DOMENICA DELLE PALME
29/03/2015

Giovanni 11, 55 - 12, 11

Riferimenti :  Isaia. 52, 13 - 53, 12 - Salmo  47 - Ebrei. 12, 1b-3
Applaudite, popoli tutti, acclamate Dio con voci di gioia;  perché terribile è il Signore, l'Altissimo,
re grande su tutta la terra.  Egli ci ha assoggettati i popoli, ha messo le nazioni sotto i nostri piedi.
 La nostra eredità ha scelto per noi, vanto di Giacobbe suo prediletto.  Ascende Dio tra le acclamazioni,
il Signore al suono di tromba.  Cantate inni a Dio, cantate inni; cantate inni al nostro re, cantate inni;  perché Dio è re di tutta la terra, cantate inni con arte.

Isaia. 52, 13 - 53, 12

Così dice il Signore Dio: Ecco, il mio servo avrà successo, sarà onorato, esaltato e innalzato grandemente. Come molti si stupirono di lui – tanto era sfigurato per essere d’uomo il suo aspetto e diversa la sua forma da quella dei figli dell’uomo, così si meraviglieranno di lui molte nazioni; i re davanti a lui si chiuderanno la bocca, poiché vedranno un fatto mai a essi raccontato e comprenderanno ciò che mai avevano udito,1Chi avrebbe creduto al nostro annuncio? A chi sarebbe stato manifestato il braccio del Signore? È cresciuto come un virgulto davanti a lui e come una radice in terra arida. Non ha apparenza né bellezza per attirare i nostri sguardi, non splendore per poterci piacere. Disprezzato e reietto dagli uomini, uomo dei dolori che ben conosce il patire, come uno davanti al quale ci si copre la faccia; era disprezzato e non ne avevamo alcuna stima. Eppure egli si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori; e noi lo giudicavamo castigato, percosso da Dio e umiliato. Egli è stato trafitto per le nostre colpe, schiacciato per le nostre iniquità. Il castigo che ci dà salvezza si è abbattuto su di lui; per le sue piaghe noi siamo stati guariti. Noi tutti eravamo sperduti come un gregge, ognuno di noi seguiva la sua strada; il Signore fece ricadere su di lui l’iniquità di noi tutti. Maltrattato, si lasciò umiliare e non aprì la sua bocca; era come agnello condotto al macello, come pecora muta di fronte ai suoi tosatori, e non aprì la sua bocca. Con oppressione e ingiusta sentenza fu tolto di mezzo; chi si affligge per la sua posterità? Sì, fu eliminato dalla terra dei viventi, per la colpa del mio popolo fu percosso a morte. Gli si diede sepoltura con gli empi, con il ricco fu il suo tumulo, sebbene non avesse commesso violenza né vi fosse inganno nella sua bocca. Ma al Signore è piaciuto prostrarlo con dolori. Quando offrirà se stesso in sacrificio di riparazione, vedrà una discendenza, vivrà a lungo, si compirà per mezzo suo la volontà del Signore. Dopo il suo intimo tormento vedrà la luce e si sazierà della sua conoscenza; il giusto mio servo giustificherà molti, egli si addosserà le loro iniquità. Perciò io gli darò in premio le moltitudini, dei potenti egli farà bottino, perché ha spogliato se stesso fino alla morte ed è stato annoverato fra gli empi, mentre egli portava il peccato di molti e intercedeva per i colpevoli.

Questa domenica introduce nella Settimana Santa, e diventa, nello spirito della liturgia, la celebrazione del significato di ciò che contempleremo e mediteremo durante questi prossimi otto giorni. Iniziamo con la rivelazione di Isaia che parla della "servo di Dio" nel bellissimo e drammatico testo del "quarto carme". Il profeta, palesemente, garantisce i segni di Dio tra noi, vivi e presenti da sempre. E tuttavia, poiché nascosti, li abbiamo creduti e interpretati nella nostra povera fede. Ma quando i segni di Diosi manifestano, (e in questo canto si aprono e diventano palesi), ci sconcertano, ci disorientano, ci allontanano tra ciò che abbiamo sempre creduto. Istintivamente abbiamo sempre pensato: "Dio è con i giusti; la giustizia, anche se faticosa, troverà il suo trionfo. Il tradimento è male ed è perdente. Il gratuito è la forma più alta dell'amore ma va apprezzato, altrimenti è inutile. Ci ritroviamo con Gesù che è il giusto e quindi nessuno può condannarlo -pensiamo perché è amico di Dio” Poi ci troviamo con un fatto terribile. Credevamo in Gesù ma egli è braccato, rifiutato, giudicato e condannato. È trattato come un delinquente, un assassino, un bestemmiatore, un nemico della pace. Tutte le sue parole muoiono nell'esperienza di un condannato. Ma allora non può essere giusto; ha il volto tumefatto. Tutto questo è la più aperta dimostrazione che Dio ha abbandonato quest'uomo e quindi lo ha misconosciuto”. Se ragioniamo arriviamo a queste conclusioni. Se ci fermiamo e crediamo di trovarci davanti al mistero, restiamo perplessi e fondamentalmente indifferenti. Il testo di Isaia ci dà ragione e ci contraddice nello stesso tempo, poiché Dio entra prepotentemente nella vita del suo "servo" e lo accoglie in questa tragedia, lo accetta come la vittima di ciò che il male ha fatto e fa nel mondo, lo apprezza come il segno di un amore enorme per chi lo ha condannato, come offerta di fiducia al Padre. Questo misterioso "servo di Dio" (il titolo onorifico è riservato a uomini grandi come Mosé e Davide)ha accettato non solo la mediazione con il suo popolo ma ha preso su di sé la tragedia che il male porta. Mentre nel nostro immaginario il male deve essere castigato da Dio, in realtà il male produce veleno che scatena distruzioni, violenza e morte per se stesso. Così il "servo di Dio" ha sostituito il suo popolo e ha mostrato che la solidarietà con chi sbaglia, accettando la sua pena, crea l'antidoto. L'amore enorme, che solo Gesù poteva dare in quel modo, cambia i destini del mondo ed anche i nostri itinerari. Il nostro piccolo amore può unirsi a quello di Gesù e cambiare il mondo. Il testo resta fondamentale nella riflessione cristiana. Dio interviene (52,13), all'inizio del testo che leggiamo, garantendo il senso del soffrire del suo "servo" e della sua salvezza. E sempre Dio interviene alla conclusione di questo brano (53,11-12), garantendo lo splendore di una discendenza che scoprirà di essere stata amata da chi ha coraggiosamente dato la vita nella intercessione. Tra questi due interventi di Dio c'è la comunità cristiana che eredità il mistero del "servo" ed è invitata, alla luce della fede in Cristo, a scoprire il senso del suo vivere di Figli, il valore delle parole ereditate e, insieme, un nuovo modo di interpretare la realtà, e un nuovo stile di vivere e di morire in Gesù.

Ebrei. 12, 1b-3
Fratelli, avendo deposto tutto ciò che è di peso e il peccato che ci assedia, corriamo con perseveranza nella corsa che ci sta davanti, tenendo fisso lo sguardo su Gesù, colui che dà origine alla fede e la porta a compimento. Egli, di fronte alla gioia che gli era posta dinanzi, si sottopose alla croce, disprezzando il disonore, e siede alla destra del trono di Dio. 3Pensate attentamente a colui che ha sopportato contro di sé una così grande ostilità dei peccatori, perché non vi stanchiate perdendovi d’animo.
I cristiani, a cui viene scritta questa lettera, si sentono perseguitati e in difficoltà. Fa loro rabbia, ed è evidente, il fatto che i loro sforzi di coerenza si concludano, nel contesto della vita quotidiana e di fronte alle istituzioni, in incomprensioni, disagi, sospetti ed inimicizia. Sono tentati di abbandonare tutto per la fatica che costa, La stessa immagine dello stadio richiama, in modo comprensibile, sia lo sforzo e sia l'obbligo di mantenere una propria concentrazione, "tenendo fisso lo sguardo su Gesù". Egli è all'inizio della nostra fede ed alla conclusione del nostro cammino: egli si propone come inizio e fine, fondamento e vertice della nostra esistenza. Per una corsa nello stadio, "circondati da una moltitudine di testimoni" (v 12,1: ci si riferisce ai luminosi esempi di fede dei giusti del Vecchio Testamento lungamente ricordati nel capitolo 11), bisogna sbarazzarci dei pesi e dei peccati che ci rallentano e intralciano la corsa,. Corriamo avendo davanti agli occhi Gesù che sa preferire la croce alla gioia che pur poteva permettersi di raggiungere poiché "gli era posta dinanzi". Egli ha disprezzato l'ignominia, e questa è stata l'immagine offerta alla gente del suo tempo, a tutti, dolorosa e infamante. Ma questa scelta coraggiosa e libera di camminare fino alla morte, mettendo a rischio la sua reputazione e la sua fama, l'ha portato alla glorificazione, "assiso alla destra del trono di Dio" (v. 2).Questa forza, vissuta fino in fondo, accettando una "terribile ostilità" di sentimenti e di fatti diventa esemplare per la nostra fatica e il nostro coraggio. Per questo la Chiesa non si deve aspettare grandi riconoscimenti di risultati e di gloria, ma speranza che molti facciano propri questa chiarezza di scelte e queste testimonianze nel mondo. Di fatto ci sono ancora molti cristiani che soffrono per la fede in Gesù. Ci se3ntiamo profondamente solidali con loro ma, nello stesso tempo, ci pongono il problema delle motivazioni e dei perché. Dobbiamo stare sempre attenti a quello che presentiamo come cristiano. Il nostro compito, nella storia, è di sbarazzarci di ciò che è "peccato e che è di peso", ripulendo continuamente scelte e mentalità, non sufficientemente misurate "nello sguardo su Gesù", senza scambiare le nostre tradizioni e i nostri fondamentalismi come dogmi di fede.

Giovanni 11, 55 - 12, 11

Era vicina la Pasqua dei Giudei e molti dalla regione salirono a Gerusalemme prima della Pasqua per purificarsi. Essi cercavano Gesù e, stando nel tempio, dicevano tra loro: «Che ve ne pare? Non verrà alla festa?». Intanto i capi dei sacerdoti e i farisei avevano dato ordine che chiunque sapesse dove si trovava lo denunciasse, perché potessero arrestarlo. Sei giorni prima della Pasqua, Gesù andò a Betània, dove si trovava Lazzaro, che egli aveva risuscitato dai morti. E qui fecero per lui una cena: Marta serviva e Lazzaro era uno dei commensali. Maria allora prese trecento grammi di profumo di puro nardo, assai prezioso, ne cosparse i piedi di Gesù, poi li asciugò con i suoi capelli, e tutta la casa si riempì dell’aroma di quel profumo. Allora Giuda Iscariota, uno dei suoi discepoli, che stava per tradirlo, disse: «Perché non si è venduto questo profumo per trecento denari e non si sono dati ai poveri?». Disse questo non perché gli importasse dei poveri, ma perché era un ladro e, siccome teneva la cassa, prendeva quello che vi mettevano dentro. Gesù allora disse: «Lasciala fare, perché essa lo conservi per il giorno della mia sepoltura. I poveri infatti li avete sempre con voi, ma non sempre avete me».9Intanto una grande folla di Giudei venne a sapere che egli si trovava là e accorse, non solo per Gesù, ma anche per vedere Lazzaro che egli aveva risuscitato dai morti. I capi dei sacerdoti allora decisero di uccidere anche Lazzaro, perché molti Giudei se ne andavano a causa di lui e credevano in Gesù.

Oggi nel Vangelo, all'inizio della Settimana Santa, campeggia la figura di Maria di Betania. E' la donna del silenzio, Infatti non pronuncia parole né dice cose superflue, ma i suoi gesti sono significativi in assoluto. Il contesto è quello di una cena in casa di amici, talmente amici che Gesù vi ha da poco compiuto un segno straordinario: Lazzaro richiamato in vita e restituito alle sorelle. E' una cena che anticipa l'ultima di Gesù, Il giovedì successivo, nel cenacolo, all'inizio della settimana che sarà cruciale per Gesù. Una cena struggente, densa di affetti, in cui non c'è posto per chi ragiona da calcolatore, perché si svolge tutta sul piano dell'intuizione e del sentimenti profondi. Tanto profondi che debordano in imprevedibili gesti dai profumo inondante dell'amore, della gratuità dell'amore. Infatti sembra un elogio dello 'spreco' (e la gratuità non può essere che spreco di sé), della sovrabbondanza di gesti inconsueti dettati dall’amore che capisce che cosa sta succedendo, che si aggrappa ad una presenza di cui intuisce la prossima perdita e perciò si abbandona all'esigenza di esprimersi totalmente, di dare e ricevere consolazione, indipendentemente dal giudizi altrui.