
DOMENICA CHE PRECEDE IL MARTIRIO DI SAN GIOVANNI IL PRECURSORE
26 agosto 2018
Matteo 10, 28-42
Riferimenti : secondo libro dei Maccabei 7, 1-2. 20-41 -
Salmo 16
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Corinzi 4, 7-14 |
Ascolta, Signore, la mia giusta causa, sii attento al mio grido.
Porgi l’orecchio alla mia preghiera: sulle mie labbra non c’è
inganno. Tieni saldi i miei passi sulle tue vie e i miei piedi
non vacilleranno. Io t’invoco poiché tu mi rispondi, o Dio;
tendi a me l’orecchio, ascolta le mie parole.
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secondo libro dei Maccabei 7, 1-2.
20-41 In quei giorni. Ci fu il caso di sette
fratelli che, presi insieme alla loro madre,
furono costretti dal re, a forza di flagelli e
nerbate, a cibarsi di carni suine proibite. Uno
di loro, facendosi interprete di tutti, disse:
«Che cosa cerchi o vuoi sapere da noi? Siamo
pronti a morire piuttosto che trasgredire le
leggi dei padri». Soprattutto la madre era
ammirevole e degna di gloriosa memoria, perché,
vedendo morire sette figli in un solo giorno,
sopportava tutto serenamente per le speranze
poste nel Signore. Esortava ciascuno di loro
nella lingua dei padri, piena di nobili
sentimenti e, temprando la tenerezza femminile
con un coraggio virile, diceva loro: «Non so
come siate apparsi nel mio seno; non io vi ho
dato il respiro e la vita, né io ho dato forma
alle membra di ciascuno di voi. Senza dubbio il
Creatore dell’universo, che ha plasmato
all’origine l’uomo e ha provveduto alla
generazione di tutti, per la sua misericordia vi
restituirà di nuovo il respiro e la vita, poiché
voi ora per le sue leggi non vi preoccupate di
voi stessi». Antìoco, credendosi disprezzato e
sospettando che quel linguaggio fosse di
scherno, esortava il più giovane che era ancora
vivo; e non solo a parole, ma con giuramenti
prometteva che l’avrebbe fatto ricco e molto
felice, se avesse abbandonato le tradizioni dei
padri, e che l’avrebbe fatto suo amico e gli
avrebbe affidato alti incarichi. Ma poiché il
giovane non badava per nulla a queste parole, il
re, chiamata la madre, la esortava a farsi
consigliera di salvezza per il ragazzo. Esortata
a lungo, ella accettò di persuadere il figlio;
chinatasi su di lui, beffandosi del crudele
tiranno, disse nella lingua dei padri: «Figlio,
abbi pietà di me, che ti ho portato in seno nove
mesi, che ti ho allattato per tre anni, ti ho
allevato, ti ho condotto a questa età e ti ho
dato il nutrimento. Ti scongiuro, figlio,
contempla il cielo e la terra, osserva quanto vi
è in essi e sappi che Dio li ha fatti non da
cose preesistenti; tale è anche l’origine del
genere umano. Non temere questo carnefice, ma,
mostrandoti degno dei tuoi fratelli, accetta la
morte, perché io ti possa riavere insieme con i
tuoi fratelli nel giorno della misericordia».
Mentre lei ancora parlava, il giovane disse:
«Che aspettate? Non obbedisco al comando del re,
ma ascolto il comando della legge che è stata
data ai nostri padri per mezzo di Mosè. Tu però,
che ti sei fatto autore di ogni male contro gli
Ebrei, non sfuggirai alle mani di Dio. Noi, in
realtà, soffriamo per i nostri peccati. Se ora
per nostro castigo e correzione il Signore
vivente per breve tempo si è adirato con noi, di
nuovo si riconcilierà con i suoi servi. Ma tu, o
sacrilego e il più scellerato di tutti gli
uomini, non esaltarti invano, alimentando
segrete speranze, mentre alzi la mano contro i
figli del Cielo, perché non sei ancora al sicuro
dal giudizio del Dio onnipotente che vede tutto.
Già ora i nostri fratelli, che hanno sopportato
un breve tormento, per una vita eterna sono
entrati in alleanza con Dio. Tu invece subirai
nel giudizio di Dio il giusto castigo della tua
superbia. Anch’io, come già i miei fratelli,
offro il corpo e la vita per le leggi dei padri,
supplicando Dio che presto si mostri placato al
suo popolo e che tu, fra dure prove e flagelli,
debba confessare che egli solo è Dio; con me
invece e con i miei fratelli possa arrestarsi
l’ira dell’Onnipotente, giustamente attirata su
tutta la nostra stirpe». Il re, divenuto
furibondo, si sfogò su di lui più crudelmente
che sugli altri, sentendosi invelenito dallo
scherno. Così anche costui passò all’altra vita
puro, confidando pienamente nel Signore. Ultima
dopo i figli, anche la madre incontrò la morte.
I fatti, ricordati nel martirio dei 7 fratelli,
con la madre, si collocano durante il regno di
Antioco IV Epifane ( 176-164 a.C). Questo re
vuole sviluppare una politica di revisione e di
smantellamento del culto ebraico. Tale politica
affretta la rivolta partigiana della famiglia
dei Maccabei: cinque fratelli che si ribellano
al re Antioco nel 167 a.C. e che resistono alle
campagne degli eserciti greci, riuscendo, alla
fine, a liberare Gerusalemme. In questo clima di
contrasto e di persecuzione verso i fedeli,
convinti della fede del Dio d'Israele, si
sviluppa un accanimento che provoca molte
vittime. L'autore biblico ha voluto, in
particolare, raccontare un processo pubblico,
alla presenza del re contro una famiglia di 7
fratelli con accanto la loro madre, colpevoli
del rifiuto di mangiare cibo impuro secondo la
legge ebraica. L'autore biblico, nel racconto,
sviluppa anche una riflessione teologica molto
matura e nuova nel mondo ebraico. Prima di tutto
egli vuole portare a conoscenza questo processo
poiché offre un grande esempio che aiuta i
credenti a riprendere coraggio e mantenere
fedeltà. Il racconto di questi martiri della
fede passa sotto il nome di "fratelli Maccabei"
dal nome del libro che parla della resistenza in
Israele (pur non avendo niente a che fare con i
partigiani nella lotta al re, portatori di tale
nome). Il re Antioco si pone, in particolare,
due obiettivi, tra i tanti: una motivazione
culturale, obbligando al culto degli dei greci
gli ebrei conquistati, e una motivazione
economica: depredare il tempio di Gerusalemme
per il bisogno continuo di danaro per la guerra
e i tributi ai romani. Ma ha anche tentato di
profanare il tempio, dedicandolo a Giove Olimpio
(2 Mac 6,1-2). E' convinto che sfibrare la fede
e la convinzione di un popolo permette di
poterlo dominare. L'episodio racconta il
processo, discorsi, risposte e torture. Nella
liturgia di oggi, in particolare, possiamo
leggere le coraggiose riflessioni della madre e
dell'ultimo figlio ancora vivente. Oltre la
testimonianza di fede, il figlio minore svela
una stupefacente maturazione della fede che si è
approfondita proprio durante la persecuzione,
facendo evolvere i contenuti del passato, che
erano legati al benessere ed al successo, e
veramente considerati segni della giustizia di
Dio che ricompensa il giusto. Ma di fronte alla
morte, tra l'altro atroce, di giovani che non
hanno ancora ricevuto nulla dalla vita e che,
tuttavia, sono rimasti fedeli, cresce una nuova
consapevolezza. Accanto al dono della vita come
dono di Dio, c'è la vita piena che Egli offrirà
nella risurrezione: "La sua misericordia vi
restituirà di nuovo lo spirito della vita".
Insieme a questo destino di gloria e di luce si
scopre una seconda profondissima intuizione
nella fede in Dio che è creatore dal nulla del
cielo e della terra ("e non da realtà
preesistenti " come viene pensato nelle varie
religioni e culture). Il concetto del creare dal
nulla è molto complesso e difficile. Ma, in tal
modo, il Dio d'Israele viene ad essere
riconosciuto come il più grande di tutti gli dei
e di tutti i re della terra, il più potente.
Infine viene ricordato proprio dalla vittima,
che soffre l'ingiustizia, una giustizia più alta
che condanna alla sua terribile responsabilità
chi si comporta senza rettitudine, ricordando
che il Dio in cui crede è l'unico Dio della
terra. Tutto questo testo è un grandioso brano
educativo dove appare il significato sapienziale
della fede e della vita, incoraggiata ed
offerta, insieme con la responsabilità di
sorreggere anche la fede degli altri e la
coscienza di essere nelle mani di Dio,
nonostante le difficoltà, le contraddizioni e la
propria fragilità. |
Corinzi 4, 7-14 Fratelli, noi
abbiamo questo tesoro in vasi di creta, affinché appaia che
questa straordinaria potenza appartiene a Dio, e non viene da
noi. In tutto, infatti, siamo tribolati, ma non schiacciati;
siamo sconvolti, ma non disperati; perseguitati, ma non
abbandonati; colpiti, ma non uccisi, portando sempre e dovunque
nel nostro corpo la morte di Gesù, perché anche la vita di Gesù
si manifesti nel nostro corpo. Sempre infatti, noi che siamo
vivi, veniamo consegnati alla morte a causa di Gesù, perché
anche la vita di Gesù si manifesti nella nostra carne mortale.
Cosicché in noi agisce la morte, in voi la vita. Animati
tuttavia da quello stesso spirito di fede di cui sta scritto:
«Ho creduto, perciò ho parlato», anche noi crediamo e perciò
parliamo, convinti che colui che ha risuscitato il Signore Gesù,
risusciterà anche noi con Gesù e ci porrà accanto a lui insieme
con voi. Paolo ha un profondo senso di
consapevolezza della propria povertà, anche se sa difendersi
quando viene attaccato, poiché non sopporta di essere
considerato ambiguo, o superficiale, o in cerca di interessi e
privilegi. Egli rivendica la sua onestà che lo porta ad essere
scrupoloso nel proporre il vangelo di Gesù che gli è stato
affidato. E rivendica di aver predicato la verità davanti ad
ogni coscienza. "La verità è Cristo Gesù Signore "(v 5). E
tuttavia, l'esperienza gli fa riconoscere che il Vangelo è
custodito in vasi di creta, nella sua debolezza e infermità.
Tutta la persona e tutta la vita, che soffrono questa
limitatezza, sono chiamate ad una altissima vocazione. Proprio
qui si manifesta "la potenza straordinaria di Dio". E se nella
mentalità comune e nella sensibilità greca il valore della
persona, alla fine, si mostra nella saggezza, nel rispetto, nel
prestigio, nell'accoglienza, nell'accettazione entusiasta della
Parola nuova, Paolo si rende conto che la sua vita non è un
grande esempio di popolarità, di successo e di riuscita.
"Tribolati da ogni parte" ma non disperati, perseguitati eppure
soprattutto coscienti di non essere abbandonati. Paolo sente di
essere consegnato come "alla morte", a somiglianza di Gesù " e a
causa di Gesù". La fede, nella Parola di Dio e nella
risurrezione, provoca la vita nei fratelli, mentre nel discepolo
vive la fatica e la sofferenza del Salvatore. Egli è consapevole
che l'operosità e la missione che lo stimolano lo fanno
diventare fiducioso agli occhi di coloro che incontra. Egli ha
creduto e quindi parla. E così, nonostante la propria fatica, i
cristiani di Corinto sono santificati dallo Spirito che vivifica
ciascuno, e sono consci che la fede alimenterà ogni giorno la
convinzione della risurrezione, "ponendoci accanto a lui" nella
gloria. Per quanto disorientati per un cammino niente affatto
desiderabile e gioioso, proprio la morte di Gesù e l'esempio che
egli ha dato sono diventati una verifica che capovolge i criteri
di valore e di successo. "Consegnati alla morte perché la vita
si manifesti nella nostra carne mortale", Paolo non teme di
essere chiaro e, per alcuni versi, brutale. Ma questo paradosso,
che vive con consapevolezza, gli permette, tutto sommato, di
abitare nella speranza. Egli diventa un viatico per la sua
comunità che è continuamente presente nel suo ricordo e nella
sua volontà formativa.
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Matteo
10, 28-42 In quel tempo. Il Signore Gesù disse: «Non abbiate paura di
quelli che uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere l’anima;
abbiate paura piuttosto di colui che ha il potere di far perire nella Geènna
e l’anima e il corpo. Due passeri non si vendono forse per un soldo? Eppure
nemmeno uno di essi cadrà a terra senza il volere del Padre vostro. Perfino i
capelli del vostro capo sono tutti contati. Non abbiate dunque paura: voi
valete più di molti passeri! Perciò chiunque mi riconoscerà davanti agli
uomini, anch’io lo riconoscerò davanti al Padre mio che è nei cieli; chi
invece mi rinnegherà davanti agli uomini, anch’io lo rinnegherò davanti al
Padre mio che è nei cieli. Non crediate che io sia venuto a portare pace
sulla terra; sono venuto a portare non pace, ma spada. Sono infatti venuto a
separare “l’uomo da suo padre e la figlia da sua madre e la nuora da sua
suocera”; e “nemici dell’uomo saranno quelli della sua casa”. Chi ama
padre o madre più di me, non è degno di me; chi ama figlio o figlia più di
me, non è degno di me; chi non prende la propria croce e non mi segue, non è
degno di me. Chi avrà tenuto per sé la propria vita, la perderà, e chi avrà
perduto la propria vita per causa mia, la troverà. Chi accoglie voi
accoglie me, e chi accoglie me accoglie colui che mi ha mandato. Chi accoglie
un profeta perché è un profeta, avrà la ricompensa del profeta, e chi
accoglie un giusto perché è un giusto, avrà la ricompensa del giusto. Chi
avrà dato da bere anche un solo bicchiere d’acqua fresca a uno di questi
piccoli perché è un discepolo, in verità io vi dico: non perderà la sua
ricompensa».
Gesù ha lungamente istruito i suoi
discepoli poiché tutta la vita comune, che hanno sviluppato con Lui
senz'alcuna pausa o stacco, ha portato a maturare alcune scelte fondamentali.
Matteo ci sintetizza, tuttavia qui, le raccomandazioni ai missionari (ma
missionari siamo tutti), riproponendoci questa seconda parte del discorso
missionario. Si ritrovano qui alcuni atteggiamenti fondamentali da maturare e
riproporre nella quotidianità. A: "Non abbiate paura".< B: "Sono venuto
per una rivoluzione di significati e di valori". C: "Desidero rimettere al
primo posto la gratuità". A: Il "non abbiate paura" è ripetuto tre volte
in questo brano (vv26.28.31). "Non abbiate paura" che le prospettive del
Regno siano travolte e vanificate. Anzi il Regno ha una forza esplosiva.
"Nulla resterà nascosto" e perciò "quello che vi dico nelle tenebre ditelo
alla luce e predicatelo sui tetti" (vv 26-27) "Non abbiate paura " di
perdere la vostra posizione, la stima dei superiori o le amicizie, o ciò che
è vostro; non temere di essere puniti, degradati o addirittura uccisi (vv
28-29), poiché tutto quello che ci possono derubare non costituisce la
dignità piena. E se conosciamo una nostra drammatica fragilità, che vorrebbe
metterci in balia delle volontà e delle intenzioni degli altri, il Signore,
che passa per la morte, vince il mondo e la nostra morte stessa. "Non
abbiate paura" di quelli che lasciate soli, perché coinvolti nelle vostre
scelte, e perciò in balia della povertà e in mancanza di sostegno. Gesù dice:
"Fidatevi". Se ci sono molti che soffrono per la Parola di Gesù, saranno
riconosciuti da Gesù di fronte al Padre. Abbiate invece paura del male che
c'è in noi, " di chi ha il potere di far perire nella Geènna e l'anima e il
corpo" (v 28). E' quella forza negativa che ci conduce lontano da Gesù, che
ci fa fare scelte ambigue, ci fa tenere amicizie distorte, ci fa mantenere
legami che ci rendono schiavi e incapaci di vivere. Non va dimenticato che
questo testo è scritto da Matteo (tra gli anni 80- 100 d.C.), in un periodo
in cui già l'autorità civile sta perseguitando i cristiani, accusandoli di
ateismo, pericolosi nemici dell'umanità e traditori dell'imperatore, poiché
non accettano di riconoscere caratteri divini a Roma e all'autorità (si
intravedono i profili di Nerone e di Domiziano). B: sono venuto per una
rivoluzione di significati e di valori Nella vita la prima scelta da fare,
dice Gesù, è "riconoscermi davanti agli uomini" (v 32). Bisogna avere il
coraggio di smuovere le incrostazioni e gli accomodamenti:" Non sono venuto a
portare la pace ma la guerra, ma la spada". Sono "venuto a separare", a
mettere in crisi la famiglia e gli affetti sacrosanti. Quando qualcuno della
famiglia diventa cristiano, nascono tensione, paura e sconcerto anche per le
conseguenze che coinvolgono tutta la famiglia: dalla esclusione dalla
sinagoga alla persecuzione. Si arriva facilmente a disconoscere il figlio o
la figlia e a scacciarli di casa. "Sono venuto a separare il figlio dal
padre, la figlia dalia madre". C: Gesù desidera che si rimetta al primo
posto la gratuità. E quattro richiami molto radicali ci riportano ad
approfondire il senso del cammino: non si tratta di parabole o di
similitudini. Gesù non si limita ad incoraggiamenti, a ripensare in modo
più onesto (oggi si parla spesso di cattolici "moderati".) la qualità della
vita. "Prendere la croce" rimanda alla tragica processione che il mondo
romano svolge quando un pericoloso distruttore dell'impero viene condannato.
Passare tra la gente, deriso e rifiutato, e morire sulla croce senza scampo è
assolutamente repellente. Il problema però si pone poiché Gesù stesso ha
seguito alla lettera questo itinerario, lui il "Giusto". E non ha fatto o
detto nulla per difendersi. Nel mondo il credente, invitato alla coerenza,
rischia di essere qualificato come un traditore e un pericolo per l'impero.
"Trovare la vita" significa cercarla e conservarla con tutte le proprie
forze, quella che Gesù invita a cercare nei suoi valori più alti.
L'accoglienza nei tre livelli di presenza: il discepolo, Gesù, il Padre.
Nell'inviato c'è tutta l'autorità di Gesù (in due versetti, 6 volte c'è il
termine "accogliere"). 6 è il numero della vita, (l'umanità è creata il 6°
giorno: Gen 1), ma non è ancora tutto poiché non raggiunge il 7. Il credente
deve poter essere disponibile mentre ci coinvolge l'attenzione sui bisogni
dell'altro, anche solo del bicchiere di acqua, ma "fresca". Sembra che Gesù
porti il suo messaggio alla esasperazione. Ma, come tutto il Vangelo, la
radicalità non pretende che si ubbidisca alla lettera, ma che si accettino
strade ed itinerari inusuali che maturino verso orientamenti assolutamente
nuovi, quelli di Gesù. Egli chiede scelte di campo nei suoi fedeli e nella
Chiesa. |