
IV DOMENICA DI PASQUA
Gesù afferma solennemente la sua divinitàà 22 aprile 2018
Giovanni 10, 27-30
Riferimenti : Atti degli Apostoli 20, 7-12 -
Salmo 29 - Prima lettera a Timòteo 4, 12-16 |
Signore, mio Dio, a te ho gridato e mi hai
guarito. Signore, hai fatto risalire la mia vita dagli inferi,
mi hai fatto rivivereperché non scendessi nella fossa |
Atti degli Apostoli 20, 7-12 Il
primo giorno della settimana ci eravamo riuniti
a spezzare il pane, e Paolo, che doveva partire
il giorno dopo, conversava con loro e prolungò
il discorso fino a mezzanotte. C’era un buon
numero di lampade nella stanza al piano
superiore, dove eravamo riuniti. Ora, un ragazzo
di nome Èutico, seduto alla finestra, mentre
Paolo continuava a conversare senza sosta, fu
preso da un sonno profondo; sopraffatto dal
sonno, cadde giù dal terzo piano e venne
raccolto morto. Paolo allora scese, si gettò su
di lui, lo abbracciò e disse: «Non vi turbate; è
vivo!». Poi risalì, spezzò il pane, mangiò e,
dopo aver parlato ancora molto fino all’alba,
partì. Intanto avevano ricondotto il ragazzo
vivo, e si sentirono molto consolati.
L'episodio, raccontato negli Atti degli
apostoli, per sé, è simile a molti altri
appuntamenti che Paolo sviluppa nella comunità
cristiane. Qui, però, acquista un particolare
significato per il segno che viene offerto,
poiché porta soccorso ad un ragazzo di questa
comunità che, incidentalmente, ha perso
l'equilibrio e, cadendo da una finestra del
terzo piano, è morto. La lettura di questo brano
si inserisce nelle novità che Gesù porta: la
Parola di Dio, l'Eucarestia, la forza della
fede, il segno della risurrezione che, in
quell'occasione, si è manifestata, addirittura,
per l'intervento di un apostolo, su un ragazzo
morto. Paolo ha abbandonato Efeso, si mette in
viaggio per la Macedonia, si ferma nelle varie
comunità per alcuni mesi; poi, per complotti
contro di lui e la sua predicazione, riprende la
strada del ritorno e giunge a Troade. Lo
accompagnano sette personaggi (20,4) che
probabilmente sono i delegati delle Chiese
dell'Asia per la raccolta-colletta in aiuto alla
comunità di Gerusalemme in difficoltà. E' stata
una iniziativa di Paolo, apprezzata dalle
diverse nuove comunità visitate dall'apostolo,
su cui Paolo ha riflettuto molto: su questo
impegno di solidarietà Paolo ha scritto molto
nella II lettera ai Corinzi. Dal racconto si
scopre che anche Luca, autore degli "Atti degli
apostoli" è testimone dei fatti avvenuti. "Ci
eravamo riuniti a spezzare il pane, nel primo
giorno della settimana", al tramonto (E',
quindi, un sabato sera, all'inizio della
settimana ebraica). Al piano superiore, la
piccola comunità si trova a pregare e a
celebrare l'Eucaristia che fa memoria della
passione e insieme della risurrezione di Gesù,
avvenuta esattamente il giorno dopo il sabato,
il primo giorno della settimana. Si ricordano il
"Discorso" e la "Conversazione". Si intravede lo
schema della riunione: il tempo della
riflessione (o liturgia della Parola che
corrisponde a un lungo discorso tenuto da Paolo
alla piccola comunità, insieme con un tempo di
riflessione e di spiegazione), l'Eucaristia e
quindi il pasto comunitario: praticamente ci si
richiama alla liturgia familiare della cena
pasquale ebraica. In questa riunione un ragazzo,
di nome Fortunato ("Eutico"), probabilmente
stordito dalle tante lampade accese in quella
stanza, addormentandosi, cade da una finestra e
muore. L'episodio fa riferimento a due
risurrezioni, nel Primo Testamento, operate da
Elia (1 Re 17,17-24) e da Eliseo (2 Re 4,30-37)
e all'episodio della risurrezione della figlia
del capo della sinagoga Giairo, operata da Gesù
(Mc 5,35-43). Tutto il testo ha molti
riferimenti simbolici: le tenebre e le lampade
accese, la vita e la morte. Vince tuttavia la
Parola di vita e il segno della risurrezione.
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Prima lettera a Timòteo 4, 12-16
Carissimo, nessuno disprezzi la tua giovane età, ma sii di
esempio ai fedeli nel parlare, nel comportamento, nella carità,
nella fede, nella purezza. In attesa del mio arrivo, dèdicati
alla lettura, all’esortazione e all’insegnamento. Non trascurare
il dono che è in te e che ti è stato conferito, mediante una
parola profetica, con l’imposizione delle mani da parte dei
presbìteri. Abbi cura di queste cose, dèdicati ad esse
interamente, perché tutti vedano il tuo progresso. Vigila su te
stesso e sul tuo insegnamento e sii perseverante: così facendo,
salverai te stesso e quelli che ti ascoltano.
Questa lettera è indirizzata ad un discepolo di Paolo,
Timoteo, responsabile della comunità di Efeso, che è soggetta a
crisi ed ha difficoltà anche perché la città, famosa e ricca, è
un crocevia di persone e di idee. In tale realtà si sta
costituendo, lentamente, un pensiero nuovo, attraverso
l'esperienza di Gesù, la sua Parola e il rapporto con il Padre.
E' molto facile, però, l'innesto e l'inquinamento di
riflessioni, sensibilità e atteggiamenti che vengono da una
rilettura ebraica della fede o da abitudini e mentalità pagane.
Timoteo viene fortemente incoraggiato ad una fermezza che
manifesti una lucidità coraggiosa che sostenga la fede della
comunità. Circolano, infatti, e lo saranno in maniera vistosa
alcuni decenni dopo, nella Chiesa, insegnamenti di "spiriti
ingannatori" che diffondono pratiche scorrette che Gesù non
aveva mai proposto: vietare il matrimonio o astenersi da alcuni
cibi (4,3). La matrice, con alcuni addentellati pagani,
svilupperà correnti eretiche nelle Comunità Cristiane con questi
stessi contenuti che passarono sotto il nome di "Encratismo".
Gli errori sul valore del corpo e il disprezzo della materia
derivano dal disprezzo della materia e quindi anche del corpo
umano e conducono a pratiche e comportamenti contrari
all'insegnamento che Gesù aveva dato, e contrasta anche a quel
patrimonio ebraico prezioso che fa riferimento alla creazione
del mondo da parte di Dio, che ha fatto buone e belle tutte le
cose. E quindi, Timoteo, come collaboratore nella missione, deve
insegnare, con intelligenza e con responsabilità, la fede vera e
deve essere guardato con rispetto, soprattutto per una condotta
esemplare di vita che diventi esempio a tutti. Si parla di
giovane età. Per il compito che deve sviluppare, le comunità
ancorate, fortemente ancora all'ebraismo, sono abituate ad
avete, come depositari della fede, gli "anziani". Così la
giovane età di Timoteo può portare qualche difficoltà
nell'accoglienza del suo insegnamento. Paolo è già intervenuto
per sostenere il prestigio di Timoteo, in età assai più giovane,
quando lo aveva scelto come collaboratore (1 Cor 16,10-11). In
quel tempo, soprattutto per il ruolo che ha nella comunità, 35 o
40 anni sono ancora pochi. Timoteo deve sostituire con il suo
esempio e con una condotta esemplare ciò che manca alla sua età.
Si parla di "Lettura, esortazione e insegnamento". Normalmente,
dopo la lettura pubblica, si aggiungono spiegazioni morali e
dottrinali così come si usava nella sinagoga (At 13,14-16).
Viene ricordato, quindi, il dono di Dio ("carisma"), conferito
con l'imposizione delle mani e che già nel Primo Testamento
veniva usato come azione simbolica per trasmettere poteri o
cariche.
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Giovanni
10, 27-30 In quel tempo. Il Signore Gesù disse ai Giudei: «Le mie pecore
ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. Io do loro la vita
eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia
mano. Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può
strapparle dalla mano del Padre. Io e il Padre siamo una cosa sola».
Le mie pecore ascoltano la mia voce. È bello il termine che Gesù
sceglie: la voce. Prima ancora delle cose dette conta la voce, che è il
canto dell'essere. Riconoscere una voce vuol dire intimità, frequentazione,
racconta di una persona che già abita dentro di te, desiderata come l'amata
del Cantico: la tua voce fammi sentire. Prima delle tue parole, tu. Ascoltano
la mia voce e mi seguono. Non dice: mi obbediscono. Seguire è molto di più:
significa percorrere la stessa strada di Gesù, uscire dal labirinto del non
senso, vivere non come esecutori di ordini, ma come scopritori di strade.
Vuol dire: solitudine impossibile, fine dell'immobilismo, camminare per
nuovi orizzonti, nuove terre, nuovi pensieri. Chiamati, noi e tutta la
Chiesa, ad allenarci alla sorpresa e alla meraviglia per cogliere la voce di
Dio, che è già più avanti, più in là. E perché ascoltare la sua voce? La
risposta di Gesù: perché io do loro la vita eterna. Ascolterò la sua voce
perché, come una madre, Lui mi fa vivere, la voce di Dio è pane per me. Così
come «la voce degli uomini è pane per Dio» (Elias Canetti). Per una volta
almeno, fermiamo tutta la nostra attenzione su quanto Gesù fa per noi. Lo
facciamo così poco. I maestri di quaggiù sono lì a ricordarci doveri,
obblighi, comandamenti, a richiamarci all'impegno, allo sforzo,
all'ubbidienza. Molti cristiani rischiano di scoraggiarsi perché non ce la
fanno. Ed io con loro. Allora è bene, è salute dell'anima, respirare la
forza che nasce da queste parole di Gesù: io do loro la vita eterna. Vita
eterna vuol dire: vita autentica, vita per sempre, vita di Dio, vita a
prescindere. Prima che io dica sì, Lui ha già seminato in me germi di pace,
semi di luce che iniziano a germinare, a guidare i disorientati nella vita
verso il paese della vita. «Nessuno le strapperà dalla mia mano». La vita
eterna è un posto fra le mani di Dio. Siamo passeri che hanno il nido nelle
sue mani. E nella sua voce. Siamo bambini che si aggrappano forte a quella
mano che non ci lascerà cadere.
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