
SECONDA DOMENICA DI QUARESIMA
(DELLA SAMARITANA) 1 MARZO 2015
Giovanni 4,5-42
Riferimenti : Dt 5,1-2.6-21 - salmo 18 - Efesini 4,1-7 |
Disse dunque Saul : Ti amo, Signore, mia forza,
Signore, mia roccia, mia fortezza, mio liberatore; mio Dio, mia
rupe, in cui trovo riparo; mio scudo e baluardo, mia potente
salvezza. Invoco il Signore, degno di lode, e sarò salvato dai
miei nemici. Mi circondavano flutti di morte, mi travolgevano
torrenti impetuosi; gia mi avvolgevano i lacci degli inferi, gia
mi stringevano agguati mortali. Nel mio affanno invocai il
Signore, nell'angoscia gridai al mio Dio: dal suo tempio ascoltò
la mia voce, al suo orecchio pervenne il mio grido. |
Dt 5,1-2.6-21 In quei giorni.
Mosè convocò tutto Israele e disse loro:
«Ascolta, Israele, le leggi e le norme che oggi
io proclamo ai vostri orecchi: imparatele e
custoditele per mettele in pratica. Il Signore,
nostro Dio, ha stabilito con noi un’alleanza
sull’Oreb. “Io sono il Signore, tuo Dio, che ti
ho fatto uscire dalla terra d’Egitto, dalla
condizione servile. Non avrai altri dèi di
fronte a me. Non ti farai idolo né immagine
alcuna di quanto è lassù nel cielo né di quanto
è quaggiù sulla terra né di quanto è nelle acque
sotto la terra. Non ti prostrerai davanti a loro
e non li servirai. Perché io, il Signore, tuo
Dio, sono un Dio geloso, che punisce la colpa
dei padri nei figli fino alla terza e alla
quarta generazione, per coloro che mi odiano, ma
che dimostra la sua bontà fino a mille
generazioni, per quelli che mi amano e osservano
i miei comandamenti. Non pronuncerai invano
il nome del Signore, tuo Dio, perché il Signore
non lascia impunito chi pronuncia il suo nome
invano. Osserva il giorno del sabato per
santificarlo, come il Signore, tuo Dio, ti ha
comandato. Sei giorni lavorerai e farai ogni tuo
lavoro; ma il settimo giorno è il sabato in
onore del Signore, tuo Dio: non farai alcun
lavoro, né tu, né tuo figlio, né tua figlia, né
il tuo schiavo, né la tua schiava, né il tuo
bue, né il tuo asino, né il tuo bestiame, né il
forestiero che dimora presso di te, perché il
tuo schiavo e la tua schiava si riposino come
te. Ricòrdati che sei stato schiavo nella terra
d’Egitto e che il Signore, tuo Dio, ti ha fatto
uscire di là con mano potente e braccio teso;
perciò il Signore, tuo Dio, ti ordina di
osservare il giorno del sabato. Onora tuo padre
e tua madre, come il Signore, tuo Dio, ti ha
comandato, perché si prolunghino i tuoi giorni e
tu sia felice nel paese che il Signore, tuo Dio,
ti dà. Non ucciderai, Non commetterai
adulterio. Non ruberai. Non pronuncerai
testimonianza menzognera contro il tuo prossimo.
Non desidererai la moglie del tuo prossimo.
Non bramerai la casa del tuo prossimo, né il suo
campo, né il suo schiavo, né la sua schiava, né
il suo bue, né il suo asino, né alcuna cosa che
appartenga al tuo prossimo”».
Nel libro del Deuteronomio (5,1-2.6-21), Mosè
inizia il suo secondo discorso in cui svilupperà
l'esortazione all'osservanza della legge di Dio
nell'Alleanza del Sinai (cc 6-11). E, prima di
tutto, ricorda i precetti del Signore che
vogliono esprimere le esigenze che il popolo
deve concretamente sviluppare per entrare in
comunione con Dio. Vengono detti "Decalogo":
sono, infatti, le "dieci parole" che Dio
pronuncia per ricostruire un popolo libero e
duraturo, a somiglianza delle dieci parole che
l'autore biblico ricorda nel primo racconto
della creazione per creare il mondo (Gen. 1). Se
Dio può fare il mondo gratuitamente e da solo,
può però mantenere nella consistenza e nella
vitalità il suo popolo solo mediante
l'ubbidienza alle sue leggi. Questa edizione dei
"Comandamenti" è simile ad un'altra, presentata
nel libro dell'Esodo (20,2-17). Tutte e due, in
sintesi, ripercorrono i fondamentali doveri
religiosi e morali dell'uomo verso Dio e il
prossimo. Qualche variazione, nel libro del
Deuteronomio (che leggiamo oggi) è data dalla
preoccupazione di rendere più attuale e viva la
Parola di Dio. Nella tradizione occidentale, la
proibizione dell'immagine è parte del primo
comandamento mentre sono due i comandamenti del
"desiderio": "non desiderare la donna d'altri e
la roba d'altri" (il 9° e il 10º). Nelle
comunità ebraiche, invece, la proibizione delle
immagini è un comandamento a sé, mentre i
comandamenti del "desiderio", il 9° e il 10º,
vengono formulati come un solo comando. Dopo il
precetto sul "nome" divino da non violare
"invano", cioè con un uso magico e offensivo,
appare la prima notevole variante. Essa è nel
comandamento sul sabato. Il riposo e il culto
del sabato, nel capitolo 20 dell'Esodo (vv.
8-11), erano considerati una celebrazione
dell'opera della creazione ( si rilegga Genesi
2,1-4). Ora, invece, il sabato è visto come
memoria della liberazione dalla schiavitù
d'Egitt0. E' quindi il giorno della libertà' per
cui ci si deve ricordare del Signore che vince
ogni oppressione e invita Israele a superare
ingiustizia e schiavitù. Infine, con l'ultimo
comandamento, che unisce il nono e il decimo
sotto l'imperativo del "non desiderare" (cioè
del non progettare il male), si ha la seconda
variazione di rilievo. La donna viene anticipata
rispetto alla casa, al campo, agli schiavi, agli
animali del prossimo: si tempera, così, la
visione arcaica maschilista che riduceva la
donna a un bene di proprietà della famiglia. Gesù
dirà che per entrare nella vita eterna sono
sufficienti i dieci comandamenti (Mc 10,17-22).
Poi però Gesù aggiungerà i consigli
evangelici. Al di fuori della Legge, l'Antico
Testamento ricorda raramente il decalogo, anche
se ci sono dei richiami (Os 4,1; Ger 7,8; Salmo
81,10-11) ma acquisterà molto valore nel
Cristianesimo attraverso l'uso che se ne fa nel
Nuovo Testamento."Colui che comanda è anche il
tuo liberatore" (v 6): sono leggi per la tua
salvezza, per la tua speranza, per la tua
libertà. La polemica di S. Paolo, nella lettera
ai Galati e ai Romani sulla legge (mosaica), non
è contro i valori proposti, ma
sull'interpretazione che si dava a suo tempo,
poiché si moltiplicavano obblighi e restrizioni
esasperate, non in linea con il messaggio di
Gesù.
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Efesini 4,1-7 Vi esorto dunque
io, il prigioniero nel Signore, a comportarvi in maniera degna
della vocazione che avete ricevuto, con ogni umiltà,
mansuetudine e pazienza, sopportandovi a vicenda con amore,
cercando di conservare l'unità dello spirito per mezzo del
vincolo della pace. Un solo corpo, un solo spirito, come
una sola è la speranza alla quale siete stati chiamati, quella
della vostra vocazione; un solo Signore, una sola fede, un
solo battesimo. Un solo Dio Padre di tutti, che è al di
sopra di tutti, agisce per mezzo di tutti ed è presente in
tutti. A ciascuno di noi, tuttavia, è stata data la grazia
secondo la misura del dono di Cristo.
Inizia, nella lettera agli Efesini, una seconda parte che
intende suggerire un progetto di vita cristiana, ancorata
all'unità di credenti che costituiscono il corpo di Cristo.
Vengono dati cinque suggerimenti di comportamento, e il numero
cinque potrebbe essere il richiamo alla Legge, alla nuova Legge
come per gli ebrei la Legge è costituita nei primi cinque libri
della Scrittura. Comportarsi in maniera degna della chiamata
significa vivere "con umiltà, dolcezza, magnanimità,
sopportazione nell'amore ( e potrebbe essere tradotto come
accoglienza) e responsabilità dell'unità per mezzo della pace".
Paolo premette, a questo suggerimento di vita, il fatto di
essere "prigioniero a motivo del Signore". Egli si pone come
richiamo di stile di vita: infatti si è giocato la libertà e il
futuro, probabilmente, per la fede in Gesù. Egli crede in Gesù e
vuole intensamente che viva nel cuore di ogni comunità. Così,
ricordando il coraggio della unità, elenca sette ragioni perché
ci sia un cammino di comunione. Inizia dall'essere "un unico
corpo" fino ad avere "un unico Dio, padre di tutti".
L'esperienza rende consapevoli del lavoro che bisogna fare per
la fede, perché bisogna vivere in una comunità. E Paolo si
preoccupa di dire: "Avete, fondamentalmente, a modello Cristo
che accoglie tutti senza distinzione, si mette a disposizione di
tutti, offre la sua vita per tutti". L'unità nella comunità
cristiana non è frutto di simpatia, di interessi, di accordi, di
razza, lingua, cultura, mentalità, carattere. Persino la stessa
religione può portare a indurimenti e a tensioni diversi, fino a
giungere ad esclusioni, a lacerazioni, a rifiuti. Se poi ci si
gioca in una dimensione di potere, proprio la scusa del
difendere la religione può condurre all'oppressione dell'altro.
La storia della Chiesa si offre anche questi esempi. Tutto ciò
nasce dalla istintività, dalla radice di male che faticosamente
ciascuno deve estirpare da sé, da paure, dalla volontà di
potenza. Tutto il testo continua nell'incoraggiare una unità
matura, adulta, fedele, capace di accoglienza. Ciascuno è
chiamato ad una collaborazione, e deve svolgere una sua
vocazione ed un suo compito. La nostra esperienza, superando
diffidenze e paure, ci sta insegnando che le diversità
costituiscono ricchezza. Vanno favoriti gli incontri, gli aiuti
reciproci, la collaborazione. A ciascuno di noi sono stati
dati doni particolari. Mantenendo con coraggio l'unità e
l'accoglienza, questi doni si moltiplicano e diventano
testimonianza, capaci di portare speranza nel mondo. Tutto
questo è segno e premessa di pace.
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Giovanni 4,5-42 Giunse così a una
città della Samaria chiamata Sicar, vicina al terreno che Giacobbe aveva dato
a Giuseppe suo figlio: qui c’era un pozzo di Giacobbe. Gesù dunque,
affaticato per il viaggio, sedeva presso il pozzo. Era circa mezzogiorno.
Giunge una donna samaritana ad attingere acqua. Le dice Gesù: «Dammi da
bere». I suoi discepoli erano andati in città a fare provvista di cibi.
Allora la donna samaritana gli dice: «Come mai tu, che sei giudeo, chiedi da
bere a me, che sono una donna samaritana?». I Giudei infatti non hanno
rapporti con i Samaritani. Gesù le risponde: «Se tu conoscessi il dono di Dio
e chi è colui che ti dice: “Dammi da bere!”, tu avresti chiesto a lui ed egli
ti avrebbe dato acqua viva». Gli dice la donna: «Signore, non hai un secchio
e il pozzo è profondo; da dove prendi dunque quest’acqua viva? Sei tu forse
più grande del nostro padre Giacobbe, che ci diede il pozzo e ne bevve lui
con i suoi figli e il suo bestiame?». Gesù le risponde: «Chiunque beve di
quest’acqua avrà di nuovo sete; ma chi berrà dell’acqua che io gli darò, non
avrà più sete in eterno. Anzi, l’acqua che io gli darò diventerà in lui una
sorgente d’acqua che zampilla per la vita eterna». «Signore – gli dice la
donna –, dammi quest’acqua, perché io non abbia più sete e non continui a
venire qui ad attingere acqua». Le dice: «Va’ a chiamare tuo marito e ritorna
qui». Gli risponde la donna: «Io non ho marito». Le dice Gesù: «Hai detto
bene: “Io non ho marito”. Infatti hai avuto cinque mariti e quello che hai
ora non è tuo marito; in questo hai detto il vero». Gli replica la donna:
«Signore, vedo che tu sei un profeta! I nostri padri hanno adorato su questo
monte; voi invece dite che è a Gerusalemme il luogo in cui bisogna adorare».
Gesù le dice: «Credimi, donna, viene l’ora in cui né su questo monte né a
Gerusalemme adorerete il Padre. Voi adorate ciò che non conoscete, noi
adoriamo ciò che conosciamo, perché la salvezza viene dai Giudei. Ma viene
l’ora – ed è questa – in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito
e verità: così infatti il Padre vuole che siano quelli che lo adorano. Dio è
spirito, e quelli che lo adorano devono adorare in spirito e verità». Gli
rispose la donna: «So che deve venire il Messia, chiamato Cristo: quando egli
verrà, ci annuncerà ogni cosa». Le dice Gesù: «Sono io, che parlo con te». In
quel momento giunsero i suoi discepoli e si meravigliavano che parlasse con
una donna. Nessuno tuttavia disse: «Che cosa cerchi?», o: «Di che cosa parli
con lei?». La donna intanto lasciò la sua anfora, andò in città e disse alla
gente: «Venite a vedere un uomo che mi ha detto tutto quello che ho fatto.
Che sia lui il Cristo?». Uscirono dalla città e andavano da lui. Intanto i
discepoli lo pregavano: «Rabbì, mangia». Ma egli rispose loro: «Io ho da
mangiare un cibo che voi non conoscete». E i discepoli si domandavano l’un
l’altro: «Qualcuno gli ha forse portato da mangiare?». Gesù disse loro: «Il
mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e compiere la sua
opera. Voi non dite forse: “Ancora quattro mesi e poi viene la mietitura”?
Ecco, io vi dico: alzate i vostri occhi e guardate i campi che già
biondeggiano per la mietitura. Chi miete riceve il salario e raccoglie frutto
per la vita eterna, perché chi semina gioisca insieme a chi miete. In questo
infatti si dimostra vero il proverbio: uno semina e l’altro miete. Io vi ho
mandati a mietere ciò per cui non avete faticato; altri hanno faticato e voi
siete subentrati nella loro fatica». Molti Samaritani di quella città
credettero in lui per la parola della donna, che testimoniava: «Mi ha detto
tutto quello che ho fatto». E quando i Samaritani giunsero da lui, lo
pregavano di rimanere da loro ed egli rimase là due giorni. Molti di più
credettero per la sua parola e alla donna dicevano: «Non è più per i tuoi
discorsi che noi crediamo, ma perché noi stessi abbiamo udito e sappiamo che
questi è veramente il salvatore del mondo». Ogni giorno
leggiamo sui giornali e ascoltiamo in televisione i risultati di qualche
sondaggio. Vengono ormai commissionati sondaggi su qualsiasi tema. Non
meraviglia dunque che si producano indagini statistiche anche sui fenomeni
religiosi. I dati più recenti indicano che il 90% della popolazione italiana
è interessata al religioso. Di questo 90%, a parte una piccola quota di
appartenenti a religioni tradizionali minoritarie e a nuovi movimenti, il 33%
si dichiara cattolico praticante e il 54% confluisce nel far-west religioso
del credere senza appartenere. Cosa vuol dire quest'ultima espressione? Si
riferisce ad una spiritualità vagabonda, di chi qualche volta va a messa la
domenica, poi ascolta una conferenza del Dalai Lama, legge libri come la
Profezia di Celestino, si interessa di Reiki e crede fermamente nella
reincarnazione. Per menzionare solo un altro dato, oggi la percentuale degli
italiani che crede agli angeli è sensibilmente più alta di quelli che credono
in Dio! Ecco dunque che un rinato interesse del religioso diventa una ricerca
del magico, del miracoloso, del misterioso, che rischia di svuotare le nostre
Chiese. Il "credere senza appartenere" è la forma moderna del politeismo: a
seconda degli stati d'animo e delle situazioni, si evocano dèi diversi per
ricevere conforto, soccorso o illuminazione. Di fronte a questo supermarket
della spiritualità, sta il brano del Vangelo di oggi. È Gesù ad avviare il
colloquio con la samaritana. Gesù chiede alla donna un gesto semplice che
ella è in grado di compiere: attingere acqua dal pozzo era infatti
un'attività assegnata di consueto alle donne. Gesù mostra di sapere tutto
della donna ma di non condannare nulla. Quindi Gesù rovescia lo schema: sii
adesso tu, o donna, a chiedere a me l'acqua; sii adesso tu, o donna, a
volermi conoscere e accogliere. Lei all'inizio non capisce. Si stupisce che
un giudeo dialoghi con una samaritana. Si stupisce che un uomo possa tirar su
lui l'acqua dal pozzo. Si stupisce che Dio si possa adorare né sul monte Sion
dei giudei, né sul monte Garizim dei samaritani, bensì ovunque. Si stupisce
quando Gesù «le dice che anche lei, donna, per di più quanto mai disprezzata,
perché samaritana, impura, infedele al marito, e a più mariti, può
partecipare alla vita vera, quella del rapporto d'amore con Dio che è
tutt'uno con la sua libertà perché dipende soltanto da lei credervi» (Ida
Magli). Lo stupore della donna cresce talmente che alla fine capisce: Gesù le
sta chiedendo di accettare in sé lo Spirito, con la stessa semplicità con cui
si beve dell'acqua quando si è assetati. L'incedere stesso del racconto ci
suggerisce come si realizza questo accoglimento dello Spirito. Non è la
samaritana a cercare Gesù. Se lo trova davanti. Inizia ad ascoltarlo. Si
accorge che parla proprio a lei, così com'è. Le basta continuare ad
ascoltarlo. «Se tu conoscessi il dono di Dio...», dice Gesù alla donna.
«Dammi quest'acqua», risponde la donna. Tutto qui. Lo Spirito non richiede
mediazioni, preparazioni e giustificazioni. Va semplicemente accolto. E
l'accettazione sincera non lascia spazio al nomadismo religioso. Lo Spirito
estingue la sete, come annuncia il profeta Ezechiele al popolo ebraico: «Vi
aspergerò con acqua pura e sarete purificati, vi purificherò di tutte le
vostre sozzure e di tutti i vostri idoli, vi darò un cuore nuovo, toglierò da
voi il cuore di pietra e vi darò un cuore di carne. Porrò il mio Spirito
dentro di voi». Ci siamo concentrati sulla prima parte del brano evangelico,
ma la seconda parte è non meno importante. Gli apostoli attorniano Gesù. Non
comprendono il suo colloquio con la donna. E Gesù risponde parlando della
Chiesa. Coloro che hanno ricevuto lo Spirito diventano comunità,
riconoscendosi l'un con l'altro in quanto riconoscono che Dio si è fatto
uomo: qui Gesù, col riferimento al "mio cibo", preannuncia l'Eucarestia. Ma
gli apostoli sono mandati a mietere quello che non hanno lavorato. I
sacerdoti della Chiesa si limitano a raccogliere, a organizzare, a preservare
una risorsa - la Grazia - che discende direttamente dallo Spirito su ognuno
di noi se, come la samaritana, l'accogliamo. Uscire dalla palude del "credere
senza appartenere" richiede insomma due momenti. Il primo è l'ascolto e
l'accoglimento dello Spirito. Il secondo è il farsi comunità, l'appartenersi
reciprocamente nel Suo nome. Lo Spirito è come "acqua viva" nella preghiera,
che all'inizio nasce stentata, limitata, ripetitiva; poi man mano che la fede
cresce (se cresce), trova nuove parole, nuove espressioni, nuova forza e
nuova vitalità. Fino a giungere alla condizione in cui è lo Spirito che prega
in noi e viene meno la distinzione fra i tempi dediti alla preghiera e il
resto della vita: la vita stessa diventa preghiera.
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