «Ha l'età: chiedetelo a lui!». Allora chiamarono di nuovo l’uomo che era stato cieco e gli dissero: «Da 'gloria a Dio! Noi sappiamo che quest’uomo è un peccatore». Quello rispose: «Se sia un peccatore, non lo so. Una cosa io so: ero cieco e ora ci vedo». Allora gli dissero: «Che cosa ti ha fatto? Come ti ha aperto gli occhi?». Rispose loro: «Ve l’ho già detto e non avete ascoltato; perché volete udirlo di nuovo? Volete forse diventare anche voi suoi discepoli?». Lo insultarono e dissero: «Suo discepolo sei tu! Noi siamo discepoli di Mosè! Noi sappiamo che a Mosè ha parlato Dio; ma costui non sappiamo di dove sia». Rispose loro quell’uomo: "Proprio questo stupisce: che voi non sapete di dove sia, eppure mi ha aperto gli occhi. Sappiamo che Dio non ascolta i peccatori, ma che, se uno onora Dio e fa la sua volontà, egli lo ascolta. Da che mondo è mondo, non si è mai sentito dire che uno abbia aperto gli occhi a un cieco nato. Se costui non venisse da Dio, non avrebbe potuto far nulla». Gli replicarono: «Sei nato tutto nei peccati e insegni a noi?». E lo cacciarono fuori. Gesù seppe che l’avevano cacciato fuori; quando lo trovò, gli disse: «Tu, credi nel Figlio dell’uomo?». Egli rispose: «E chi è, Signore, perché io creda in lui?». Gli disse Gesù: «Lo hai visto: è colui che parla conte». Ed egli disse: «Credo, Signore!».

"E lo cacciarono fuori". Chi recupera la vista e capisce, viene cacciato: dà fastidio dover rivedere le proprie posizioni, le proprie idee preconcette su questioni grosse come il peccato, la cecità, la guarigione In giorno di sabato, la consapevolezza delle proprie certezze in fatto di religione. La guarigione del cieco diventa un 'caso' che compromette tutto un sistema di tradizioni, di norme e di interpretazione delle Scritture. Non c'è posto per la compassione neppure nei riguardi di un cieco sin dalla nascita e per la gioia della sua vista recuperata. SI discute sui cavilli, si cercano del testimoni che avvalorino la propria posizione di 'uomini giusti' perché fanno parte dell'istituzione. Anche i discepoli lo interrogano perché risentono della mentalità comune. Un cieco, un malato, un menomato deve sempre dipendere dagli altri; meglio avere Intorno dei dipendenti che mendicando la tua elemosina e ti fanno sentire a posto con la tua bontà, piuttosto che una persona libera nella sua dignità, una persona che "vede" autonomamente, che capisce, che si rende conto della realtà e delle opposizioni che suscita. Per questo è cacciato fuori: fuori dalla propria vista, dai propri orizzonti limitati, dalla propria certezza di essere giusti e Irreprensibili. Fuori dal tempio; fuori dagli schemi che danno sicurezza, che s'incrinano dinanzi all'imprevedibile, alla presenza di Qualcuno che non vogliono riconoscere come l'inviato di Dio. Gesù, quando viene a sapere che il cieco che ha guarito è stato cacciato 'fuori', lo va a cercare per rassicurarlo e per suscitare un Incontro che diventerà indelebile nella sua vita. Gesù non dà spiegazioni sulla condizione del cieco del vangelo di Giovanni. Tanto meno si permette dì collegarla con qualche colpa. Semplicemente gli ridà la vista. Che importa se è giorno di sabato? Il dolore è un assoluto che ha la priorità su tutto. Gesù non spiega, ma interviene. Non si sofferma a creare 'casi' sulla sofferenza, ma la guarisce. E cosi facendo vuol far capire che Dio la condivide, ne fa oggetto della sua misericordia. E' come se dicesse, Lui che è II Figlio dell'uomo, che ne ha assunto pienamente la condizione: "il Signore è con te, ti è sempre accanto. Non temere: c'è qualcuno che ti vede e soffre con te". Se Lo si riconosce, è un incontro per sempre.