
III di QUARESIMA Domenica
di Abramo 08/03/2015
Giovanni 08, 31-59 Riferimenti : Esodo 32, 7-13b - salmo 105 - 1 Tess. 2,
20 - 3, 8 |
Lodate il Signore e invocate il suo nome,
proclamate tra i popoli le sue opere. Cantate a lui canti di
gioia, meditate tutti i suoi prodigi. Gloriatevi del suo santo
nome: gioisca il cuore di chi cerca il Signore. Cercate il
Signore e la sua potenza, cercate sempre il suo volto. Ricordate
le meraviglie che ha compiute, i suoi prodigi e i giudizi della
sua bocca: voi stirpe di Abramo, suo servo, figli di Giacobbe,
suo eletto. È lui il Signore, nostro Dio, su tutta la terra i
suoi giudizi. |
Esodo 32, 7-13b
In quei giorni.
Il Signore disse a Mosè: «Va’, scendi, perché il tuo popolo, che hai fatto uscire dalla terra
d’Egitto, si è pervertito. Non hanno tardato
ad allontanarsi dalla via che io avevo loro
indicato! Si sono fatti un vitello di metallo
fuso, poi gli si sono prostrati dinanzi, gli
hanno offerto sacrifici e hanno detto: “Ecco
il tuo Dio, Israele, colui che ti ha fatto
uscire dalla terra d’Egitto”». Il Signore
disse inoltre a Mosè: «Ho osservato questo
popolo: ecco, è un popolo dalla dura cervice.
Ora lascia che la mia ira si accenda contro
di loro e li divori. Di te invece farò una
grande nazione». Mosè allora supplicò il
Signore, suo Dio, e disse: «Perché, Signore,
si accenderà la tua ira contro il tuo popolo,
che hai fatto uscire dalla terra d’Egitto con
grande forza e con mano potente? Perché dovranno
dire gli Egiziani: “Con malizia li ha fatti
uscire, per farli perire tra le montagne e
farli sparire dalla terra”? Desisti
dall’ardore della tua ira e abbandona il
proposito di fare del male al tuo popolo.
Ricordati di Abramo, di Isacco, di Israele,
tuoi servi, ai quali hai giurato per te stesso e
hai detto: “Renderò la vostra posterità numerosa
come le stelle del cielo, e tutta questa
terra, di cui ho parlato, la darò ai tuoi
discendenti e la possederanno per sempre”».
Il popolo d’Israele vive
all’improvviso una situazione inimmaginabile;
passa dalla soggezione e dalla disperazione
rassegnata della schiavitù e dello sfruttamento
alla liberazione. Chi non è abituato alle
scelte ed alla libertà, pretende di avere
garanzie continue, riferimenti solidi e
presenti. Procedere nel tempo senza
concretezze rassicuranti mentre stiamo
decidendo, giocandoci solo con la fiducia, è
esasperante. Soprattutto se incrociamo
difficoltà impreviste e si innesta nella
riflessione quotidiana il tarlo del dubbio.
Mosè è salito sul monte da oltre un mese,
entrato nella tempesta che dal basso si
intravede. E’ lontano, inghiottito nella nube e
nel fragore del Sinai e non dà segni di
sopravvivenza. Il Signore vuole certamente
offrire un segno che diventi, nel patto con il
suo popolo, un documento: lo vuole consegnare
nelle mani di Mosé: sono " le due tavole della
testimonianza, tavole di pietra, scritte dal
dito di Dio" (Es 31,18). Ma il popolo sta
scoprendo che il loro Dio è un Dio silenzioso,
nascosto, non rappresentabile in nessuna forma,
rispettoso della libertà e della autonomia del
suo popolo, capace di fidarsi ma esigente
sulla libertà. L’unico rapporto possibile è la
fiducia. Ma il popolo si aspetta un Dio
protettivo, garantista, mammone, e insieme
tempestivo, che si esibisce, incombente,
minaccioso. Il parametro della folla è quello
del giudice inflessibile o del padre
giustiziere. Uno schiavo è abituato alla paura,
al sotterfugio, a non avere fiato, ad essere
continuamente piegato, obbligato, senza scampo,
senza pensiero, senza scelte. Il popolo,
allora, angosciato e preoccupato, pretende da
Aronne, fratello di Mosè, una presenza
significativa e visibile che sostituisca Mosè,
che si assuma le stesse responsabilità, ma
pretendendo di dettare le scelte future: "Fa
per noi un Dio che cammini alla nostra testa
perché a Mosé, quell'uomo che ci ha fatto
uscire dalla terra d'Egitto, non sappiamo che
cosa sia accaduto" (32,1). Ed Aronne stesso è
coinvolto e fa fondere un vitello in metallo,
tratto dagli ornamenti preziosi che il popolo
ha portato dall'Egitto. Al toro, in Egitto,
immagine del grande Dio Ptah di Memphis, un Dio
creatore, era attribuita la fecondità dei campi
e degli animali. Perciò il popolo si vuole
garantire, per il futuro: per la conclusione
del cammino, per l’insediamento nella nuova
terra, per la fecondità dei raccolti e dei
beni. Una statua, un Dio materializzato, dà
garanzia di possederlo, di costringerlo, di
obbligarlo ai propri progetti. Lo si porta come
primo in processione per sentirsi protetti.
Anche gli eserciti ritengono una garanzia
affrontare le battaglie con la statua del Dio in
primo piano. Viene scoperto, in questo testo,
il ruolo enorme e splendido dell’Intercessore.
Mosè lo è: già al momento delle piaghe
d’Egitto (5,22-23;8,4;9,28;10,17); in favore
della sorella Maria (Nm 12,13);ma
specialmente per tutto il popolo nel deserto
(5,22-23;32,11-14.30-32;Nm 11,2;14,13-19; 16,22;
21,7; Dt 9,25-29). Sarà ricordato mediatore
anche nei secoli futuri: da Ger 15,1; Sal 99,6;
106,23;Sir 45,3. Cf.2Mac 15,14.
L’intercessione di Mosè prefigura quella di
Cristo. Ma va ricordato che per questo popolo
la rappresentazione del vitello non è un altro
Dio, ma è l’immagine visibile di quel Dio che
li ha liberati da Faraone e dalla schiavitù
dell’Egitto. (v.8).- Però Dio si rifiuta di
essere ridotto ad una cosa. - Egli è il creatore
e davanti a Lui non ci sono altre immagini se
non l’unica vera immagine, da Lui stesso creata:
ed è la coppia umana, inizio dell’umanità. “E
Dio creò l'uomo a sua immagine, a immagine di
Dio lo creò: maschio e femmina li creò”
(Gen1,27). - Il Signore disse a Mosè: «Lascia
che la mia ira si accenda contro di loro e li
distrugga. Di te invece farò una grande nazione»
(v. 10). E di fronte a una simile proposta,
molti di noi, forse, sarebbero stati felici
di divenire padri di una famiglia di «giusti».
Viene istintivo disgiungere le proprie
responsabilità, rilevare la propria estraneità
ai fatti, distinguersi dai colpevoli. Ma Mosè
non fugge, resta unito al suo popolo, preferisce
perire con i fratelli piuttosto che salvarsi
da solo. - L’intercessore prega e si gioca
tutto: «Mosè allora supplicò il Signore, suo
Dio, e disse...».In realtà l’espressione
usata nel testo originale ebraico andrebbe
tradotta così: «Mosè allora cominciò ad
accarezzare il volto del Signore, suo Dio,
dicendo...». Mosè si comporta come un bambino
che vede il papà corrucciato e si mette a
coccolarlo, fino a quando non riesce a
strappargli un sorriso. L’immagine di Mosè
che accarezza il volto di Dio è una delle più
belle della Bibbia. -Forse la scena ci
stupisce, forse ci sconcerta, Ci presenta un
Mosè buono che parla con dolcezza e Dio,
adirato, ha bisogno di essere riportato alla
calma. Eppure, con tale immagine, presa dal
nostro mondo umano, Dio indica con quale
fiducia e confidenza vuole che ci rivolgiamo a
lui nella preghiera. - Con quali parole Mosè
accarezza il volto del Signore? Quali ragioni
avremmo presentato noi a Dio per convincerlo?
Forse gli avremmo detto: «Vedi, Signore, essi
sono pentiti, non ripeteranno mai più
l’errore commesso, il peccato non è poi stato
tanto grave...». Tutti discorsi vani, perché
l’uomo — lo sappiamo bene — non smette mai di
essere peccatore, ripete sempre gli stessi
errori e Dio conosce il futuro. - Mosè è più
saggio: capisce che non può far leva sulla buona
volontà dell’uomo e che l’unico modo per
ottenere la salvezza è confidare nella bontà di
Dio. Egli comincia ricordando al Signore le
promesse incondizionate da lui fatte ai
patriarchi e conclude: non vorrai che gli
egiziani possano dire che non sei stato di
parola?! Questa è l’unica, vera ragione che
consente di sperare nella salvezza di ogni uomo:
l’amore infinito di Dio, quell’amore che non
sarà mai vinto da nessuna infedeltà, per
quanto grande essa sia stata. Mosé ha il
coraggio di andare oltre le parole di Dio
perché ormai conosce il cuore di Dio e quindi
non accetta questa soluzione, molto
interessante egoisticamente. Egli continua a
mantenere il suo ruolo di mediatore e sta dalla
parte del più debole. - La conclusione è
secondo il cuore di Dio e secondo la fiducia di
Mosè (v. 14): «Il Signore abbandonò il
proposito di nuocere al suo popolo». Che cosa
hanno fatto gli israeliti per meritarsi la
misericordia di Dio? Nulla. Sono rimasti in
silenzio. Il Signore ha fatto tutto da solo: si
è ricordato che le sue promesse sono
incondizionate e perdona il suo popolo. Se
dovessimo confidare nelle nostre forze, nella
nostra capacità di compiere gesti virtuosi, Es
32,7-13b |
1 Tess. 2,
20 - 3, 8 Fratelli, Siete voi la
nostra gloria e la nostra gioia! Per questo, non potendo più
resistere, abbiamo deciso di restare soli ad Atene e abbiamo
inviato Timòteo, nostro fratello e collaboratore di Dio nel
vangelo di Cristo, per confermarvi ed esortarvi nella vostra
fede, perché nessuno si lasci turbare in queste prove. Voi
stessi, infatti, sapete che questa è la nostra sorte; infatti,
quando eravamo tra voi, dicevamo già che avremmo subìto delle
prove, come in realtà è accaduto e voi ben sapete. Per
questo, non potendo più resistere, mandai a prendere notizie
della vostra fede, temendo che il tentatore vi avesse messi
alla prova e che la nostra fatica non fosse servita a nulla.
Ma, ora che Timòteo è tornato, ci ha portato buone notizie
della vostra fede, della vostra carità e del ricordo sempre
vivo che conservate di noi, desiderosi di vederci, come noi
lo siamo di vedere voi. E perciò, fratelli, in mezzo a tutte
le nostre necessità e tribolazioni, ci sentiamo consolati a
vostro riguardo, a motivo della vostra fede. Ora, sì, ci
sentiamo rivivere, se rimanete saldi nel Signore. Paolo sente di essere missionario nel mondo
pagano e, attorno all’anno 50, compie il suo secondo viaggio
dei quattro che gli si attribuiscono, arrivando a Tessalonica,
la capitale della provincia romana in Macedonia, la prima
grande città in Europa, per ora, sul suo cammino. Paolo vi
giunge insieme con Sila e Timoteo (At 17,1-10). Non è stata
una permanenza molto breve Poi, bruscamente, la sua opera si
interrompe ed egli fugge, mantenendo tuttavia la grande
nostalgia per gli amici è una grande preoccupazione per non
aver compiuto a sufficienza l’opera di evangelizzazione. Resta
tuttavia sempre all’erta e le notizie, che giungono, gli portano
fiducia e lo incoraggiano per un lavoro fatto bene che sta
dando frutti. Infatti i cristiani della comunità di Tessalonica
hanno resistito alla prova e sono sulla buona strada. Così
non è preoccupato poiché hanno accolto l’essenziale e
conoscono lo stile che debbono continuare. Paolo sa che il
tentatore è sempre all’opera, ma riconosce che dalle notizie
ricevute sulla “loro fede, carità e il ricordo della sua
evangelizzazione ”può essere sereno per ricordare con fiducia
e con affetto. La lettera continua dando, quindi, alcuni
suggerimenti molto significativi sulla vita di comunità:
“l’amarsi l’un l’altro (4,9), “vivere in pace, facendosi un
punto d’onore l’attendere alle proprie cose” e “lavorare con le
proprie mani” (4,11).Sono suggerimenti di vita quotidiana,
comprensibili dalla comunità che accoglie e che,
probabilmente, è anche una comunità irrequieta. Essa va
richiamata ad uno stile semplice, discreto, e operoso anche
se monotono. Paolo ricorda - la 1ª raccomandazione (4,3-8):
incoraggia ad un impegno di purezza di comportamento che
vieta rapporti extra- coniugali; - la 2º raccomandazione
(4,8-12): avvia allo sviluppo della carità tanto da arrivare a
considerare gli altri come fratelli e sorelle in un legame di
coerenza, e di fiducia; - la 3°raccomandazione (4,13-18) infine,
impegna, anche nelle realtà di lutto e di sofferenza, a
mantenere un proprio equilibrio e un atteggiamento di fiducia
poiché i defunti vivono nella pienezza di Dio e, come cristiani,
noi crediamo nella risurrezione dei corpi. Paolo, anche se
non cita espressamente la breve parabola del pane, l’ha presente
mentre suggerisce ai cristiani di essere il lievito della
società in cui quotidianamente sviluppano il loro impegno e la
loro operosità. Si parla perciò di santità, coerenza, rispetto e
amore. Ma tutto questo deve essere molto chiaro. Ogni
cristiano, consapevole, molto carico di fiducia, visibile agli
occhi degli altri, deve essere un atteggiamento che sappia
testimoniare valori impensabili nella società in cui vive
cambiando rapporti e stili di esistenza per tutti. La città deve
diventare un laboratorio di vita e di novità, oggi come
allora e allora come oggi. |
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Mambre - Resti del Pozzo di Abramo |
Moschea di Omar
costruita sopra la roccia sacra dell'antico tempio ebraico. Su tale
roccia Abramo avrebbe preparato l'altare per immolarvi suo figlio
Isacco |
Giovanni 08, 31-59
in quel tempo.
Il Signore Gesù disse a quei Giudei che gli avevano creduto: «Se rimanete
nella mia parola, siete davvero miei discepoli; conoscerete la verità e la
verità vi farà liberi». Gli risposero: «Noi siamo discendenti di Abramo e
non siamo mai stati schiavi di nessuno. Come puoi dire: “Diventerete
liberi”?». Gesù rispose loro: «In verità, in verità io vi dico: chiunque
commette il peccato è schiavo del peccato. Ora, lo schiavo non resta per
sempre nella casa; il figlio vi resta per sempre. Se dunque il Figlio vi
farà liberi, sarete liberi davvero. So che siete discendenti di Abramo. Ma
intanto cercate di uccidermi perché la mia parola non trova accoglienza in
voi. Io dico quello che ho visto presso il Padre; anche
voi dunque fate
quello che avete ascoltato dal padre vostro». Gli risposero: «Il padre
nostro è Abramo».Disse loro Gesù: «Se foste figli di Abramo, fareste le
opere di Abramo. Ora invece voi cercate di uccidere me, un uomo che vi ha
detto la verità udita da Dio. Questo, Abramo non l’ha fatto. Voi fate le
opere del padre vostro». Gli risposero allora: «Noi non siamo nati
da
prostituzione; abbiamo un solo padre: Dio!». Disse loro Gesù: «Se Dio
fosse vostro padre, mi amereste,perché da Dio sono uscito e vengo; non
sono venuto dame stesso, ma lui mi ha mandato. Per quale motivo non
comprendete il mio linguaggio? Perché non potete dare ascolto alla mia
parola. Voi avete per padre il diavolo e volete compiere i desideri del
padre vostro. Egli era omicida fin da principio e non stava saldo nella
verità,perché in lui non c’è verità. Quando dice il falso, dice ciò
che è suo, perché è menzognero e padre della menzogna. A me, invece, voi non
credete, perché dico la verità. Chi di voi può dimostrare che ho peccato? Se
dico la verità, perché non mi credete? Chi è da Dio ascolta le parole
di Dio. Per questo voi non ascoltate: perché non siete da Dio».Gli
risposero i Giudei: «Non abbiamo forse ragione di dire che tu sei un
Samaritano e un indemoniato?».Rispose Gesù: «Io non sono indemoniato:
io onoro il Padre mio, ma voi non onorate me. Io non cerco la mia gloria;
vi è chi la cerca, e giudica. In verità, in verità io vi dico: se uno
osserva la mia parola, non vedrà la morte in eterno». Gli dissero
allora i Giudei: «Ora sappiamo che sei indemoniato. Abramo è morto, come
anche i profeti, e tu dici: “Se uno osserva la mia parola, non
sperimenterà la morte in eterno”. Sei tu più grande del nostro padre
Abramo, che è morto? Anche i profeti sono morti. Chi credi di essere?».
Rispose Gesù: «Se io glorificassi me stesso,la mia gloria sarebbe nulla.
Chi mi glorifica è il Padre mio, del quale voi dite: “È nostro Dio!”, e
non lo conoscete. Io invece lo conosco. Se dicessi che non lo conosco,
sarei come voi: un mentitore. Ma io lo conosco e osservo la sua parola.
Abramo, vostro padre, esultò nella speranza di vedere il mio giorno; lo
vide e fu pieno di gioia». Allora i Giudei gli dissero: «Non hai ancora
cinquant’anni e hai visto Abramo?». Rispose loro Gesù: «In verità, in
verità io vi dico: prima che Abramo fosse, Io Sono». Allora raccolsero
delle pietre per gettarle contro di lui; ma Gesù si nascose e uscì dal
tempio.
“Se rimanete nella mia parola siete
davvero miei discepoli, conoscerete la verità e la verità vi farà liberi"
Queste parole di Gesù scandalizzano i Giudei che gli avevano creduto: non
sono mai stati schiavi di nessuno. Come Gesù può dire che diventeranno
liberi se rimarranno nella sua parola?Loro, che sono figli di Abramo? E
poi di quale parola si tratta? Noi, tra l'altro, siamo abituati ad
intendere la parola "verità" come un concetto astratto o come sinonimo di
'sincerità', mentre per gli ebrei la 'verità' è una persona, cioè Dio.
Anche Gesù dirà (Gv.14,6): 'lo sono la via, la verità, la vita'. Il
termine uemet" in ebraico che ha la stessa radice di *amen", indica qualcosa
di stabile come una roccia, un riferimento sicuro, indefettibile, che non
viene meno. Dire che la verità è una persona implica non tanto un
ragionamento filosofico e razionale o un comportamento morale, ma prima di
tutto un incontro, una conoscenza, un rapporto. E, come sempre, quando si
tratta di entrare in una relazione vera con una persona, dobbiamo
coinvolgerci totalmente in un cammino: non è questione di un momento di
Illuminazione, ma di un tragitto da compiere per una conoscenza più profonda,
per una comprensione più precisa delle sue parole, per imparare a calibrare i
propri passi. E' questa conoscenza che libera, prima di tutto, dalla
schiavitù di noi stessi, dall'involucro egoistico in cui ci immergiamo e
con cui ci cauteliamo, per non esporci troppo, per non ritrovarci in
situazioni di non ritorno e di eccessivo slancio. E poi ci libera
dall'insidia di parole che vorrebbero raggirarci,insinuare dubbi ambigui
e pericolosi, rarefare il contenuto pregnante, se pure conciso, delle parole
di Gesù. E' come se Gesù volesse chiamarci direttamente in causa sul tipo
di rapporto che abbiamo con Lui, insistendo sul 'rimanere nella sua
parola' e sul chiamarci a chiarire questa 'parola', a ricordarla,ad
approfondirla. Rimanere nella parola di Gesù significa restare nell'orizzonte
dell'annuncio trasparente della misericordia del Padre: di un Dio che,
nonostante tutte le smentite provenienti dalle malvagità e contorsioni di
un mondo cosi piagato e dalle contraddizioni violente della storia, vuole
che possiamo vivere nella felicità e nell'amore, nella gratuità di un volersi
bene illimitato. Rimanere nella parola di Gesù ogni giorno significa
perdono, non venire meno alla voglia di vivere,di interessarci degli
altri senza doppi fini, di aprirci ad ogni possibilità e responsabilità di
bene e di compassione, di riscoprire e manifestare sentimenti e gesti di
tenerezza. Di saper cogliere i segni di bellezza e di bontà che,
nonostante tutte le paure e ì terrori, ci sono e ci accendono di desiderio
d'infinito.
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