
II DOMENICA DOPO IL MARTIRIO DI GIOVANNI
6 SETTEMBRE 2015
Gv 5,37-47
Riferimenti :
Lettera agli Ebrei. 3, 1-6 - salmo 79- Isaia 63, 7-17 |
O Dio, nella tua eredità sono entrate le
nazioni, hanno profanato il tuo santo tempio, hanno ridotto in
macerie Gerusalemme. Hanno abbandonato i cadaveri dei tuoi
servi in pasto agli uccelli del cielo, la carne dei tuoi fedeli
agli animali selvaggi. |
Lettera agli Ebrei. 3, 1-6
Perciò, fratelli santi, partecipi di una
vocazione celeste, fissate bene lo sguardo in
Gesù, l'apostolo e sommo sacerdote della fede
che noi professiamo, il quale è fedele a
colui che l'ha costituito, come lo fu anche Mosè
in tutta la sua casa. Ma in confronto a
Mosè, egli è stato giudicato degno di tanta
maggior gloria, quanto l'onore del costruttore
della casa supera quello della casa stessa.
Ogni casa infatti viene costruita da qualcuno;
ma colui che ha costruito tutto è Dio. In verità
Mosè fu fedele in tutta la sua casa come
servitore, per rendere testimonianza di ciò che
doveva essere annunziato più tardi;
Cristo, invece, lo fu come figlio costituito
sopra la sua propria casa. E la sua casa siamo
noi, se conserviamo la libertà e la speranza di
cui ci vantiamo. La lettera è
indirizzata soprattutto ad una comunità di
Giudei cristiani. E' piuttosto difficile, nella
prima generazione della Chiesa, convincere i
Giudei che diventano Cristiani di lasciare
completamente molta parte della loro vecchia
religione, da sempre rispettata, per accettare
quella nuova. Alcuni erano propensi a ritornare
al giudaismo dopo aver accettato la fede
cristiana. Gli argomenti principali sono la
superiorità di Cristo come sacerdote su Aronne,
e la superiorità del sacrificio di se stesso
sulla legge. Tutto questo dimostra, infatti,
non solo la superiorità di Cristo, ma impegna
anche che il sacerdozio di Aronne e i sacrifici
della legge non debbono essere più osservati.
Dimostra anche che tutti i riti della legge che
dipendono dal sacerdozio di Aronne e dai
sacrifici a questo collegati sono passati con
essi. Gesù è chiamato "apostolo e sommo
sacerdote". Normalmente l'essere apostoli è dei
discepoli inviati da Gesù, ma qui Gesù è il
grande apostolo, cioè «inviato» da Dio agli
uomini (cf.Gv 3,17+.34;5,36;9,7;Rm 1,1+;8,3;Gal
4,4) e sommo sacerdote, che rappresenta gli
uomini presso Dio
(cf.2,17;4,14+;5,5.10;6,20;7,26;8,1;9,11;10,21).
Il testo di oggi è all'inizio della sezione
che presenta Gesù: "Sommo sacerdote, degno di
fede e misericordioso" (3,1-5,10). Il termine di
paragone è Mosè che ha condotto il popolo verso
la terra promessa. Sia Gesù che Mosè sono stati
fedeli al Padre e tutti e due hanno dato prova
di tale adesione nella "casa di Dio". Infatti
Mosé e Gesù hanno operato nella "casa" (che è il
popolo d'Israele). Ma Mosé ha avuto da Dio un
incarico come servo mentre è membro del popolo.
Gesù, invece, Figlio e Messia (Cristo), non
partecipa alla costruzione, ma Lui stesso è
costruttore di una propria casa, "non costruita
da mano d'uomo" (9,11). Esistiamo allora
come popolo nuovo, assolutamente unico poiché
poggia sulla fede in Gesù. E siamo un popolo
nuovo non per etichetta o per riferimento
culturale, tradizione od abitudini. "E la sua
casa siamo noi, se conserviamo la libertà e la
speranza di cui ci vantiamo" (v 6). Nelle
discussioni, confronti, sviluppi culturali,
facilmente, rivendichiamo come cristiani diritti
e appartenenze per tradizioni, sacramenti
ricevuti, abitudini, collocazioni geografiche.
Le consuetudini diventano facilmente abito
formale, costumi e pretese di appartenenza.
Il testo ci riporta a "sentirci" nella casa di
Gesù. E sentirsi nella casa di Gesù non avviene
perché abbiamo in tasca le chiavi di casa, ma
perché coltiviamo e manteniamo "libertà e
speranza". La libertà dei figli di Dio si
collega con la volontà del Padre, il rispetto e
la misericordia per ogni persona, l'amore e
l'attenzione ai più dimenticati. "La speranza"
ci riporta a cercare e a costruire un mondo
sempre migliore, perché sappiamo che lo Spirito
ci sostiene. Il desiderio del Padre è rendere il
mondo sempre più bello, purificato e libero dal
male. |
Isaia 63, 7-17
Voglio ricordare i benefici del Signore, le glorie del Signore,
quanto egli ha fatto per noi. Egli è grande in bontà per la casa
di Israele. Egli ci trattò secondo il suo amore, secondo la
grandezza della sua misericordia. Disse: "Certo, essi sono
il mio popolo, figli che non deluderanno" e fu per loro un
salvatore in tutte le angosce. Non un inviato né un angelo, ma
egli stesso li ha salvati; con amore e compassione egli li ha
riscattati; li ha sollevati e portati su di sé, in tutti i
giorni del passato. Ma essi si ribellarono e contristarono
il suo santo spirito. Egli perciò divenne loro nemico e mosse
loro guerra. Allora si ricordarono dei giorni antichi, di
Mosè suo servo. Dov'è colui che fece uscire dall'acqua del Nilo
il pastore del suo gregge? Dov'è colui che gli pose nell'intimo
il suo santo spirito; colui che fece camminare alla destra di
Mosè il suo braccio glorioso, che divise le acque davanti a loro
facendosi un nome eterno; colui che li fece avanzare tra i
flutti come un cavallo sulla steppa? Non inciamparono,
come armento che scende per la valle: lo spirito del Signore li
guidava al riposo. Così tu conducesti il tuo popolo, per farti
un nome glorioso. Guarda dal cielo e osserva dalla tua
dimora santa e gloriosa. Dove sono il tuo zelo e la tua potenza,
il fremito della tua tenerezza e la tua misericordia? Non
forzarti all'insensibilità perché tu sei nostro padre,
poiché Abramo non ci riconosce e Israele non si ricorda di noi.
Tu, Signore, tu sei nostro padre, da sempre ti chiami nostro
redentore. Perché, Signore, ci lasci vagare lontano dalle
tue vie e lasci indurire il nostro cuore, così che non ti
tema? Ritorna per amore dei tuoi servi, per amore delle tribù,
tua eredità.
Ciò che abbiamo letto è parte
di una bellissima preghiera di Israele, una delle più commoventi
della Scrittura, (63,7-64,11) che nasce dalla esperienza
dell'esilio a Babilonia. Siamo alla fine del secolo VI, e
davanti agli occhi resistono ancora vivissimi i ricordi della
distruzione di Gerusalemme (586 a.C.), le urla delle donne
terrorizzate che fuggono con i loro figli, le stragi per le
strade e le fiamme che avvolgono i palazzi ed il tempio
L'inizio della preghiera è come una confidenza, un pensiero di
speranza di Dio stesso, che si fida di questo popolo che ha
aiutato in ogni modo. "Senz'altro - pensa il Signore - questo
popolo con la sua intelligenza e la sua sensibilità saprà
riconoscere la bontà e l'opera svolta per loro. Certo- disse il
Signore- essi sono il mio popolo e i figli che non deluderanno"
(v 8). Il profeta garantisce che questi sono i pensieri di
Dio e lo fa a nome di Dio, mentre ripensa ai significati della
storia del popolo. Dio stesso si è fatto carico della salvezza,
non ha mandato un angelo o un messaggero, ma è stato Lui il
Salvatore: "Non un inviato né un angelo, ma egli stesso li ha
salvati; con amore e compassione li ha riscattati, li ha
sollevati e portati su di sé, tutti i giorni del passato"
(63,9). Ma proprio questo Dio amorevole si sente tradito. Così
la riflessione teologica, propria del Primo Testamento,
ritraduce la sventura successiva del popolo d'Israele come
conclusione della scellerata decisione di lacerare il patto di
Alleanza da parte dello stesso popolo. Ma, in tal modo, il
popolo di Dio si è ritrovato solo, in un mondo di violenza e di
sopraffazione. Così l'itinerario del pentimento deve
ricominciare dalle origini, riandare al deserto e a Mosè che si
fece umile mediatore e quindi ubbidiente testimone delle
promesse di Dio (v 16).. C'è una sintesi interessantissima che
raccoglie in 5 frasi l'opera discreta e profonda di Dio ( "
Dov'è colui che? Cinque come i libri della Legge: riassunto
della sapienza e della storia; vv 11-13). La preghiera si
apre in una accorata invocazione a Dio che, per la prima volta,
viene chiamato Padre. Gli ebrei sono restii a chiamare Dio
Padre poiché è questo il titolo che i pagani utilizzano per i
loro dei, che usano sposare le figlie degli uomini ed avere
figli e figlie. Ma Gesù questo titolo lo utilizzerà almeno 184
volte nei vangeli. Dio è l'Unico, il Padre suo e di tutti noi.
Nella preghiera si fa riferimento ai Patriarchi: Abramo,
Isacco e Giacobbe che sono padri del popolo, ma, in questa
circostanza, non possono fare niente e li hanno dimenticati (v
16). L'esperienza e i ricordi, però, assicurano che "Tu non sai
dimenticare e che la tua parola resta intatta". La supplica è
coraggiosa ma tenerissima: "Tu stesso devi riscoprire il tuo
zelo e la tua potenza; il fremito di tenerezza e di
misericordia" (v 15). Solo tu puoi cambiare il nostro cuore,
offrire il tuo Spirito, radunarci, farci tornare. Questa
preghiera di grande respiro sul mondo deve diventare la
preghiera aperta del popolo cristiano.
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Gv 5,37-47
E anche
il Padre, che mi ha mandato, ha reso testimonianza di me. Ma voi non avete
mai udito la sua voce, né avete visto il suo volto, e non avete la sua
parola che dimora in voi, perché non credete a colui che egli ha mandato.
Voi scrutate le Scritture credendo di avere in esse la vita eterna; ebbene,
sono proprio esse che mi rendono testimonianza. Ma voi non volete
venire a me per avere la vita. Io non ricevo gloria dagli uomini.
Ma io vi conosco e so che non avete in voi l'amore di Dio. Io sono venuto nel
nome del Padre mio e voi non mi ricevete; se un altro venisse nel proprio
nome, lo ricevereste. E come potete credere, voi che prendete gloria
gli uni dagli altri, e non cercate la gloria che viene da Dio solo? Non
crediate che sia io ad accusarvi davanti al Padre; c'è già chi vi accusa,
Mosè, nel quale avete riposto la vostra speranza. Se credeste infatti a
Mosè, credereste anche a me; perché di me egli ha scritto. Ma se non
credete ai suoi scritti, come potrete credere alle mie parole?".
«E anche il Padre, che mi ha mandato, ha dato testimonianza
di me. Ma voi non avete mai ascoltato la sua voce né avete mai visto il suo
volto, e la sua parola non rimane in voi; infatti non credete a colui che
egli ha mandato. Voi scrutate le Scritture, pensando di avere in esse la vita
eterna: sono proprio esse che danno testimonianza di me. Ma voi non volete
venire a me per avere vita. Io non ricevo gloria dagli uomini. Ma vi conosco:
non avete in voi l’amore di Dio. Io sono venuto nel nome del Padre mio e voi
non mi accogliete; se un altro venisse nel proprio nome, lo accogliereste. E
come potete credere, voi che ricevete gloria gli uni dagli altri, e non
cercate la gloria che viene dall’unico Dio? Non crediate che sarò io ad
accusarvi davanti al Padre; vi è già chi vi accusa: Mosè, nel quale riponete
la vostra speranza. Se infatti credeste a Mosè, credereste anche a me; perché
egli ha scritto di me. Ma se non credete ai suoi scritti, come potrete
credere alle mie parole?». C'è aria di pentimento nel popolo di Israele.
C'è il ritorno di Israele dall'esilio di Babilonia e Isaia, il profeta a nome
del popolo implora il perdono riconoscendo nel Signore il Re della storia. Un
grande insegnamento per noi tutti a vivere la nostra fede nel riconoscimento
delle nostre colpe e delle nostre infedeltà partendo dalla gratitudine per
ciò che il Signore compie nella nostra vita. Isaia espone proprio le grandi
meraviglie compiute. Molto spesso presi dalle tante preoccupazioni ci
ripieghiamo su noi stessi e anche nel rivolgersi al Signore la nostra
preghiera è ripiegata su noi stessi. Se ci soffermassimo di più a verificare
ciò che il Signore compie nella nostra vita riusciremmo a essere più
fiduciosi della sua protezione. Se ci soffermassimo di più sulla
misericordia di Dio riusciremmo a scoprire le nostre infedeltà e lo
invocheremmo più spesso perché continui la sua protezione su di noi. Gesù
stesso nel Vangelo ci invita a crescere nella nostra fede con Lui che ci
aiuta a scoprire il volto del Padre. Sì perché mentre gli Israeliti al tempo
di Isaia percepivano di essere amati dal Signore non comprendevano ancora che
l'amore di Dio era più grande ed in Cristo prende un volto ben preciso. Per
scoprire tutto ciò rimane importante la preghiera. Nell'incontro domenicale
con il Signore nella Santa Messa la dimensione di amicizia cresce, ma
un'amicizia richiede più impegno nel coltivarla. Più riusciamo a mantenere
viva in una giornata l'intimità con Gesù più saremo in grado di scoprire la
bontà di Dio su di noi. Quanto tempo dedichiamo all'ascolto della Parola, la
lettura del Vangelo o dell'Antico Testamento in maniera quotidiana? La
Parola di Dio penetra nelle profondità del nostro cuore e mette in luce tutta
la nostra esistenza. Penso alla recita dei Salmi alla loro grandezza.
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