DOMENICA DELLA SAMARITANA
 II di Quaresima
29 febbraio 2018
Giovanni 4, 5-42

Riferimenti : Deuteronomio 5, 1-2. 6-21 - Salmo 18 - Efesini 4, 1-7
La legge del Signore è perfetta, rinfranca l’anima; il comando del Signore è limpido, illumina gli occhi. Il timore del Signore è puro, rimane per sempre;i giudizi del Signore sono fedeli, sono tutti giusti.

Deuteronomio 5, 1-2. 6-21
In quei giorni. Mosè convocò tutto Israele e disse loro: «Ascolta, Israele, le leggi e le norme che oggi io proclamo ai vostri orecchi: imparatele e custoditele per metterle in pratica. Il Signore, nostro Dio, ha stabilito con noi un’alleanza sull’Oreb. “Io sono il Signore, tuo Dio, che ti ho fatto uscire dalla terra d’Egitto, dalla condizione servile. / Non avrai altri dèi di fronte a me. / Non ti farai idolo né immagine alcuna di quanto è lassù nel cielo né di quanto è quaggiù sulla terra né di quanto è nelle acque sotto la terra. Non ti prostrerai davanti a loro e non li servirai. Perché io, il Signore, tuo Dio, sono un Dio geloso, che punisce la colpa dei padri nei figli fino alla terza e alla quarta generazione, per coloro che mi odiano, ma che dimostra la sua bontà fino a mille generazioni, per quelli che mi amano e osservano i miei comandamenti. Non pronuncerai invano il nome del Signore, tuo Dio, perché il Signore non lascia impunito chi pronuncia il suo nome invano. Osserva il giorno del sabato per santificarlo, come il Signore, tuo Dio, ti ha comandato. Sei giorni lavorerai e farai ogni tuo lavoro; ma il settimo giorno è il sabato in onore del Signore, tuo Dio: non farai alcun lavoro, né tu, né tuo figlio, né tua figlia, né il tuo schiavo, né la tua schiava, né il tuo bue, né il tuo asino, né il tuo bestiame, né il forestiero che dimora presso di te, perché il tuo schiavo e la tua schiava si riposino come te. Ricòrdati che sei stato schiavo nella terra d’Egitto e che il Signore, tuo Dio, ti ha fatto uscire di là con mano potente e braccio teso; perciò il Signore, tuo Dio, ti ordina di osservare il giorno del sabato. Onora tuo padre e tua madre, come il Signore, tuo Dio, ti ha comandato, perché si prolunghino i tuoi giorni e tu sia felice nel paese che il Signore, tuo Dio, ti dà. / Non ucciderai. / Non commetterai adulterio. / Non ruberai. / Non pronuncerai testimonianza menzognera contro il tuo prossimo. Non desidererai la moglie del tuo prossimo. Non bramerai la casa del tuo prossimo, né il suo campo, né il suo schiavo, né la sua schiava, né il suo bue, né il suo asino, né alcuna cosa che appartenga al tuo prossimo”».


Nel libro del Deuteronomio (5,1-2.6-21), Mosè inizia il suo secondo discorso in cui svilupperà l'esortazione all'osservanza della legge di Dio nell'Alleanza del Sinai (cc 6-11). E, prima di tutto, ricorda i precetti del Signore che vogliono esprimere le esigenze che il popolo deve concretamente sviluppare per entrare in comunione con Dio. Vengono detti "Decalogo": sono, infatti, le "dieci parole" che Dio pronuncia per ricostruire un popolo libero e duraturo, a somiglianza delle dieci parole che l'autore biblico ricorda nel primo racconto della creazione per creare il mondo (Gen. 1). Se Dio può fare il mondo gratuitamente e da solo, può però mantenere nella consistenza e nella vitalità il suo popolo solo mediante l'ubbidienza alle sue leggi.
Questa edizione dei "Comandamenti" è simile ad un'altra, presentata nel libro dell'Esodo (20,2-17). Tutte e due, in sintesi, ripercorrono i fondamentali doveri religiosi e morali dell'uomo verso Dio e il prossimo. Qualche variazione, nel libro del Deuteronomio (che leggiamo oggi) è data dalla preoccupazione di rendere più attuale e viva la Parola di Dio. Nella tradizione occidentale, la proibizione dell'immagine è parte del primo comandamento mentre sono due i comandamenti del "desiderio": "non desiderare la donna d'altri e la roba d'altri" (il 9° e il 10º). Nelle comunità ebraiche, invece, la proibizione delle immagini è un comandamento a sé, mentre i comandamenti del "desiderio", il 9° e il 10º, vengono formulati come un solo comando. Dopo il precetto sul "nome" divino da non violare "invano", cioè con un uso magico e offensivo, appare la prima notevole variante. Essa è nel comandamento sul sabato. Il riposo e il culto del sabato, nel capitolo 20 dell'Esodo (vv. 8-11), erano considerati una celebrazione dell'opera della creazione ( si rilegga Genesi 2,1-4). Ora, invece, il sabato è visto come memoria della liberazione dalla schiavitù d'Egitt0. E' quindi il giorno della libertà' per cui ci si deve ricordare del Signore che vince ogni oppressione e invita Israele a superare ingiustizia e schiavitù. Infine, con l'ultimo comandamento, che unisce il nono e il decimo sotto l'imperativo del "non desiderare" (cioè del non progettare il male), si ha la seconda variazione di rilievo. La donna viene anticipata rispetto alla casa, al campo, agli schiavi, agli animali del prossimo: si tempera, così, la visione arcaica maschilista che riduceva la donna a un bene di proprietà della famiglia. Gesù dirà che per entrare nella vita eterna sono sufficienti i dieci comandamenti (Mc 10,17-22). Poi però Gesù aggiungerà i consigli evangelici.
Al di fuori della Legge, l'Antico Testamento ricorda raramente il decalogo, anche se ci sono dei richiami (Os 4,1; Ger 7,8; Salmo 81,10-11) ma acquisterà molto valore nel Cristianesimo attraverso l'uso che se ne fa nel Nuovo Testamento. "Colui che comanda è anche il tuo liberatore" (v 6): sono leggi per la tua salvezza, per la tua speranza, per la tua libertà.

Efesini 4, 1-7
Fratelli, io, prigioniero a motivo del Signore, vi esorto: comportatevi in maniera degna della chiamata che avete ricevuto, con ogni umiltà, dolcezza e magnanimità, sopportandovi a vicenda nell’amore, avendo a cuore di conservare l’unità dello spirito per mezzo del vincolo della pace. Un solo corpo e un solo spirito, come una sola è la speranza alla quale siete stati chiamati, quella della vostra vocazione; un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo. Un solo Dio e Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, opera per mezzo di tutti ed è presente in tutti. / A ciascuno di noi, tuttavia, è stata data la grazia secondo la misura del dono di Cristo.


Inizia, nella lettera agli Efesini, una seconda parte che intende suggerire un progetto di vita cristiana, ancorata all'unità di credenti che costituiscono il corpo di Cristo. Vengono dati cinque suggerimenti di comportamento, e il numero cinque potrebbe essere il richiamo alla Legge, alla nuova Legge come per gli ebrei la Legge è costituita nei primi cinque libri della Scrittura. Comportarsi in maniera degna della chiamata significa vivere "con umiltà, dolcezza, magnanimità, sopportazione nell'amore ( e potrebbe essere tradotto come accoglienza) e responsabilità dell'unità per mezzo della pace". Paolo premette, a questo suggerimento di vita, il fatto di essere "prigioniero a motivo del Signore". Egli si pone come richiamo di stile di vita: infatti si è giocato la libertà e il futuro, probabilmente, per la fede in Gesù. Egli crede in Gesù e vuole intensamente che viva nel cuore di ogni comunità. Così, ricordando il coraggio della unità, elenca sette ragioni perché ci sia un cammino di comunione. Inizia dall'essere "un unico corpo" fino ad avere "un unico Dio, padre di tutti". L'esperienza rende consapevoli del lavoro che bisogna fare per la fede, perché bisogna vivere in una comunità. E Paolo si preoccupa di dire: "Avete, fondamentalmente, a modello Cristo che accoglie tutti senza distinzione, si mette a disposizione di tutti, offre la sua vita per tutti". L'unità nella comunità cristiana non è frutto di simpatia, di interessi, di accordi, di razza, lingua, cultura, mentalità, carattere. Persino la stessa religione può portare a indurimenti e a tensioni diversi, fino a giungere ad esclusioni, a lacerazioni, a rifiuti. Se poi ci si gioca in una dimensione di potere, proprio la scusa del difendere la religione può condurre all'oppressione dell'altro. La storia della Chiesa si offre anche questi esempi. Tutto ciò nasce dalla istintività, dalla radice di male che faticosamente ciascuno deve estirpare da sé, da paure, dalla volontà di potenza. Tutto il testo continua nell'incoraggiare una unità matura, adulta, fedele, capace di accoglienza. Ciascuno è chiamato ad una collaborazione, e deve svolgere una sua vocazione ed un suo compito. La nostra esperienza, superando diffidenze e paure, ci sta insegnando che le diversità costituiscono ricchezza. Vanno favoriti gli incontri, gli aiuti reciproci, la collaborazione. A ciascuno di noi sono stati dati doni particolari. Mantenendo con coraggio l'unità e l'accoglienza, questi doni si moltiplicano e diventano testimonianza, capaci di portare speranza nel mondo. Tutto questo è segno e premessa di pace.
















Cittadina di Sichar ove vi è il pozzo di Giacobbe

Giovanni 4, 5-42
In quel tempo. Il Signore Gesù giunse a una città della Samaria chiamata Sicar, vicina al terreno che Giacobbe aveva dato a Giuseppe suo figlio: qui c’era un pozzo di Giacobbe. Gesù dunque, affaticato per il viaggio, sedeva presso il pozzo. Era circa mezzogiorno. Giunge una donna samaritana ad attingere acqua. Le dice Gesù: «Dammi da bere». I suoi discepoli erano andati in città a fare provvista di cibi. Allora la donna samaritana gli dice: «Come mai tu, che sei giudeo, chiedi da bere a me, che sono una donna samaritana?». I Giudei infatti non hanno rapporti con i Samaritani. Gesù le risponde: «Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: “Dammi da bere!”, tu avresti chiesto a lui ed egli ti avrebbe dato acqua viva». Gli dice la donna: «Signore, non hai un secchio e il pozzo è profondo; da dove prendi dunque quest’acqua viva? Sei tu forse più grande del nostro padre Giacobbe, che ci diede il pozzo e ne bevve lui con i suoi figli e il suo bestiame?». Gesù le risponde: «Chiunque beve di quest’acqua avrà di nuovo sete; ma chi berrà dell’acqua che io gli darò, non avrà più sete in eterno. Anzi, l’acqua che io gli darò diventerà in lui una sorgente d’acqua che zampilla per la vita eterna». «Signore – gli dice la donna –, dammi quest’acqua, perché io non abbia più sete e non continui a venire qui ad attingere acqua». Le dice: «Va’ a chiamare tuo marito e ritorna qui». Gli risponde la donna: «Io non ho marito». Le dice Gesù: «Hai detto bene: “Io non ho marito”. Infatti hai avuto cinque mariti e quello che hai ora non è tuo marito; in questo hai detto il vero». Gli replica la donna: «Signore, vedo che tu sei un profeta! I nostri padri hanno adorato su questo monte; voi invece dite che è a Gerusalemme il luogo in cui bisogna adorare». Gesù le dice: «Credimi, donna, viene l’ora in cui né su questo monte né a Gerusalemme adorerete il Padre. Voi adorate ciò che non conoscete, noi adoriamo ciò che conosciamo, perché la salvezza viene dai Giudei. Ma viene l’ora – ed è questa – in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità: così infatti il Padre vuole che siano quelli che lo adorano. Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorare in spirito e verità». Gli rispose la donna: «So che deve venire il Messia, chiamato Cristo: quando egli verrà, ci annuncerà ogni cosa». Le dice Gesù: «Sono io, che parlo con te». In quel momento giunsero i suoi discepoli e si meravigliavano che parlasse con una donna. Nessuno tuttavia disse: «Che cosa cerchi?», o: «Di che cosa parli con lei?». La donna intanto lasciò la sua anfora, andò in città e disse alla gente: «Venite a vedere un uomo che mi ha detto tutto quello che ho fatto. Che sia lui il Cristo?». Uscirono dalla città e andavano da lui. Intanto i discepoli lo pregavano: «Rabbì, mangia». Ma egli rispose loro: «Io ho da mangiare un cibo che voi non conoscete». E i discepoli si domandavano l’un l’altro: «Qualcuno gli ha forse portato da mangiare?». Gesù disse loro: «Il mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e compiere la sua opera. Voi non dite forse: “Ancora quattro mesi e poi viene la mietitura”? Ecco, io vi dico: alzate i vostri occhi e guardate i campi che già biondeggiano per la mietitura. Chi miete riceve il salario e raccoglie frutto per la vita eterna, perché chi semina gioisca insieme a chi miete. In questo infatti si dimostra vero il proverbio: uno semina e l’altro miete. Io vi ho mandati a mietere ciò per cui non avete faticato; altri hanno faticato e voi siete subentrati nella loro fatica». Molti Samaritani di quella città credettero in lui per la parola della donna, che testimoniava: «Mi ha detto tutto quello che ho fatto». E quando i Samaritani giunsero da lui, lo pregavano di rimanere da loro ed egli rimase là due giorni. Molti di più credettero per la sua parola e alla donna dicevano: «Non è più per i tuoi discorsi che noi crediamo, ma perché noi stessi abbiamo udito e sappiamo che questi è veramente il salvatore del mondo».


Giovanni (4,5-42) racconta l'episodio della samaritana, richiamando il viaggio che fa dalla Giudea alla Galilea (v 3): vuole sviluppare la conoscenza di Gesù, ricordando la rivelazione fatta alla Samaritana, ai discepoli e, alla fine, ai Samaritani chiamati dalla Samaritana stessa. Gesù, da poco tempo, ha incominciato a predicare e a manifestare il suo messaggio. Incontra diverse reazioni di fede (raccolte in questi primi capitoli di Giovanni): Nicodemo (la fede imperfetta dei Giudei sempre bisognosi di segni per credere: Gv.3,1-21), la samaritana (la fede pronta: Gv.4,5-42) e il funzionario reale (adesione piena a Cristo: Gv.4,46-54). Gesù, veramente stanco del viaggio, è preoccupato di raggiungere e di sostenere il mondo lontano dei samaritani, disprezzati dai credenti e odiati. Nella cultura ebraica dire ad uno "samaritano" era come dire "eretico, pagano, miscredente, rifiuto di Dio". E per questo Gesù, per provocazione, ricorda i samaritani come protagonisti: uno per tutti la Parabola del Buon Samaritano" I Samaritani discendevano da un miscuglio di popolazioni importate dagli Assiri nel 721 a.C. per ripopolare la Samaria distrutta. Essi avevano contaminato la religione di Jahvè con credenze idolatriche e, perciò, dopo il ritorno da Babilonia (538 a.C.), i Giudei non vollero avere alcun rapporto con loro, ritenendoli impuri come i pagani La rivalità aumentò quando il sommo sacerdote giudeo Giovanni Ircano distrusse il loro tempio sul monte Garizim nel 128 a.C. Ritenevano ispirati solo i 5 libri di Mosè (la legge). Il pozzo di Giacobbe è il più profondo pozzo in Palestina (circa 30 metri). E proprio qui, nel richiamo di Giacobbe, capostipite del popolo d'Israele, Gesù si fa mendicante di acqua: è il suo modo discreto per iniziare un dialogo con una donna infedele e per riconquistarla alla verità. Due sono i valori fondamentali: il dono dell'acqua viva (simboleggia la rivelazione di Gesù) e il dono dello Spirito, che garantisce il nuovo culto "in Spirito e verità". Vi è una introduzione storico-geografica (vv 4-6) e una conclusione storico-teologica (vv 39-42). Il racconto si svolge in due grandi scene: il dialogo di Gesù con la Samaritana (vv 7-26) e quello con i discepoli (vv 31-38) che ritornano, mentre la Samaritana va in città ad annunciare (vv 27-30). E il colloquio con la Samaritana è diviso in due parti (vv 31-34 e 35-38). In tutto il testo si sviluppa la conoscenza progressiva dì Gesù: un giudeo (v 9), uno più grande di Giacobbe (v 12), un Signore capace di compiere un prodigio (v 15), un profeta (v 19), il Messia che viene alla fine della storia (vv 25-26,29), l'inviato del Padre che, a sua volta, invia (vv 34-38), il Salvatore del mondo ( v 42). La domanda predominante: "Chi è colui che ti parla?" (v 10) ha due risposte. Gesù è Messia (v 26) e Gesù è salvatore del mondo (v42), proclamato solennemente. Varie riflessioni sì profilano: Gesù è acqua viva, rivelazione e Spirito. Egli chiede la conversione del cuore, propone un culto genuino, invia nel mondo per la salvezza di tutti, mentre la Samaritana è la donna disincantata, lontana da Dio ma coraggiosa, attenta mentre devia i tentativi di Gesù di farla riflettere su se stessa. Eppure non fugge davanti a Gesù. Con tutte le sue perplessità, alla fine accetta di fare un cammino di ricerca e fedeltà per arrivare alla verità: acqua viva.