 PRIMA DOMENICA DI QUARESIMA
18 FEBBRAIO 2018
Matteo 4, 1-11 Riferimenti : Isaia
57, 15 – 58, 4a - Salmo50 - Seconda lettera Corinzi 4, 16b – 5,
9 |
Pietà di me, o Dio, nel tuo amore; nella tua
grande misericordia cancella la mia iniquità. Lavami tutto dalla
mia colpa, dal mio peccato rendimi puro. Sì, le mie iniquità io
le riconosco, il mio peccato mi sta sempre dinanzi. Contro di
te, contro te solo ho peccato, quello che è male ai tuoi occhi,
io l’ho fatto |
Isaia 57, 15 – 58, 4a In quei
giorni. / Isaia disse: «Così parla l’Alto e
l’Eccelso, / che ha una sede eterna e il cui
nome è santo. / “In un luogo eccelso e santo io
dimoro, / ma sono anche con gli oppressi e gli
umiliati, / per ravvivare lo spirito degli umili
/ e rianimare il cuore degli oppressi. / Poiché
io non voglio contendere sempre / né per sempre
essere adirato; / altrimenti davanti a me
verrebbe meno / lo spirito e il soffio vitale
che ho creato. / Per l’iniquità della sua
avarizia mi sono adirato, / l’ho percosso, mi
sono nascosto e sdegnato; / eppure egli,
voltandosi, / se n’è andato per le strade del
suo cuore. / Ho visto le sue vie, / ma voglio
sanarlo, guidarlo e offrirgli consolazioni. / E
ai suoi afflitti / io pongo sulle labbra: ‘Pace,
/ pace ai lontani e ai vicini / – dice il
Signore – e io li guarirò’”. / I malvagi sono
come un mare agitato, / che non può calmarsi / e
le cui acque portano su melma e fango. / “Non
c’è pace per i malvagi”, dice il mio Dio. /
Grida a squarciagola, non avere riguardo; / alza
la voce come il corno, / dichiara al mio popolo
i suoi delitti, / alla casa di Giacobbe i suoi
peccati. / Mi cercano ogni giorno, / bramano di
conoscere le mie vie, / come un popolo che
pratichi la giustizia / e non abbia abbandonato
il diritto del suo Dio; / mi chiedono giudizi
giusti, / bramano la vicinanza di Dio: / “Perché
digiunare, se tu non lo vedi, / mortificarci, se
tu non lo sai?”. / Ecco, nel giorno del vostro
digiuno curate i vostri affari, / angariate
tutti i vostri operai. / Ecco, voi digiunate fra
litigi e alterchi». Abbiamo
letto un testo che fa parte dell'ultimo Isaia
(lo si chiama" terzo Isaia ") che scrive i
capitoli 56-66 nel secolo sesto-quinto a.C.,
durante il periodo della ricostruzione di
Gerusalemme, in seguito al ritorno da Babilonia.
Viene posto qui il primo annuncio della salvezza
che Dio fa a questo popolo, volendo dare un
sostegno ed una verifica all'opera che Neemia
sta compiendo: - il tempo dell'ira è finito:
Dio garantisce la sua presenza sia su
Gerusalemme sia con gli oppressi e gli umiliati
(vv 16-17); - Dio guarisce e consola il suo
popolo (vv 18-19); - vengono esclusi dalla
promessa gli empi (vv 20-21). Il popolo però
si lamenta e il Signore si preoccupa anche di
rispondere alle lagnanze contro di Lui: "Ci
mortifichiamo, digiuniamo, ma abbiamo tutta
l'impressione che questo non serva a niente". Il
popolo insiste perché vuole conoscere le vie di
Dio come se fosse un popolo che ami la giustizia
e riconosca la legge del Signore. È un popolo
che chiede giudizi giusti, che brama la
vicinanza di Dio, ma rimprovera Dio che non si
fa sentire, non si fa vedere, lo tratta in modo
ingiusto. Perciò non mantiene le promesse e
tutti si sentono abbandonati. Attraverso il
profeta Dio risponde, e la risposta viene data
nel cap. 58 di cui leggiamo, quest'oggi, solo
l'inizio. E'un messaggio splendido, di un Dio
irritato e generoso, desideroso di cambiamenti e
di conversione, che vuole che il suo popolo viva
nella pace e nella responsabilità. Perciò, Dio
dice al suo profeta: "Grida a squarciagola, non
avere riguardo" (58,1). Dio si allontana da
questo popolo perché questo popolo non vuol
riconoscere i delitti di cui continuamente si
macchia e sono delitti di ordine sociale:
l'ossessione degli affari e quindi la
preoccupazione prima è del profitto per il
profitto. Così causa litigi all'infinito, lotte
furibonde e violente, sfruttamento del lavoro
dei dipendenti: "Voi angariate tutti i vostri
operai" (v 3). In tal modo il giorno del digiuno
non risulta il giorno del riconoscimento di Dio,
della sua attenzione verso poveri, della sua
generosità verso chi soffre. Il giorno del
digiuno diventa giorno dello sfruttamento, del
progetto del maggior danaro, della lite, della
guerra per moltiplicare i propri interessi ma
anche il numero dei poveri. I credenti, che
leggono la Scrittura, ancor più sono chiamati,
in prima persona, a rendere conto a Dio di ciò
che compiono come lievito nel mondo. Essi vivono
ogni giorno, ma secondo la volontà di Dio
debbono verificare come utilizzare il proprio
danaro, come sviluppare una sobrietà e una
responsabilità sul mondo, come si è attenti
perché ognuno viva con dignità la propria vita
(Bene Comune). Nei versetti successivi di questo
capitolo si parla anche più concretamente della
liberazione degli oppressi ("libera
dall'oppressione, sciogli le catene inique,
togli i legami del giogo, rimanda liberi gli
oppressi, spezza ogni giogo"), e si parla di
solidarietà con i bisognosi.
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Seconda lettera Corinzi 4, 16b – 5,
9 Fratelli, se anche il nostro uomo esteriore si va
disfacendo, quello interiore si rinnova di giorno in giorno.
Infatti il momentaneo, leggero peso della nostra tribolazione ci
procura una quantità smisurata ed eterna di gloria: noi non
fissiamo lo sguardo sulle cose visibili, ma su quelle
invisibili, perché le cose visibili sono di un momento, quelle
invisibili invece sono eterne. Sappiamo infatti che, quando sarà
distrutta la nostra dimora terrena, che è come una tenda,
riceveremo da Dio un’abitazione, una dimora non costruita da
mani d’uomo, eterna, nei cieli. Perciò, in questa condizione,
noi gemiamo e desideriamo rivestirci della nostra abitazione
celeste purché siamo trovati vestiti, non nudi. In realtà quanti
siamo in questa tenda sospiriamo come sotto un peso, perché non
vogliamo essere spogliati ma rivestiti, affinché ciò che è
mortale venga assorbito dalla vita. E chi ci ha fatti proprio
per questo è Dio, che ci ha dato la caparra dello Spirito.
Dunque, sempre pieni di fiducia e sapendo che siamo in esilio
lontano dal Signore finché abitiamo nel corpo – camminiamo
infatti nella fede e non nella visione –, siamo pieni di fiducia
e preferiamo andare in esilio dal corpo e abitare presso il
Signore. Perciò, sia abitando nel corpo sia andando in esilio,
ci sforziamo di essere a lui graditi. Questa
lettera manifesta una forte tensione
nei rapporti che Paolo ha con alcuni che fanno parte della
comunità di Corinto. Ci sono, infatti, alcuni provocatori che
suscitano agitazioni, discordie e, in particolare, critiche e
malumori verso l'opera di Paolo. L'apostolo, dopo tanti disagi e
tanta fatica, comincia ad accorgersi che gli vengono meno le
forze. Così egli fa una coraggiosa riflessione sulla sua
dimensione spirituale e sulla sua condizione umana. Il corpo si
va disfacendo e tuttavia crescono in lui una fiducia grande e
una fede profonda poiché il suo mondo interiore "si rinnova di
giorno in giorno." In questo testo si ritrovano molte
contrapposizioni che fanno intravedere la lucidità ma anche la
cultura che sostiene Paolo nella evangelizzazione. Inizia dalla
"dimensione corporale dell'uomo esteriore e la ricchezza
dell'uomo interiore", continua con "il peso della nostra
tribolazione e la quantità smisurata di Gloria", "le cose
visibili e quelle invisibili", "la dimora terrena che è la tenda
e le dimore eterne", la "vita di qui e la vita nella
risurrezione", "le realtà di un momento e le realtà eterne", "la
patria e l'esilio". "Camminare nella fede e camminare nella
visione", "camminare e abitare presso il Signore", "la nudità
che è il rischio di una vita che si presenta a Dio a mani vuote
e il vestito della generosità" che riceve il rivestimento della
vita eterna. Non va dimenticato che il mondo ebraico riconosce
una grande importanza al vestito poiché esso segnala ed offre il
significato e la dignità di una persona. Il vestito ci fa
diversi, mentre la nudità ci mette tutti sullo stesso piano.
Il desiderio di Paolo è quello di essere con il Signore,
superando perfino la ripugnanza della morte perché questa libera
dall'esilio. Paolo è desideroso di restare sempre unito al
Signore per poter fare la sua volontà ed essere a lui gradito,
sia vivendo in questa vita, sia entrando nella gloria. Così,
pur, preferendo di potersi unire a Dio nelle dimore eterne,
accetta la volontà di Dio di mettersi a disposizione in questa
vita nelle sue comunità finché il Signore vorrà. Così infatti
vuole il Signore.
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Matteo 4, 1-11 In quel tempo. Il Signore Gesù fu condotto
dallo Spirito nel deserto, per essere tentato dal diavolo. Dopo aver
digiunato quaranta giorni e quaranta notti, alla fine ebbe fame. Il tentatore
gli si avvicinò e gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, di’ che queste pietre
diventino pane». Ma egli rispose: «Sta scritto: / “Non di solo pane vivrà
l’uomo, / ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio”». Allora il diavolo
lo portò nella città santa, lo pose sul punto più alto del tempio e gli
disse: «Se tu sei Figlio di Dio, gèttati giù; sta scritto infatti: / “Ai suoi
angeli darà ordini a tuo riguardo / ed essi ti porteranno sulle loro mani /
perché il tuo piede non inciampi in una pietra”». Gesù gli rispose: «Sta
scritto anche: / “Non metterai alla prova il Signore Dio tuo”». Di nuovo il
diavolo lo portò sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del
mondo e la loro gloria e gli disse: «Tutte queste cose io ti darò se,
gettandoti ai miei piedi, mi adorerai». Allora Gesù gli rispose: «Vattene,
Satana! Sta scritto infatti: / “Il Signore, Dio tuo, adorerai: / a lui solo
renderai culto”». Allora il diavolo lo lasciò, ed ecco, degli angeli gli si
avvicinarono e lo serviva L'esperienza che Gesù fa', dopo il
suo battesimo, prima di iniziare l'annuncio del Regno, è raccontata dagli
evangelisti come un drammatico incontro-scontro tra le forze del male e
l'obbedienza al Padre. Di fatto tutto il testo è molto costruito e utilizza
immagini bibliche, particolarmente legate all'esperienza dell'Esodo (uscita
dall'Egitto del popolo liberato) che si è svolto in una peregrinazione di 40
anni. Qui l'esperienza di Gesù nel deserto dura 40 giorni. Il numero 40
rappresenta tutta l'esperienza della vita: 40 anni erano considerati la
durata di una generazione, 40 giorni una esperienza di vita che porta ad una
soluzione terminale di novità: la liberazione, l'ascensione di Gesù al cielo
(40 giorni dopo la risurrezione).Così questo testo è fondamentalmente una
riflessione teologica e non un brano di cronaca e le tre tentazioni misurano,
in un certo senso, tutta la lotta e la fatica che Gesù ha dovuto affrontare
per restare fedele al Padre nella sua vita e, in particolare, nel periodo
dell'annuncio del Regno. La prima tentazione è quella di assolutizzare le
cose fino a farle diventare senso e termine della propria vita. Il Signore
aveva offerto la manna, aveva garantito la raccolta giorno per giorno, ma
l'ingordigia e la insicurezza hanno indotto ad intercettare una misura
maggiore di raccolta, con il risultato che il giorno dopo si sono trovati i
contenitori pieni di vermi. Esiste quindi una differenza tra la sobrietà e
l'avidità: la sobrietà ridimensiona le cose e le fa servire, l'avidità fa
diventare ciò di cui abbiamo bisogno un idolo, come il vitello d'oro nel
deserto, e deforma ogni rapporto, fiducia e attesa da parte del Signore.
L'avidità depaupera il mondo poiché non tiene conto delle esigenze degli
altri, rinchiude il cuore alla solidarietà e produce potere, sperpero, lusso
e chiusura mentale. Prima viene la volontà del Padre. Gesù dirà: "Non
affannatevi per quello che mangerete o berrete" (Matteo7,25-34). La seconda
tentazione suggerisce la pretesa di ricevere da Dio segni e garanzie,
sfruttando addirittura la stessa Parola del Signore, perché mostri la sua
protezione e ci assicuri la sua protezione. Ci giochiamo sulla fiducia,
pretendiamo prove. Nel deserto, stremato dalla sete, il popolo ha accettato
questa tentazione esclamando: "il Signore è in mezzo a noi, si o no?" (Es
17,7). La terza tentazione si gioca sul problema del potere. L'uomo può
conquistare il potere di dominio se si contrappone a Dio e può, in questo
caso, sopraffare i più deboli, può diventare padrone delle persone, può
sentirsi glorificato perché è forte, più forte di tutti e utilizza questo
potere per sé. Chi segue Gesù entra invece nella logica di Dio che, come
Gesù stesso, pur avendo autorità, si china sulle realtà povere, fragili,
disorientate e disperate perché possano recuperare la libertà e la dignità
dei valori. Le tentazioni, di là dal bisogno, dell'interpretazione biblica,
della mentalità sempre presente che pretende da Dio miracoli, pongono il
problema fondamentale della nostra libertà di persone adulte e il significato
del rapporto con Dio. Chi è veramente il Signore? Le tentazioni pretendono di
rispondere sull'immediato, mettendo al centro il nostro interesse. Il Signore
ci chiede di mettere al centro la nostra libertà, sorretta dalla fiducia
verso di Lui. Il Signore Gesù accetta di camminare con coraggio sulla strada
che il Padre, passo passo, gli suggerisce perché il suo progetto di vita è
offrire il nuovo volto di Dio e quindi portare speranza.
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