
III domenica
di Pasqua 15 APRILE 2018 Giovanni
14, 1-11a
Riferimenti : Atti degli Apostoli 16, 22-34 - Salmo 97
- Colossesi 1, 24-29 |
Cantate al Signore un canto nuovo, perché ha
compiuto meraviglie. Gli ha dato vittoria la sua destra e il suo
braccio santo. Il Signore ha fatto conoscere la sua salvezza,
agli occhi delle genti ha rivelato la sua giustizia. |
Atti degli Apostoli 16, 22-34 In
quei giorni. La folla insorse contro Paolo e
Sila e i magistrati, fatti strappare loro i
vestiti, ordinarono di bastonarli e, dopo averli
caricati di colpi, li gettarono in carcere e
ordinarono al carceriere di fare buona guardia.
Egli, ricevuto quest’ordine, li gettò nella
parte più interna del carcere e assicurò i loro
piedi ai ceppi. Verso mezzanotte Paolo e Sila,
in preghiera, cantavano inni a Dio, mentre i
prigionieri stavano ad ascoltarli. D’improvviso
venne un terremoto così forte che furono scosse
le fondamenta della prigione; subito si aprirono
tutte le porte e caddero le catene di tutti. Il
carceriere si svegliò e, vedendo aperte le porte
del carcere, tirò fuori la spada e stava per
uccidersi, pensando che i prigionieri fossero
fuggiti. Ma Paolo gridò forte: «Non farti del
male, siamo tutti qui». Quello allora chiese un
lume, si precipitò dentro e tremando cadde ai
piedi di Paolo e Sila; poi li condusse fuori e
disse: «Signori, che cosa devo fare per essere
salvato?». Risposero: «Credi nel Signore Gesù e
sarai salvato tu e la tua famiglia». E
proclamarono la parola del Signore a lui e a
tutti quelli della sua casa. Egli li prese con
sé, a quell’ora della notte, ne lavò le piaghe e
subito fu battezzato lui con tutti i suoi; poi
li fece salire in casa, apparecchiò la tavola e
fu pieno di gioia insieme a tutti i suoi per
avere creduto in Dio. Il
racconto degli Atti degli Apostoli, che leggiamo
oggi, è interessantissimo per uno stile di
novità e di libertà che dimostra; nella linea
della Pasqua, si respira il senso della speranza
e della gioia della salvezza Paolo, a Filippi,
colonia romana della Macedonia, si trova presto
in difficoltà. Una commerciante di porpora,
Lidia, si è convertita con la sua famiglia ed ha
accolto Paolo a casa sua per ospitalità,
"costringendolo". Paolo, che è restio a
dipendere dagli altri, in questa occasione
accetta e inizia una vita quotidiana di buoni
credenti in terra pagana (At16,16-21),
suscitando però malumore. Ma ne suscita ancor
più un fatto che era già capitato, spesso, a
Gesù (Lc4,34-41): delle persone, accusate come
indemoniate, gridavano a Gesù il fatto che fosse
un Giusto e Figlio di Dio.. Qui una schiava di
una famiglia ricca, che aveva uno spirito di
divinazione e faceva l'indovina, procurando
molto guadagno ai suoi padroni, insegue
frequentemente per la strada Paolo, continuando
a gridare: «Questi uomini sono servi del Dio
Altissimo e vi annunciano la via della
salvezza», Paolo non sopporta la cosa e la fa
tacere. "rivolgendosi allo spirito di uscire da
lei. Lo spirito uscì". Ma i padroni di lei si
sentono defraudati e quindi lo accusano per la
sua religione giudaica, dai romani per sé
solamente "tollerata", ma che suscita
frequentemente tensione, obbligando le autorità
a dimostrarsi intransigenti. In carcere Paolo e
Sila, nonostante la flagellazione e le percosse,
mantengono un atteggiamento sereno: pregano e
cantano inni fino a mezzanotte. I carcerati ne
sono meravigliati, anzi affascinati poiché
questi due ultimi incarcerati dimostrano, qui,
una libertà di cuore ed una disponibilità
inconcepibili. Un improvviso terremoto, che fa
cadere le catene e scardina le porte, può
portare alla fuga. Se un carceriere non ferma i
fuggitivi, potrebbe ricevere un castigo
drammatico. E infatti, quando il carceriere si
rende conto delle porte spalancate, nella sua
disperazione vorrebbe suicidarsi. Ma Paolo si
preoccupa di lui e lo salva dalla angoscia. La
conseguenza è la conversione di questa famiglia
riconoscente (non si dice nulla degli altri
prigionieri). |
Colossesi 1, 24-29 Fratelli, io
sono lieto nelle sofferenze che sopporto per voi e do compimento
a ciò che, dei patimenti di Cristo, manca nella mia carne, a
favore del suo corpo che è la Chiesa. Di essa sono diventato
ministro, secondo la missione affidatami da Dio verso di voi di
portare a compimento la parola di Dio, il mistero nascosto da
secoli e da generazioni, ma ora manifestato ai suoi santi. A
loro Dio volle far conoscere la gloriosa ricchezza di questo
mistero in mezzo alle genti: Cristo in voi, speranza della
gloria. È lui infatti che noi annunciamo, ammonendo ogni uomo e
istruendo ciascuno con ogni sapienza, per rendere ogni uomo
perfetto in Cristo. Per questo mi affatico e lotto, con la forza
che viene da lui e che agisce in me con potenza.
Paolo sta vivendo, ormai anziano, un tempo di inattività
poiché è in carcere. Da qui scrive quattro lettere dette "della
prigionia" (ai Filippesi, agli Efesini, ai Colossesi e a
Filemone). Esse rappresentano un bilancio ed una scoperta, nello
stesso tempo, per sé e per gli altri. Ripensando alla sua vita
che ha offerto con gioia al Signore Gesù, Paolo sa che ha
continuato a condividere con Lui la sua fatica e la sofferenza
di una trasformazione e di una attesa che è "tribolazione" prima
che avvenga la conclusione della storia. Questa fatica, che si
accompagna a quella di Gesù, porta gioia anche perché è il suo
contributo al crescere della Chiesa e alla fede dei credenti a
cui scrive, sentendosi affezionato a loro. Ora sta valutando i
tanti passi, le peripezie e le scelte, il ministero come
risposta alla missione affidatagli per un mondo che si è
svelato. Paolo sa di avere particolarmente contribuito a
scoprire e a vivere, con gli altri, il grande segreto di Dio che
si è manifestato passo passo ("il mistero nascosto") e che ha
coinvolto tutta l'umanità, ebrei e pagani. Attraverso lui Cristo
ha continuato a sviluppare la sua opera e quindi vede con gioia
fiorire la Chiesa: luogo di salvezza di un unico popolo e di un
unico corpo. Paolo si sente testimone e collaboratore di quel
mistero, che si è svelato e che lui ha sperimentato, per cui
tutto il mondo ritorna ad essere unito in Gesù. E questa è la
sua gioia, pur nella fatica. Ma sa che ogni uomo deve
collaborare nella salvezza, senza preclusione e illusioni a buon
mercato, poiché ogni uomo è chiamato ad essere "perfetto in
Cristo". La fatica e la lotta dell'apostolo per arrivare
all'unità, svelata da Dio, sono possibili perché ciascuno vive
la forza che Dio stesso ha dato e dà: e sarà sorretto nella sua
generosità, continuando a vedere maturare i frutti.
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Giovanni
14, 1-11a In quel tempo. Il Signore Gesù disse ai discepoli: «Non sia
turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me.
Nella casa del Padre mio vi sono molte dimore. Se no, vi avrei mai detto:
“Vado a prepararvi un posto”? Quando sarò andato e vi avrò preparato un
posto, verrò di nuovo e vi prenderò con me, perché dove sono io siate anche
voi. E del luogo dove io vado, conoscete la via». Gli disse Tommaso:
«Signore, non sappiamo dove vai; come possiamo conoscere la via?». Gli disse
Gesù: «Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per
mezzo di me. Se avete conosciuto me, conoscerete anche il Padre mio: fin da
ora lo conoscete e lo avete veduto». Gli disse Filippo: «Signore, mostraci il
Padre e ci basta». Gli rispose Gesù: «Da tanto tempo sono con voi e tu non mi
hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me, ha visto il Padre. Come puoi tu
dire: “Mostraci il Padre”? Non credi che io sono nel Padre e il Padre è in
me? Le parole che io vi dico, non le dico da me stesso; ma il Padre, che
rimane in me, compie le sue opere. Credete a me: io sono nel Padre e il Padre
è in me». Nell'ultima cena Giovanni sintetizza tutto il
messaggio di Gesù che acquista un particolare valore per il contesto, i
gesti, le parole dette a metà ma gravide di tensione. E' come un "discorso di
addio", quasi un testamento lucidissimo sul futuro che i discepoli ascoltano,
ma non capiscono. Questi discorsi sono stati preceduti dalla lavanda dei
piedi (13,2-11), la predizione sia del tradimento di Giuda (13,1-30) che
della negazione di Pietro (13,36-38). Quanto basta per ritrovarsi
disorientati di fronte a quella eterna e indiscutibile convinzione che Gesù è
messia e Signore, potente e trionfatore. Certo i segni che offre non sono in
quella linea, ma certamente, pensano, si scuoterà dal torpore e dalla
incertezza. Il turbamento nasce dalla insicurezza, ma anche dal non riuscire
a capire. Probabilmente ognuno scaccia il disagio guardandosi in giro,
cercando di scorgere nel volto dell'altro qualche segno di chiarezza e di
illuminazione. Gesù allora richiama su di sé gli sguardi: "Abbiate fede in
Dio e abbiate fede anche in me". Ma qualche cosa hanno capito. Gesù sta
parlando di una sua partenza. E questo li riempie di sconforto e di paura.
Però Gesù li rassicura per il futuro. "«Nella casa del Padre vi sono molte
dimore»". Qual è la dimora di Dio? Noi ci siamo sempre abituati a ripensarla
come paradiso, come cielo. Ma pochi versetti più avanti Gesù rassicura: "«Se
uno mi ama osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a
lui e faremo dimora presso di lui» (14,23)". La nostra immagine, legata ai
posti riservati e alle manifestazioni di riguardo, rimanda alle poltroncine
con"posto riservato" e il nome di ogni apostolo, e quindi di ciascuno di noi,
unico, indistruttibile, scritto in grassetto. Ma Gesù ci dice che siamo noi
la dimora del Padre, di Gesù e dello Spirito che Egli manda. Dio dimorerà in
noi e a noi è riservato un compito prezioso, unico come ciascuno di noi è
unico, e abbiamo un ruolo di servizio e di operosità nella casa di Dio,
continuatori della bellezza di Gesù per la speranza di ognuno. Non c'è più un
santuario dove si manifesta Dio, ma ogni persona, che lo accoglie, è eletta
come dimora di Dio, ma anche come responsabile.
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