DOMENICA NELL'OTTAVA DI NATALE
31 DICEMBRE 2017
Giovanni 1, 1-14
Riferimenti : libro dei Proverbi 8, 22-31 -
Salmo 2 - Colossesi 1, 13b. 15-20 |
Oggi la luce risplende su di noi. Voglio
annunciare il decreto del Signore. Egli mi ha detto: «Tu sei mio
figlio, io oggi ti ho generato. Chiedimi e ti darò in eredità le
genti e in tuo dominio le terre più lontane». E ora siate saggi,
o sovrani; lasciatevi correggere, o giudici della terra; servite
il Signore con timore e rallegratevi con tremore. |
libro dei Proverbi 8, 22-31 La
Sapienza grida: «Il Signore mi ha creato come
inizio della sua attività, / prima di ogni sua
opera, all’origine. / Dall’eternità sono stata
formata, / fin dal principio, dagli inizi della
terra. / Quando non esistevano gli abissi, io
fui generata, / quando ancora non vi erano le
sorgenti cariche d’acqua; / prima che fossero
fissate le basi dei monti, / prima delle
colline, io fui generata, / quando ancora non
aveva fatto la terra e i campi / né le prime
zolle del mondo. Quando egli fissava i cieli, io
ero là; / quando tracciava un cerchio
sull’abisso, / quando condensava le nubi in
alto, / quando fissava le sorgenti dell’abisso,
/ quando stabiliva al mare i suoi limiti, / così
che le acque non ne oltrepassassero i confini, /
quando disponeva le fondamenta della terra, / io
ero con lui come artefice / ed ero la sua
delizia ogni giorno: / giocavo davanti a lui in
ogni istante, / giocavo sul globo terrestre, /
ponendo le mie delizie tra i figli dell’uomo».
Il libro dei Proverbi, nonostante
sia stato attribuito a Salomone (1,1), va
considerato come opera di diversi autori,
confluiti nei secoli a fissare il testo attuale.
La parte più antica risale all'epoca della
monarchia in Israele (X-VII sec.); voleva
sintetizzare comportamenti e saggezze che
servissero da modello per la corte, la famiglia,
la scuola, la formazione degli scribi e degli
impiegati nell'amministrazione del regno. I
primi nove capitoli, da cui è stato tratto il
testo di oggi, riflettono la concezione della
Sapienza che si è affermata dopo l'esilio
babilonese (V sec.): la Sapienza diventa
anzitutto una prerogativa divina, e non è più
soltanto un mezzo per ottenere successo e
benevolenza. Nei libri sapienziali dell'Antico
Testamento spesso la Sapienza stessa è
personificata. Quasi una tecnica teatrale
permette alla Sapienza di presentarsi agli
uomini desiderabile più d'ogni altra cosa, di
castamente sedurli e farli innamorare di sé,
così che abbiano la vita piena e vera. Il libro
dei Proverbi pone, all'inizio di tutto, la
creazione-generazione della Sapienza. E'
anteriore a tutto, ma è pure principio di tutto,
principio nel tempo e principio di ogni realtà,
perché l'intelligenza umana scopre, con
meraviglia inesausta, le tracce
dell'intelligenza divina nelle cose del mondo:
rapporti, meccanismi, sistemi complessi che
suggeriscono una progettualità, sommamente
sapiente, che ha prodotto la realtà e la conduce
nel tempo. D'altra parte il libro dei Proverbi
rivela qualcosa di Dio stesso: questa Sapienza è
anche altra da lui, si pone come suo partner
nell'opera della creazione, come "consigliere al
suo fianco" e, molto di più, come sua "delizia",
giorno dopo giorno, bimba o donna dagli occhi
sempre ridenti. Ciò che fa ridenti gli occhi di
Sapienza è il globo terrestre, la terra che Dio
ha creato, e delizia della Sapienza sono i figli
dell'uomo. L'Antico Testamento è giunto fino ad
affermare che Dio non è solo nel creare il
mondo. Gesù riprenderà questa riflessione e la
svilupperà. La prima Comunità cristiana via via
collegherà la Sapienza che crea con Dio ed il
Verbo di Dio che si è fatto uomo in Gesù. Ci
troviamo oggi con un testo di 4 strofe. Nella
prima (vv 22-23) e nell'ultima (vv 30-31) la
Sapienza parla di se stessa mentre nella seconda
(vv 24-26) e terza (vv 27-29) la creazione del
mondo si sviluppa dal nulla attraverso la
Sapienza. Descritta come una fanciulla, figlia
primogenita del Creatore, è capace di portare al
padre una grande gioia, frutto di condivisione
totale, di comunione nel progettare. Così Dio si
presenta sempre in relazione con qualcuno,
disponibile, che partecipa alla sua opera. Il
disegno creativo è nel pensiero di Dio, ma
accanto a Lui ci si immagina come un modello
davanti ai suoi occhi su cui Egli imposta la sua
attività: la Sapienza come un "architetto-
artigiano-capomastro" che segue i lavori e vi
partecipa. In ogni fase, in ogni giorno è la
delizia di Dio e ne condivide la gioia. Essa è
l'unica che conosce Dio, è in rapporto con Lui e
con gli uomini. Lei sola possiede e può donare
il significato ultimo delle cose. |
Colossesi 1, 13b. 15-20 Fratelli,
il Figlio del suo amore è immagine del Dio invisibile, /
primogenito di tutta la creazione, / perché in lui furono create
tutte le cose / nei cieli e sulla terra, / quelle visibili e
quelle invisibili: / Troni, Dominazioni, / Principati e Potenze.
Tutte le cose sono state create / per mezzo di lui e in vista di
lui. / Egli è prima di tutte le cose / e tutte in lui
sussistono. / Egli è anche il capo del corpo, della Chiesa. /
Egli è principio, / primogenito di quelli che risorgono dai
morti, / perché sia lui ad avere il primato su tutte le cose. È
piaciuto infatti a Dio / che abiti in lui tutta la pienezza / e
che per mezzo di lui e in vista di lui / siano riconciliate
tutte le cose, / avendo pacificato con il sangue della sua croce
/ sia le cose che stanno sulla terra, / sia quelle che stanno
nei cieli.
A Colossi la comunità è
disorientata da una dottrina d'origine ebraica e pagana che
esalta i ruoli di misteriose potenze celesti, ben oltre la
dignità di Gesù. Paolo in questa lettera si preoccupa di porre
una riflessione approfondita su Gesù e il suo ruolo, come
riferimento fondamentale del creato e di tutta la Chiesa. Sembra
che qui si citi un inno cristiano primitivo (3,16) composto di
due strofe. La prima strofa (vv 15.16) celebra il ruolo di
Cristo nella prima creazione e nella nuova creazione (2Cor
5,17). Spiega il significato di «tutte le cose» (vv 16bcd.20b)
come richiamo ai credenti che tendevano a riferire un ruolo
preminente agli angeli (2,18). La seconda strofa (Col 1,18-20)
proclama la Chiesa: come corpo di Cristo; di essa Cristo ne è il
capo, sia per la sua priorità nel tempo (nella creazione e primo
tra i risuscitati, v18), e sia per la sua riconciliazione di
tutte le cose: egli è perciò «principio» nell'ordine della
salvezza (v 20). Si intravede la pienezza «della divinità» (come
in Col 2,9). In Gesù tutte le cose sono create e dipendono da
lui: il mondo è in pace nella pienezza del Signore. Ma un altro
titolo fa convergere a Gesù tutte le cose. Infatti, se la caduta
dell'umanità nella disobbedienza ha trascinato tutta la realtà
nella esclusione da Dio, solo Gesù è stato capace di
riconciliare la realtà poiché ha "pacificato con il suo sangue"
ed ha riconquistato tutto alla vita mediante la sua
risurrezione. Così l'umanità e il creato stesso, coinvolti nella
colpa, sono ripresi, purificati e salvati. (Rm 8,19-22;1Cor
3,22s;15,20-28;Ef 1,10;4,10;Fil 2,10s;3,21;Eb 2,5-8; cf.2,9). In
tal modo tutto il mondo può tornare nell'ordine e nella pace,
sia gli spiriti celesti, sia gli uomini (2Ts 1,8-9;1Cor
6,9-10;Gal 5,21;Rm 2,8;Ef 5,5) sia le realtà create.
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Giovanni 1, 1-14 In principio era il Verbo, / e il Verbo
era presso Dio / e il Verbo era Dio. / Egli era, in principio, presso Dio: /
tutto è stato fatto per mezzo di lui / e senza di lui nulla è stato fatto di
ciò che esiste. In lui era la vita / e la vita era la luce degli uomini; / la
luce splende nelle tenebre / e le tenebre non l’hanno vinta. / Venne un uomo
mandato da Dio: / il suo nome era Giovanni. / Egli venne come testimone / per
dare testimonianza alla luce, / perché tutti credessero per mezzo di lui. /
Non era lui la luce, / ma doveva dare testimonianza alla luce. / Veniva nel
mondo la luce vera, / quella che illumina ogni uomo. / Era nel mondo / e il
mondo è stato fatto per mezzo di lui; / eppure il mondo non lo ha
riconosciuto. / Venne fra i suoi, / e i suoi non lo hanno accolto. / A quanti
però lo hanno accolto / ha dato potere di diventare figli di Dio: / a quelli
che credono nel suo nome, / i quali, non da sangue / né da volere di carne /
né da volere di uomo, / ma da Dio sono stati generati. E il Verbo si fece
carne / e venne ad abitare in mezzo a noi; / e noi abbiamo contemplato la sua
gloria, / gloria come del Figlio unigenito / che viene dal Padre, / pieno di
grazia e di verità. Il Prologo (o Introduzione: si chiamano
così i primi 18 versetti del Vangelo di Giovanni) si presenta come un testo
libero, un canto che prende vita e cresce da un versetto all'altro. Esso
parla della manifestazione di Gesù che rivela Dio. Gesù è il narratore che
parla del Padre, dell'amore che lega il Figlio al Padre e di ambedue nei
riguardi dell'uomo. Egli è l'icona visibile del Dio invisibile, perché chi
vede il Figlio vede il Padre. Questa Rivelazione del Prologo, del Figlio nel
Padre e del Padre attraverso il Figlio, trova il suo punto massimo in Gv.
16,28: "Sono venuto nel mondo, ora lascio di nuovo il mondo e vado al Padre".
Così, a questo i suoi discepoli rispondono: "Ora parli chiaramente e non usi
similitudini, ora conosciamo che sai tutto...per questo crediamo che sei
uscito da Dio" Il prologo e tutto il vangelo si formano dal moto di Gesù che,
uscito dal Padre torna al Padre. La struttura interna, con la discesa nel
mondo e con la salita al Padre, raggiunge nella nostra vita il suo vertice
nel dono della luce, della grazia e della verità che, se accolte, ci rendono
figli di Dio. Il Prologo è l'inizio del vangelo di Giovanni che illustra,
anticipandoli e sintetizzandoli, tutti i temi del Vangelo di Giovanni: Gesù è
il Verbo di Dio che si fa carne e viene ad abitare tra noi. Possiamo
distinguere quattro sezioni in cui si intrecciano i significati - della
identità del Verbo e della sua missione nel mondo, rivelatore del Padre e
salvatore, - della missione di Giovanni Battista, - del rifiuto e della
fede del mondo in Cristo Gesù, - di pienezza di Cristo. La prima
sezione (vv. 1-5) ci presenta il Verbo, come Dio, origine e mediatore della
creazione, vita e luce. Egli è fonte di vita per gli uomini in quanto
creatore con Dio e in quanto luce degli uomini. La luce rivela ciò che è
nascosto: il mistero di Dio, e ciò che si nasconde nelle tenebre: il peccato
degli uomini. L'evangelista Giovanni afferma che, a causa della
resurrezione, il Verbo è più forte delle tenebre e della morte. La seconda
sezione (vv. 6-9) parla di Giovanni il Battezzatore come testimone che viene
da Dio per mostrare al popolo ebreo la luce di Cristo, la luce vera che
illumina la vita di ciascuno di noi. Giovanni il Battista è consapevole di
non essere lui la luce, ma il suo compito è quello di dare testimonianza a
Gesù, che è venuto come la luce vera.
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