II DOMENICA DI AVVENTO
19 novembre 2017
Matteo 3, 1-12
Riferimenti : Isaia 51, 7-12a - salmo 47 - Romani 15, 15-21
Grande è il Signore e degno di ogni lode nella città del nostro Dio. La tua santa montagna, altura stupenda, è la gioia di tutta la terra. Il monte Sion, vera dimora divina, è la capitale del grande re. Dio nei suoi palazzi un baluardo si è dimostrato

Isaia 51, 7-12a
Così dice il Signore Dio: / «Ascoltatemi, esperti della giustizia, / popolo che porti nel cuore la mia legge. / Non temete l’insulto degli uomini, / non vi spaventate per i loro scherni; / poiché le tarme li roderanno come una veste / e la tignola li roderà come lana, / ma la mia giustizia durerà per sempre, / la mia salvezza di generazione in generazione. / Svégliati, svégliati, rivèstiti di forza, / o braccio del Signore. / Svégliati come nei giorni antichi, / come tra le generazioni passate. / Non sei tu che hai fatto a pezzi Raab, / che hai trafitto il drago? / Non sei tu che hai prosciugato il mare, / le acque del grande abisso, / e hai fatto delle profondità del mare una strada, / perché vi passassero i redenti? / Ritorneranno i riscattati dal Signore / e verranno in Sion con esultanza; / felicità perenne sarà sul loro capo, / giubilo e felicità li seguiranno, / svaniranno afflizioni e sospiri. / Io, io sono il vostro consolatore».

Con il capitolo 51 inizia il grande poema della restaurazione di Sion, annunciata ancora durante il periodo dell'esilio in Babilonia dal "DeuteroIsaia (secondo Isaia)". Sono i testi della speranza e della consolazione, ma iniziano con i richiami alla responsabilità e alla operosità: "Ascoltatemi, cercate il Signore, guardate alla roccia da cui siete stati tagliati, guardate ad Abramo e Sara..." (51,1-3). Il testo vuole dare delle garanzie che si appoggiano sulla forza della promessa del Signore, oltre che sulla libertà, l'accoglienza e la fiducia del popolo deportato che deve aprirsi alla speranza. Il popolo sta sperimentando, comunque, la vittoria del Signore perché, nella sua consapevolezza, si nutre di gloria del suo passato e della legge del Signore che è nel suo cuore. Quindi vive la prospettiva dell'Alleanza. Non deve, perciò, scoraggiarsi delle difficoltà che incontra, non deve temere il disonore e gli oltraggi negli uomini vincitori. Essi saranno trattati come i vestiti attaccati dalle tarme, mentre la giustizia di Dio rimane in eterno. Vengono quindi ricordate la creazione di Dio e la vittoria sui grandi mostri marini. Il ricordo dei mostri è parte integrante dei racconti dei popoli vicini sull'inizio del mondo. Sono chiamati Raab, o il drago (Leviatano) o l'abisso (Tehom). Sullo sfondo la rilettura del passato fa intravvedere l'azione di Dio sul mare che si apre, sui salvati che camminano su un sentiero tracciato nel mare, sulla certezza che gli ostacoli non distruggono il popolo che si fida di Dio, ma piuttosto resta unito e intatto. La preghiera si rivolge alla forza di Dio (il suo "braccio") e invoca tre volte: "Svegliati", rivolto a Dio, per incominciare ad operare, oggi, ciò che il Signore ha compiuto in passato per liberare questo popolo. Ed è sicuro che questo popolo tornerà con esultanza, giubilo e felicità. Il testo conclude con una risposta che Dio stesso dà all'invocazione di Israele: "Io, e lo ripete, io sarò il tuo consolatore". Il testo incoraggia ad avere fiducia nei momenti di difficoltà. Il Signore, attraverso il profeta, garantisce la sua attenzione perché sa mantenere le promesse e tuttavia è necessario che il popolo mantenga nel cuore la legge (v 12). Nella liberazione si accompagna sempre il coraggio della giustizia. Non è però automatica, ma è dono di Dio cui ci si unisce con la responsabilità. Ed è anche il problema del nostro tempo e della nostra crisi. Mantenere la giustizia non ci deve solo far pensare al nome di chi è già garantito e di chi sta bene, ma, di volta in volta, fa sperare di riprogrammare una nuova convivenza in cui tutti possano godere del necessario. Il profeta ci incoraggia perché possiamo chiedere al Signore di essere "rivestiti di forza", di entusiasmo, come nei tempi passati, di liberazione e di grazia come e quanto abbiamo sperimentato nei momenti migliori della nostra storia.

Fiume Giordano nei pressi di Betania dove battezzava.

Romani 15, 15-21
Fratelli, su alcuni punti, vi ho scritto con un po’ di audacia, come per ricordarvi quello che già sapete, a motivo della grazia che mi è stata data da Dio per essere ministro di Cristo Gesù tra le genti, adempiendo il sacro ministero di annunciare il vangelo di Dio perché le genti divengano un’offerta gradita, santificata dallo Spirito Santo. Questo dunque è il mio vanto in Gesù Cristo nelle cose che riguardano Dio. Non oserei infatti dire nulla se non di quello che Cristo ha operato per mezzo mio per condurre le genti all’obbedienza, con parole e opere, con la potenza di segni e di prodigi, con la forza dello Spirito. Così da Gerusalemme e in tutte le direzioni fino all’Illiria, ho portato a termine la predicazione del vangelo di Cristo. Ma mi sono fatto un punto di onore di non annunciare il Vangelo dove era già conosciuto il nome di Cristo, per non costruire su un fondamento altrui, ma, come sta scritto: «Coloro ai quali non era stato annunciato, lo vedranno, e coloro che non ne avevano udito parlare, comprenderanno».


Paolo, ormai al termine della sua lettera alla comunità di Roma, vuole chiarire l'audacia che gli ha permesso di scrivere ad una comunità che egli non ha fondato e in cui è sicuro che esistano valori, coerenze e chiarezze di fede, ricevuti da altri apostoli. Perciò la sua lettera potrebbe, addirittura, essere superflua e tuttavia ritiene di avere giustamente operato perché egli si sente ministro di Dio presso i pagani e quindi collaboratore con i romani nella loro società enorme e fastosa in cui essi vivono. Egli sente di compiere, attraverso la predicazione del Vangelo, un'offerta sacrificale, un gesto di culto con i pagani che accolgono, nella fede, la parola di Gesù e sa di costruire un popolo nuovo che muore al peccato (con il battesimo) e vive nella forza di Gesù risorto. L'apostolo si gloria del suo lavoro, ma lo fa senza orgoglio e senza vanità perché tutto avviene per Gesù che è presente in quest'opera, che Paolo ha accettato di sviluppare, essendo messaggero. Egli ha la fiducia di operare solo ciò che vale per Cristo, facendo esperienza di una abbondante fecondità, assicurata della grazia di Gesù, avendo percorso e fondato varie comunità, da Gerusalemme alla Illiria (una regione sull'alta Grecia e l'Albania, oltre la Macedonia e prospiciente l'Italia attraverso l'Adriatico). Negli Atti degli apostoli non c'è traccia di una evangelizzazione nella Illiria ma, idealmente, Paolo può dire che il suo itinerario, venendo dall'oriente e proiettato in occidente, si collega con l'evangelizzazione che si sta sviluppando in Italia. Questo corrisponde alla vocazione di una predicazione in tutto il mondo. Paolo vuole, comunque, oltrepassare Roma per avventurarsi verso la Spagna. L'apostolo assicura che il suo lavoro di evangelizzatore vuole svilupparsi su terreni vergini e non vuol fare l'esperienza che egli stesso ha fatto, e cioè l'avventura di missionari senza scrupoli che sono passati nelle comunità da Paolo, precedentemente fondate, per criticarne l'operato e quindi sconvolgere un equilibrio ed un cammino sempre difficile per una comunità, soprattutto se iniziale. Il brano ci ricorda il grande desiderio di Gesù di raggiungere ogni popolo della terra per portare la speranza e la garanzia dell'amore di Dio. E di questo progetto se ne fa carico il popolo di Dio, riconoscendo la dignità di ciascuno mentre sviluppa, insieme, tutta la discrezione possibile per il rispetto di ogni persona, ma anche la generosità e la bontà suggerite ai suoi discepoli da Gesù che corrisponderebbe a: "ognuno ha diritto di essere felice". Scoprire, far emergere, parlarne: sono segni di operosità che non vanno vissuti come un'esibizione, ma come una rivelazione gioiosa e umile. Nelle nostre relazioni, parlando con coloro che vivono e lavorano con noi, bisogna trovare il modo di far lievitare i contenuti fino a cogliere i valori, i significati che si sono incontrati, le motivazioni, anche se faticose, che si riesce a scovare, i risultati di lavori compiuti insieme e maturati nelle collaborazioni che vanno valorizzate.


Matteo 3, 1-12
In quei giorni venne Giovanni il Battista e predicava nel deserto della Giudea dicendo: «Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino!». Egli infatti è colui del quale aveva parlato il profeta Isaia quando disse: «Voce di uno che grida nel deserto: / Preparate la via del Signore, / raddrizzate i suoi sentieri!». E lui, Giovanni, portava un vestito di peli di cammello e una cintura di pelle attorno ai fianchi; il suo cibo erano cavallette e miele selvatico. Allora Gerusalemme, tutta la Giudea e tutta la zona lungo il Giordano accorrevano a lui e si facevano battezzare da lui nel fiume Giordano, confessando i loro peccati. Vedendo molti farisei e sadducei venire al suo battesimo, disse loro: «Razza di vipere! Chi vi ha fatto credere di poter sfuggire all’ira imminente? Fate dunque un frutto degno della conversione, e non crediate di poter dire dentro di voi: “Abbiamo Abramo per padre!”. Perché io vi dico che da queste pietre Dio può suscitare figli ad Abramo. Già la scure è posta alla radice degli alberi; perciò ogni albero che non dà buon frutto viene tagliato e gettato nel fuoco. Io vi battezzo nell’acqua per la conversione; ma colui che viene dopo di me è più forte di me e io non sono degno di portargli i sandali; egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco. Tiene in mano la pala e pulirà la sua aia e raccoglierà il suo frumento nel granaio, ma brucerà la paglia con un fuoco inestinguibile».

Giovanni il Battista predicava nel deserto della Giudea dicendo: convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino (Mt 3,2). Gesù cominciò a predicare lo stesso annuncio: convertitevi perché il regno dei cieli è vicino (Mt 4,17). Tutti i profeti hanno gli occhi fissi nel sogno, nel regno dei cieli che è un mondo nuovo intessuto di rapporti buoni e felici. Ne percepiscono il respiro vicino: è possibile, è ormai iniziato. Su quel sogno ci chiedono di osare la vita, ed è la conversione. Si tratta di tre annunci in uno, e tra tutte la parola più calda di speranza è l'aggettivo «vicino». Dio è vicino, è qui, prima buona notizia: il grande Pellegrino ha camminato, ha consumato distanze, è vicinissimo a te. E se anche tu ti trovassi ai piedi di un muro o sull'orlo del baratro, allora ricorda: o quanti cercate, siate sereni / egli per noi non verrà mai meno / e Lui stesso varcherà l'abisso (David Maria Turoldo). Dio è accanto, a fianco, si stringe a tutto ciò che vive, rete che raccoglie insieme, in armonia, il lupo e l'agnello, il leone e il bue, il bambino e il serpente (parola di Isaia), uomo e donna, arabo ed ebreo, musulmano e cristiano, bianco e nero, per una nuova architettura del mondo e dei rapporti umani. Il regno dei cieli e la terra come Dio la sogna. Non si è ancora realizzata? Non importa, il sogno di Dio è più vero della realtà, è il nostro futuro che ci porta, la forza che fa partire. Gesù è l'incarnazione di un Dio che si fa intimo come un pane nella bocca, una parola detta sul cuore, un respiro: infatti vi battezzerà nello Spirito Santo, vi immergerà dentro il mare di Dio, sarete avvolti, intrisi, impregnati della vita stessa di Dio, in ogni vostra fibra. Convertitevi, ossia osate la vita, mettetela in cammino, e non per eseguire un comando, ma per una bellezza; non per una imposizione da fuori ma per una seduzione. Ciò che converte il freddo in calore non è un ordine dall'alto, ma la vicinanza del fuoco; ciò che toglie le ombre dal cuore non è un obbligo o un divieto, ma una lampada che si accende, un raggio, una stella, uno sguardo. Convertitevi: giratevi verso la luce, perché la luce è già qui. Conversione, non comando ma opportunità: cambiate lo sguardo con cui vedete gli uomini e le cose, cambiate strada, sopra i miei sentieri il cielo è più vicino e più azzurro, il sole più caldo, il suolo più fertile, e ci sono cento fratelli, e alberi fecondi, e miele.