 IV DOMENICA DI AVVENTO
3 dicembre 2017 Marco 11, 1-11
Riferimenti :Isaia 16, 1-5 - Salmo149 - Prima lettera
ai Tessalonicesi 3, 11 – 4, 2 |
Cantate al Signore un canto nuovo; la sua lode
nell’assemblea dei fedeli. Gioisca Israele nel suo creatore,
esultino nel loro re i figli di Sion. Lodino il suo nome con
danze,con tamburelli e cetre gli cantino inni.Il Signore ama il
suo popolo,incorona i poveri di vittoriaEpistola |
Isaia 16, 1-5 In quei giorni. Isaia
disse: / «Mandate l’agnello / al signore della
regione, / da Sela del deserto / al monte della
figlia di Sion. / Come un uccello fuggitivo, /
come una nidiata dispersa / saranno le figlie di
Moab / ai guadi dell’Arnon. / Dacci un
consiglio, / prendi una decisione! / Rendi come
la notte la tua ombra / in pieno mezzogiorno; /
nascondi i dispersi, / non tradire i fuggiaschi.
/ Siano tuoi ospiti / i dispersi di Moab; / sii
loro rifugio di fronte al devastatore. Quando
sarà estinto il tiranno / e finita la
devastazione, / scomparso il distruttore della
regione, / allora sarà stabilito un trono sulla
mansuetudine, / vi siederà con tutta fedeltà,
nella tenda di Davide, / un giudice sollecito
del diritto / e pronto alla giustizia».
Nel capitolo immediatamente precedente (ca.15)
del testo di Isaia, si parla di una minaccia
pronunciata sul popolo di Moab, un regno,
confinante ad Israele e tradizionalmente suo
nemico. E tuttavia, nella memoria, i Moabiti
vengono fatti risalire alla discendenza di Lot,
nipote di Abramo. Isaia preannuncia tragedie di
guerre e distruzioni. Già un tempo Moab inviava
al re d'Israele 100.000 agnelli e la lana di
100.000 pecore, come segno di sottomissione (2
Re 3,4). Ora si incoraggia questo popolo a
cercare rifugio nel territorio di Giuda e, nello
stesso tempo, si invitano i Moabiti a
riconoscere la sovranità del "Tempio" di
Gerusalemme. Debbono però dichiarare la propria
dipendenza in tempi ridotti. Si parla infatti
dell'attesa di donne in fuga, spaventate, che
aspettano una risposta di accoglienza ai guadi
di Arnon, alle porte del paese degli ebrei. Si
chiede di essere "ospiti protetti", mentre il
profeta garantisce, guardando il futuro, che
scomparirà il tiranno e si concluderà la
devastazione. In futuro ilo profeta prevede un
sovrano giusto, garantito dalla parola di Dio
sulla discendenza di Davide, "sollecito del
diritto e pronto alla giustizia". Questa lettura
del giudice misericordioso apre gli orizzonti
verso il Messia. Una simile tragedia si svolge
continuamente nella storia, e quindi ancor oggi:
popoli poveri che vengono travolti, sottomessi e
depredati, popoli che fanno valere il loro
potere per mostrare la propria potenza, popoli
sicuri di sconfiggere e di sottomettere. Ciò
avviene a livello politico, a livello economico,
a livello culturale mentre vengono depredate le
materie prime, vengono obbligati i paesi poveri
a pagare tributi spaventosamente alti.
Soggiacciono così alla fame e alla miseria e,
nello stesso tempo, debbono far emigrare la
parte migliore della popolazione. La comunità
mondiale intravvede orientamenti e spazi nuovi
di intervento, ma non è ancora capace di trovare
delle soluzioni di difesa delle realtà di popoli
oppressi. Si inventano, in alcuni casi, guerre e
distruzioni, in altri casi si mantengono
silenzio e neutralità, in altri casi gli
interventi umanitari, che pure nell'immediato
sono un soccorso indispensabile, riproducono
all'infinito la debolezza di popoli senza casa,
senza patria, sfrattati e abbandonati, senza
progetti futuri e senza ricerche di autonomia
propria e di proprie risorse. Orizzonti di
speranza dovrebbero portare a tutti i livelli la
vita come valore, come esigente di diritti, di
rispetto e di giustizia.
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Prima lettera ai Tessalonicesi 3, 11 –
4, 2 Fratelli, voglia Dio stesso, Padre nostro, e il Signore
nostro Gesù guidare il nostro cammino verso di voi! Il Signore
vi faccia crescere e sovrabbondare nell’amore fra voi e verso
tutti, come sovrabbonda il nostro per voi, per rendere saldi i
vostri cuori e irreprensibili nella santità, davanti a Dio e
Padre nostro, alla venuta del Signore nostro Gesù con tutti i
suoi santi. Per il resto, fratelli, vi preghiamo e supplichiamo
nel Signore Gesù affinché, come avete imparato da noi il modo di
comportarvi e di piacere a Dio – e così già vi comportate –,
possiate progredire ancora di più. Voi conoscete quali regole di
vita vi abbiamo dato da parte del Signore Gesù.
Secondo quello che raccontano gli Atti degli Apostoli, Paolo,
Silvano e Timoteo hanno raggiunto Tessalonica, durante il
secondo viaggio missionario di Paolo, probabilmente attorno agli
anni 50, espulsi da Filippi (At 16,16-40). Paolo è ospite presso
la casa di Giasone e predica per tre settimane nella sinagoga.
Ha successo, ma, per gelosia e paura, viene provocata una
rivolta della popolazione ebraica per cui Paolo e Silvano
fuggono e si rifugiano ad Atene (At 17,10-15). Tuttavia Paolo,
preoccupato per la comunità di persone che non ha potuto
conoscere e aiutare lungamente, manda Timoteo con una lettera,
non potendo egli personalmente ritornarvi. Paolo abita, ora, a
Corinto e aspetta con trepidazione (siamo probabilmente tra la
primavera del 51 e la primavera del 52 d.C.), mentre teme le
infiltrazioni di falsi fratelli (cristiani giudaizzanti che
combattono Paolo) e le persecuzioni a cui sono soggetti i
cristiani. Quando finalmente Paolo riceve buone notizie, si
rincuora, garantendo: "siamo stati amorevoli, con voi come una
madre che ha cura dei propri figli... come un padre abbiamo
esortato ciascuno di voi" (2,7. 11). Gli resta un grande
desiderio di poter incontrare questi giovani cristiani (3,11), e
così scrive questa lettera per comunicare la sua gioia e
iniziare a risolvere alcuni problemi di questa comunità che gli
sono stati riferiti. Questo scritto è il primo, in assoluto, dei
testi del Nuovo Testamento che ci sono giunti. Abbiamo così, in
questa lettera, il senso e la missione della vita di una
comunità cristiana, costituita in gran parte da persone che
provengono dal mondo pagano, fondamentalmente greco (Tessalonica
è l'attuale Salonicco, nella Macedonia). Ci vengono così anche
rivelati i sentimenti fondamentali che devono reggere una
comunità credente. Paolo esprime il senso della sua preghiera
per questa comunità, augurando che possa essere "in cammino
verso la carità (carità come "amore di comunione" che è la
stessa carità di Dio: "agapè") "Davanti a Dio e Padre nostro..,
saldi alla venuta del Signore nostro Gesù con tutti i suoi
santi... possiate crescere e sovrabbondare nell'amore fra voi e
verso tutti". - Una comunità cresce se c'è un amore reciproco
che è generosità gratuita, a somiglianza dell'amore di Dio. -
Questo amore, per quanto è possibile, non può darsi prospettive
del limite o di selezione: ma sia "tra voi e verso tutti", in
una reciproca attenzione. - " Per rendere saldi e
irreprensibili i vostri cuori nella santità", in una comunità,
si costituisce un vincolo saldo, mondato da interessi, ma nella
responsabilità personale e gratuita. - L'orizzonte e, nello
stesso tempo, la motivazione fanno riferimento " a Dio e Padre
nostro e alla venuta del Signore nostro Gesù con tutti i suoi
santi". Esiste così una relazione con il presente (Dio Padre) ed
esiste una relazione col futuro come preparazione e attesa (la
venuta del Signore nostro Gesù). - Questo amore deve poter
provocare esempi di vita cristiana, misurata sullo stile che
Paolo stesso ha portato: "come avete imparato da noi il modo di
comportarvi e di piacere a Dio". Allora diventa credibile
l'amore all'altro, poiché il cuore accetta di vivere con
fermezza e con responsabilità le scelte di Gesù: "per rendere
saldi i vostri cuori e irreprensibili nella santità". Il cuore,
nella cultura ebraica, è la sede dell'intera vita intellettuale,
morale, spirituale. La solidità della vita nasce dalla
dimensione interiore piena e totale. - La raccomandazione di
Paolo non esibisce tanto una sua superiorità ma, con lo stile e
la tenerezza del padre e della madre, richiama i figli ad
imitarlo perché egli, a sua volta, ha maturato la sapienza di
Gesù. - In fondo questo atteggiamento è ciò che la gente
intende quando dice: "Vanno a messa e si comportano come gli
altri". Non sempre a ragione, certo, ma vuole inviarci un
messaggio, a volte confuso, spesso legato alle proprie attese e
pregiudizi ideologici e tuttavia esigente. Paolo continua a
dirci che una comunità deve essere irreprensibile davanti a Dio
e a Cristo e deve sviluppare un amore pieno, reciproco al suo
interno, e aperto a tutti.
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Marco 11, 1-11 In quel tempo. Quando furono vicini a
Gerusalemme, verso Bètfage e Betània, presso il monte degli Ulivi, il Signore
Gesù mandò due dei suoi discepoli e disse loro: «Andate nel villaggio di
fronte a voi e subito, entrando in esso, troverete un puledro legato, sul
quale nessuno è ancora salito. Slegatelo e portatelo qui. E se qualcuno vi
dirà: “Perché fate questo?”, rispondete: “Il Signore ne ha bisogno, ma lo
rimanderà qui subito”». Andarono e trovarono un puledro legato vicino a una
porta, fuori sulla strada, e lo slegarono. Alcuni dei presenti dissero loro:
«Perché slegate questo puledro?». Ed essi risposero loro come aveva detto
Gesù. E li lasciarono fare. Portarono il puledro da Gesù, vi gettarono sopra
i loro mantelli ed egli vi salì sopra. Molti stendevano i propri mantelli
sulla strada, altri invece delle fronde, tagliate nei campi. Quelli che
precedevano e quelli che seguivano, gridavano: «Osanna! / Benedetto colui che
viene nel nome del Signore! / Benedetto il Regno che viene, del nostro padre
Davide! / Osanna nel più alto dei cieli!». Ed entrò a Gerusalemme, nel
tempio. E dopo aver guardato ogni cosa attorno, essendo ormai l’ora tarda,
uscì con i Dodici verso Betània. Il Vangelo di Marco ha
ricordato, qualche versetto prima del testo di oggi, che "Gesù camminava
davanti a loro ed essi erano stupiti; coloro che venivano dietro erano pieni
di timore"(10,32). Gesù, infatti, camminando verso Gerusalemme, insiste nel
descrivere uno orizzonte futuro di fatti drammatici: la sua consegna ai sommi
sacerdoti, la condanna a morte, la flagellazione, la sua morte e la sua
risurrezione. Avvicinandosi tuttavia a Gerusalemme, i discepoli cambiano
di umore poiché Gesù stesso si preoccupa di organizzare un piccolo ingresso
trionfale. In un certo senso, li rassicura anche se, nella condizione di
persone continuamente sorprese e sconcertate dalle parole e dalle scelte del
Maestro, non sanno sufficientemente collegare fatti e prospettive. In fondo,
i discepoli vivono alla giornata, mantenendo per lo più, come gli altri, la
speranza di un messianismo trionfale. Due di loro sono inviati per trovare un
asinello e, con sorpresa, avviene tutto come è stato loro detto. Il
proprietario non fa alcuna obiezione, l'asinello è portato a Gesù dopo quella
strana richiesta: "il Signore ne ha bisogno, ma lo rimanderà qui subito". E'
l'unica volta che Marco utilizza questa parola: "il Signore", esprimendo così
una autorità universale, una regalità pacifica, una giustizia sorretta da un
esercito di popolo umile ed esultante. Marco non richiama il profeta
Zaccaria (9,9-10) nel suo racconto e, però, è la descrizione concreta della
profezia che si realizza: "Gerusalemme, ecco, a te viene il tuo re. Egli è
umile, cavalca un asino, un puledro figlio di d'asina. Farà sparire il carro
da guerra da Efraim e il cavallo da Gerusalemme, l'arco di guerra sarà
spezzato, annuncerà la pace alle nazioni, il suo dominio sarà da mare a mare
e dal fiume sino ai confini della terra". Bisogna dire che Gesù provoca
volontariamente, tra la gente, questo segno che molti in fondo coltivavano
come speranza nel proprio cuore. Così Marco racconta l'entrata di Gesù in
Gerusalemme in un clima di festa, somigliante a quella che si fa per la festa
delle Capanne, (settembre-ottobre). Qui siamo in prossimità della Pasqua, ma
si ricostituisce lo stesso contesto, spontaneamente, tra la gente accampata
fuori di Gerusalemme, forse soprattutto fra i suoi amici della Galilea che
sono venuti in pellegrinaggio. Nasce una specie di processione e di trionfo
con canti e grida, in un clima di festa e un grande agitare di palme. E se
Marco non cita direttamente il profeta, ricorda il Salmo 118,25-27, nel canto
di gioia: "Ti preghiamo, Signore: dona la salvezza! Ti preghiamo, Signore:
dona la vittoria! Benedetto colui che viene nel nome del Signore. Vi
benediciamo dalla casa del Signore. Il Signore è Dio, egli ci illumina.
Formate il corteo con rami frondosi fino agli angoli dell'altare" Così
"Osanna" ("dona la salvezza")è un grido a Dio che manda il suo Messia,
discendente di Davide, per costituire un regno. Ma quale regno?- Ci si
aspetta un avvenimento rivoluzionario. La cavalcatura è richiamo ad un
ingresso solenne. Non militare, non politico, l'entrata a Gerusalemme sarà di
pace, seguita da gente semplice, con una cavalcatura, presa a prestito in un
villaggio. Poi sarebbe stata restituita. Il trionfo della pace è gratuito ed
è offerto dalla iniziativa di Dio e degli uomini. Il fatto, poi, che questo
asinello non sia mai stato cavalcato prima, richiama alla novità della venuta
del Messia e della Pasqua, in cui si utilizza come per il pane azzimo, il
lievito nuovo. Il culto di Israele offriva a Dio la prima parte di primizie
dei raccolti e delle greggi. Tutto quello che è presentato a Dio deve essere
perfettamente integro, mai usato prima, mai manipolato, mai di seconda mano.
Persino l'altare (Esodo 20,24-25) per le offerte e i sacrifici dovrà essere
fatto di pietre rozze e non lavorate, perché lavorare con la lama la pietra
rende l'altare profano. La gente stende i mantelli sull'asinello (non ha
finimenti e non ha una sella) e sulla strada si crea come un corridoio in cui
la gente mette a disposizione ciò che ha di più prezioso e di più personale:
i propri mantelli. Tutta la gioia di questo popolo salvato si riassume in un
dialogo-trionfo tra gente semplice che canta la propria liberazione. E' segno
del nuovo popolo d'Israele, è richiamo alla Chiesa che accoglie il Signore
come nel proprio grembo lo ha accolto Maria che lo ha generato al mondo.
Ma poi, delle persone che hanno seguito Gesù non c'è più traccia. Gesù le ha
abbandonate all'ingresso della città o forse del tempio. La cosa, infatti,
non ha suscitato scalpore tra i romani, né ha creato agitazione, tanto è vero
che non si richiamerà questo episodio neppure durante il processo. E' stato
il segno della profezia, il richiamo ai suoi della pace. Tuttavia l'ultimo
versetto introduce il giudizio: "Dopo aver guardato ogni cosa... uscì". Lo
sguardo su ogni cosa prepara il rifiuto e la ribellione, il giorno dopo,
contro il commercio che si svolge nel tempio perché Gesù vuole riportare alla
purezza, alla contemplazione e alla preghiera il luogo di Dio e del suo
popolo. L'Avvento è perciò speranza di pace che viene donata e che viene
maturata. Il Signore ci faccia capaci di vivere costruendo la pace,
responsabili del tempo che viviamo. Ma il cammino della pace suppone, prima
di tutto, l'eliminare il male, il fare pulizia, il rivedere i criteri e le
scelte, il mettere a disposizione la propria vita. La pace nasce dalla
giustizia come preoccupazione perché il mio prossimo riceva giustizia. Perciò
la pace è solidarietà nonostante la fatica, è disinteresse e coraggio. La
pace si allarga "tra voi e verso tutti". E' ascolto e ricerca comune. E'
riflessione in cui si mettono insieme tutte le energie e le intelligenze. La
pace è il desiderio di ogni creatura, al di là delle provocazioni e delle
lacerazioni. E' superamento della propria paura e sostegno perché le persone
siano liberate dalla paura. E' pulizia nel linguaggio e pulizia nelle
ideologie che rivede i nostri concetti del "vincere, prevalere, sconfiggere".
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