ULTIMA DOMENICA DOPO L’EPIFANIA
11 febbraio 2018
Luca 18, 9-14
riferimenti : Isaia 54, 5-10 - Salmo 129 - Romani 14, 9-13
Dal profondo a te grido, o Signore; Signore, ascolta la mia voce. Siano i tuoi orecchi attenti alla voce della mia supplica. ® Se consideri le colpe, Signore

Isaia 54, 5-10
In quei giorni. Isaia disse: «Tuo sposo è il tuo creatore, / Signore degli eserciti è il suo nome; / tuo redentore è il Santo d’Israele, / è chiamato Dio di tutta la terra. / Come una donna abbandonata / e con l’animo afflitto, ti ha richiamata il Signore. / Viene forse ripudiata la donna sposata in gioventù? / – dice il tuo Dio –. / Per un breve istante ti ho abbandonata, / ma ti raccoglierò con immenso amore. / In un impeto di collera / ti ho nascosto per un poco il mio volto; / ma con affetto perenne / ho avuto pietà di te, / dice il tuo redentore, il Signore. / Ora è per me come ai giorni di Noè, / quando giurai che non avrei più riversato / le acque di Noè sulla terra; / così ora giuro di non più adirarmi con te / e di non più minacciarti. / Anche se i monti si spostassero e i colli vacillassero, / non si allontanerebbe da te il mio affetto, / né vacillerebbe la mia alleanza di pace, / dice il Signore che ti usa misericordia».

L'autore anonimo del capitolo 54 (che gli studiosi si sono accordati di chiamare il "Secondo Isaia") intravede già la fine dell'esilio di Babilonia (siamo nel VI a.C) e descrive la nuova Gerusalemme come la città bella e liberata. Vi si legge una profonda gioia ed entusiasmo poiché ormai la nuova Gerusalemme è risorta. La prima immagine è l'apparire di tanti figli che si credevano perduti: "Perché più numerosi sono i figli dell'abbandonata che i figli della maritata, dice il Signore." (54,1) E il richiamo della grandezza si ritrova con l'immagine bellissima della tenda dei nomadi che deve diventare più spaziosa: "Allarga lo spazio della tua tenda, stendi i teli della tua dimora senza risparmio,.. e la tua discendenza possederà le nazioni, popolerà le città un tempo deserte." (54,2-3). Si risentono i grandi, terribili ricordi della schiavitù in Egitto ("Dimenticherai la vergogna della tua giovinezza") e dell'esilio ("e non ricorderai più il disonore della tua vedovanza" (v4). Si ritrovano le espressioni di un amore grande (la donna sposata in gioventù) che è la sposa scelta e amata nella novità della esperienza amorosa. Amore del Creatore ed amore eterno. Come garanzia, Dio dice e svela i suoi tanti nomi: "Il tuo Creatore, il Signore degli eserciti, il Redentore, Santo di Israele, Dio di tutta la terra, ma soprattutto Sposo" (54,5). Vengono date garanzie, riprese dai grandi avvenimenti della storia del mondo, ritornando fin alle promesse fatte a Noè dopo il diluvio (54,9). Attraverso l'esperienza di Gesù, noi possiamo verificare che l'amore di Dio oltrepassa ogni immaginazione, e il perdono del Signore raggiunge ogni persona che si rivolga a Lui con fiducia. Gesù, per l'amore che porta, "si svuota della sua divinità, assumendo una condizione di servo" (Fil 2,7).

Romani 14, 9-13
Fratelli, per questo Cristo è morto ed è ritornato alla vita: per essere il Signore dei morti e dei vivi. Ma tu, perché giudichi il tuo fratello? E tu, perché disprezzi il tuo fratello? Tutti infatti ci presenteremo al tribunale di Dio, perché sta scritto: «Io vivo, dice il Signore: / ogni ginocchio si piegherà davanti a me / e ogni lingua renderà gloria a Dio». Quindi ciascuno di noi renderà conto di se stesso a Dio. D’ora in poi non giudichiamoci più gli uni gli altri; piuttosto fate in modo di non essere causa di inciampo o di scandalo per il fratello.

Paolo, nella conclusione della lettera ai Romani, sta richiamando il significato dell'esistenza: tutto è sottomesso e appartenente a Cristo. Sia la vita che la morte sono al servizio di Cristo e da Lui questa padronanza è stata conquistata con il suo sacrificio (2 Cor 5.14ss; Fil 2,9 ss). La vita cristiana non consiste nel giudicare qualcuno per ciò che fa e per i meriti che ha acquistato, ma nell'impegnarsi nella carità. Nella Comunità di Paolo sono sorte problematiche per comportamenti alimentari particolari. Ci sono infatti cristiani dalla fede poco illuminata e quindi senza convinzioni abbastanza solide: ritengono che in certi giorni, o magari sempre, si debbano astenere dalle carni o dal vino. Queste pratiche ascetiche sono già note ad alcune correnti filosofiche pagane (i pitagorici) e nel mondo giudaico (gli esseni, Giovanni Battista). Paolo dice che bisogna agire secondo coscienza per il Signore. Ma tutto questo fa sorgere discussioni, malumori, giudizi e discussioni senza soluzioni. Ci sono delle persone forti che, con molta lucidità e sicurezza, affermano che queste regole vanno superate. Ci sono invece altri che si preoccupano di quello che mangiano e di quello che bevono secondo criteri che deducono dal loro mondo religioso. Solo il Signore giudica e noi non dobbiamo entrare a giudicare, forti delle nostre sicurezze. Dobbiamo invece rispettare e valorizzare le persone, aiutando, magari, via via, a ripensare ed ad approfondire. In conclusione, nessuno giudichi gli altri e non sia di scandalo o di inciampo. Anzi, se agli occhi dell'altro ci si rende conto che il nostro mangiare o bere qualche cosa viene considerato non corretto, e quindi suscita disagio, per amore dell'altro "astieniti, per non disorientarlo". La carità, allora, sta nel non scandalizzare; e, insieme, vanno trovate strade che rimettano nella ricerca della volontà di Dio. Si suggerisce, in tal modo, un'attenzione che nasce dalla carità e quindi dalla fede che decide, in libertà, di sostenere la fragilità dell'altro. Seguendo il sacrificio di Gesù, la vita cristiana consiste nel non giudicare, ma nello sviluppare una carità reciproca di attenzione e di accoglienza. Né il debole può giudicare e condannare il forte né la persona forte può disprezzare il debole. Solo Gesù è il giudice supremo. Solo Lui può esaminarci nell'ultimo giudizio e solo Lui è capace di saper analizzare la nostra fede e i nostri errori.

Luca 18, 9-14
In quel tempo. Il Signore Gesù disse ancora questa parabola per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri: «Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano. Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: “O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo”. Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”. Io vi dico: questi, a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato».

 Com'è facile disprezzare gli altri e ritenere di essere nella verità e nel giusto! Com'è facile riempirsi di sé e giustificarsi in ogni occasione! Com'è gratificante credere di essere nell'area di pensiero e di religione che detiene la verità!Che sollievo di coscienza poter dire e mostrare di aver osservato i doveri religiosi e di non aver niente a che fare con gli "altri uomini, ladri, ingiusti, adulteri, e "pubblicani", cioè compromessi con il potere dominante, il denaro, l'ingiustizia, i piaceri! Se riflettiamo onestamente, non siamo anche noi pronti a disprezzare gli altri, a diffidarne, ad escluderli dal proprio perimetro, a condannarli? E siamo anche pronti a ridurre una quantità di giustificazioni del nostro comportamento nei confronti, ad esempio, di immigrati, clandestini, zingari, musulmani, drogati, ma anche solo di chi non la pensa come noi. Soprattutto se ci disturbano nelle nostre sicurezze e nel nostro quieto vivere, senza contare né pensare che siamo tutti solidali nel bene come nel male; e che se il male prospera e dilaga, dipende anche dal bene che non pratichiamo noi. Il Vangelo di questa domenica ci fa ripensare al nostro atteggiamento verso gli altri, i diversi da te. Certo, in teoria, si fanno tanti bei discorsi sul dialogo, sulla comunicazione, sulla collaborazione; ma in pratica? Ma che rapporto abbiamo verso chi prega nel tuo stesso tempio? o verso chi attraversa la strada, senza che tu glielo consenta? Il povero pubblicano non osa nemmeno alzare gli occhi al cielo e si prostra davanti a Dio in tutta la sua piccolezza e la sua incapacità di essere all'altezza della sua dignità di uomo e di figlio di Dio L'episodio ci fa riflettere anche su chi è il peccatore: è colui che rifiuta su di sé lo sguardo di Dio che invece è pronto ad accogliere chi non presume su di sé e non giudica gli altri.