PENULTIMA DOMENICA DOPO L’EPIFANIA
4 febbraio 2018
Luca 7, 36-50

Riferimenti : Osea 6, 1-6 -
Salm0 50 -  Gàlati 2, 19 – 3, 7
Pietà di me, o Dio, nel tuo amore; nella tua grande misericordia cancella la mia iniquità. Lavami tutto dalla mia colpa, dal mio peccato rendimi puro. Tu non gradisci il sacrificio; se offro olocausti, tu non li accetti. Uno spirito contrito è sacrificio a Dio; un cuore contrito e affranto tu, o Dio, non disprezzi.

Osea 6, 1-6
Così dice il Signore Dio: «Voi dite: “Venite, ritorniamo al Signore: / egli ci ha straziato ed egli ci guarirà. / Egli ci ha percosso ed egli ci fascerà. / Dopo due giorni ci ridarà la vita / e il terzo ci farà rialzare, / e noi vivremo alla sua presenza. / Affrettiamoci a conoscere il Signore, / la sua venuta è sicura come l’aurora. Verrà a noi come la pioggia d’autunno, / come la pioggia di primavera che feconda la terra”. / Che dovrò fare per te, Èfraim, / che dovrò fare per te, Giuda? / Il vostro amore è come una nube del mattino, / come la rugiada che all’alba svanisce. / Per questo li ho abbattuti per mezzo dei profeti, / li ho uccisi con le parole della mia bocca / e il mio giudizio sorge come la luce: / poiché voglio l’amore e non il sacrificio, / la conoscenza di Dio più degli olocausti».
Osea, che vive nel secolo ottavo a. C., è testimone di una tragedia che ha coinvolto le tribù del Nord e le tribù del Sud di Israele. Le tribù del Nord, chiamate in questo caso Efraim, desiderose di scrollarsi di dosso il giogo assiro, attaccano le tribù del Sud, abitanti nella Giudea e quindi a Gerusalemme, essendosi già impossessate di città più piccole vicine. Esse immaginano di contrastare così l'impero assiro.
Ma il re Acaz, re di Giuda, nonostante l'invito insistente di Isaia di non rivolgersi al re straniero, chiede l'intervento della signoria Assira che arriva velocemente e devasta con brutalità, vandalismi e ferocia tutto il territorio del Nord. In questo caso, però, travolge anche il Sud di Israel, se non altro facendo pesare l'intervento e il soccorso con pesanti tributi. Di fronte a questa tragedia, finalmente, ci si rende conto che ciò che è avvenuto è causato dalla disobbedienza e dalla infedeltà a Dio. Egli aveva mandato avvisi precisi ma il re e il popolo non hanno voluto ascoltare. A questo punto, però, finalmente, ci si rivolge a Dio dopo la sconfitta, convinti che una conversione rimetterà a posto le cose: di Dio ci si può fidare. "Egli guarisce, Egli fascia le piaghe, Egli ridà la vita in breve tempo (tre giorni)". La sua presenza e il suo intervento sono garantiti come l'aurora, come la pioggia d'autunno e di primavera: il sole illumina e la pioggia feconda la terra. Questa è la fede che il popolo d'Israele riesce a recuperare nei momenti di difficoltà e di crisi. Ma il Signore risponde attraverso il profeta e usa le stesse immagini ma riducendole: nube nel mattino, e quindi nube che oscura i sole, e rugiada, solo rugiada che svanisce ai primi raggi. Il Signore rimprovera la fragilità e la superficialità del rapporto che il suo popolo ha con Lui. E infatti tutta la religiosità di Israele, che di fronte alla sventura moltiplica i sacrifici di animali e le offerte al tempio, deve rivedere la propria posizione, maturando l'amore e la misericordia, la conoscenza di Dio prima degli olocausti e dei sacrifici. L'ultima frase: "Voglio l'amore, non sacrificio, la conoscenza di Dio più degli olocausti" (v 6) è sempre molto presente nell'opera di Gesù, soprattutto nei momenti difficili in cui egli affronta situazioni di discriminazione, di rifiuto delle persone, di giudizi, di opposizione violenta verso coloro che sbagliano. E di fatto Gesù utilizzerà questa frase proprio come risposta allo stupore di scandalo e di recriminazione verso di Lui da parte di cultori della legge, esigenti e fedeli (i farisei). Gesù accetta di mangiare insieme con pubblicani e peccatori, amici di Matteo che Gesù stesso aveva invitato a seguirlo come discepolo (Matteo 9,9-13). E questo crea una opposizione durissima. Gesù conclude: "Non sono venuto a chiamare i giusti ma i peccatori. Non sono i sani che hanno bisogno del medico ma i malati. Andate dunque e imparate che cosa significhi misericordia io voglio e non sacrificio. Infatti non sono venuto a chiamare i giusti ma i peccatori".

Gàlati 2, 19 – 3, 7
Fratelli, mediante la Legge io sono morto alla Legge, affinché io viva per Dio. Sono stato crocifisso con Cristo, e non vivo più io, ma Cristo vive in me. E questa vita, che io vivo nel corpo, la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha consegnato se stesso per me. Dunque non rendo vana la grazia di Dio; infatti, se la giustificazione viene dalla Legge, Cristo è morto invano. O stolti Gàlati, chi vi ha incantati? Proprio voi, agli occhi dei quali fu rappresentato al vivo Gesù Cristo crocifisso! Questo solo vorrei sapere da voi: è per le opere della Legge che avete ricevuto lo Spirito o per aver ascoltato la parola della fede? Siete così privi d’intelligenza che, dopo aver cominciato nel segno dello Spirito, ora volete finire nel segno della carne? Avete tanto sofferto invano? Se almeno fosse invano! Colui dunque che vi concede lo Spirito e opera portenti in mezzo a voi, lo fa grazie alle opere della Legge o perché avete ascoltato la parola della fede? Come Abramo ebbe fede in Dio e gli fu accreditato come giustizia, riconoscete dunque che figli di Abramo sono quelli che vengono dalla fede.

Paolo si sente particolarmente perseguitato da gruppi di ebrei convertiti che però temono di abbandonare le usanze e la mentalità ebraica. Sono quelli che vengono "da parte di Giacomo"(2,12) (responsabile della Chiesa di Gerusalemme). Pietro stesso ha seguito una condotta di comunione con i pagani convertiti e mangia serenamente con loro senza problemi, ad Antiochia. Ma il fatto di questa venuta ha irrigidito i rapporti per cui "Pietro cerca di tirarsi indietro e di appartarsi, timoroso dei giudei convertiti. Presero il suo atteggiamento falso anche altri giudei e perfino Barnaba" (v13). Il problema che sorge è squisitamente teologico. Chi o che cosa salva? Sono le regole, la legge, le remore che bisogna rispettare e che, nella condizione in cui ci troviamo, ci fanno sentire travolti da separazioni e diffidenze, rifiuti e lacerazioni? O ci salva la fede in Gesù che ci garantisce una fraternità, il superamento dell'esclusione, la scoperta di un amore universale che ci apre ad essere il nuovo popolo? Si riesce allora a capire la reazione di Paolo: "Egli si oppose a Pietro, affrontandolo direttamente a viso aperto" (v 11). Paolo infatti vuole riproporre nelle sue lettere e nella sua predicazione la fede in Gesù come struttura fondamentale. Si capisce allora tutta la sua insistenza e la sua polemica nella contrapposizione tra fede e opere. C'è il pericolo, sempre presente, di pensare che tutto dipenda da noi, dalle nostre azioni, dei nostri criteri di comportamento, e non dalla forza della fede e dalla ricerca di Gesù. Il Paradiso ci viene dato dalla grazia di Dio perché egli ci considera suoi figli e vuole che, insieme con lui, possiamo godere la bellezza e la grandezza della Sua vita. Questo atteggiamento ci porta ad essere attenti, rispettosi della sua Parola e fondamentalmente riconoscenti e gioiosi del dono che Gesù ci ha fatto. Certamente tutto questo ci porta a vivere secondo la sua Parola, ma la religione cristiana è ringraziamento, insieme con la responsabilità, e diventa dono insieme con l'impegno e diventa comunione con gli altri perché figli dello stesso Padre. Paolo si mostra durissimo con i suoi fratelli Galati che egli ha convertito. Chiamandoli per ben due volte, persone "senza criterio" (o stolti), elenca cinque domande la cui risposta è una sola, quella, cioè, che Paolo stesso desidera far loro capire: "Colui dunque che vi concede lo Spirito e opera portenti in mezzo a voi, lo fa grazie alle opere della Legge o perché avete ascoltato la parola della fede?" L'immagine che Paolo continua a proporre è quella di Abramo "che ebbe fede in Dio e gli fu accreditato come giustizia".

Luca 7, 36-50
In quel tempo. Uno dei farisei invitò il Signore Gesù a mangiare da lui. Egli entrò nella casa del fariseo e si mise a tavola. Ed ecco, una donna, una peccatrice di quella città, saputo che si trovava nella casa del fariseo, portò un vaso di profumo; stando dietro, presso i piedi di lui, piangendo, cominciò a bagnarli di lacrime, poi li asciugava con i suoi capelli, li baciava e li cospargeva di profumo. Vedendo questo, il fariseo che l’aveva invitato disse tra sé: «Se costui fosse un profeta, saprebbe chi è, e di quale genere è la donna che lo tocca: è una peccatrice!». Gesù allora gli disse: «Simone, ho da dirti qualcosa». Ed egli rispose: «Di’ pure, maestro». «Un creditore aveva due debitori: uno gli doveva cinquecento denari, l’altro cinquanta. Non avendo essi di che restituire, condonò il debito a tutti e due. Chi di loro dunque lo amerà di più?». Simone rispose: «Suppongo sia colui al quale ha condonato di più». Gli disse Gesù: «Hai giudicato bene». E, volgendosi verso la donna, disse a Simone: «Vedi questa donna? Sono entrato in casa tua e tu non mi hai dato l’acqua per i piedi; lei invece mi ha bagnato i piedi con le lacrime e li ha asciugati con i suoi capelli. Tu non mi hai dato un bacio; lei invece, da quando sono entrato, non ha cessato di baciarmi i piedi. Tu non hai unto con olio il mio capo; lei invece mi ha cosparso i piedi di profumo. Per questo io ti dico: sono perdonati i suoi molti peccati, perché ha molto amato. Invece colui al quale si perdona poco, ama poco». Poi disse a lei: «I tuoi peccati sono perdonati». Allora i commensali cominciarono a dire tra sé: «Chi è costui che perdona anche i peccati?». Ma egli disse alla donna: «La tua fede ti ha salvata; va’ in pace!».

 Dio è in visita del suo popolo attraverso l'attività di Gesù. In questo capitolo 7 guarisce il servo di un centurione, risuscita un fanciullo morto di Nain, risponde alla domanda di Giovanni Battista e lo elogia, perdona la peccatrice. Quest'ultimo episodio avviene durante un banchetto, di sabato, con Gesù invitato da Simone, che è un fariseo onesto, e che vuole approfittare, all'uscita dalla sinagoga, di parlare con Gesù, e continuare una riflessione sui testi biblici di quel giorno, proposti e commentati, probabilmente, da Gesù stesso. E desidera, nello stesso tempo, farsi un'idea più precisa di Gesù. Quasi certamente si è preoccupato di avere, come commensali, altre persone di corretta moralità per evitare che un pranzo non fosse rovinato da persone impure o anche semplicemente rozze. Di giorno la porta della casa resta sempre aperta, ma difficilmente qualcuno, malvisto, che non sia in confidenza con colui che ospita si arrischia di entrare. Così, con stupore, si scopre che si fa avanti una donna chiacchierata, e di dubbia fama. Non chiede permesso a nessuno, punta dritto verso Gesù, si inginocchia piangente e asciuga con i capelli sciolti i piedi di Gesù, bagnati dalle sue lacrime. Tutti sono sconcertati e perplessi, ma nessuno la ferma o la scaccia, poiché il capo di casa non fa nessun cenno. Egli resta a guardare. Però il suo volto esprime perplessità e irritazione, ma anche curiosità circa il comportamento di Gesù. Gesù, allora, inventa, lì per lì, una parabola di misericordia e quindi Lui stesso si preoccupa di applicarla alla situazione creatasi.: "Vedi questa donna?". Chi ama di più? E risponde: colui o colei a cui è stato perdonato di più. E Gesù fa emergere i gesti di maggiore amore: l'accoglienza, le lacrime di pentimento, mentre il fariseo ospitante non ha fatto nulla di tutto questo. Per sé non è tenuto ma è rimasto al limitare della correttezza. Probabilmente questa donna ha già conosciuto Gesù, ed ha già ricevuto una consolazione per la sua speranza. Per questo ama di più, e compie gesti coraggiosi e umili, gesti di chi si sente aiutata e perdonata. Ama di più perché sa scoprire la sua povertà e sa apprezzare la grandezza di amore e di gioia a cui Gesù si richiama. Il fariseo, invece, ritiene di non aver bisogno di perdono. Non è disonesto ma è un estraneo a Gesù e da Lui si aspetta molto poco.