II DOMENICA DOPO L’EPIFANIA
14 gennaio 2018
Giovanni 2, 1-11
Riferimrnti : Isaia 25, 6-10a - Salmo71 -  Colossesi 2, 1-10a
Il Signore libererà il misero che invoca e il povero che non trova aiuto. Abbia pietà del debole e del misero e salvi la vita dei miseri. Il suo nome duri in eterno, davanti al sole germogli il suo nome. In lui siano benedette tutte le stirpi della terra e tutte le genti lo dicano beato.

Isaia 25, 6-10a
In quei giorni. Isaia disse: «Preparerà il Signore degli eserciti / per tutti i popoli, su questo monte, / un banchetto di grasse vivande, / un banchetto di vini eccellenti, / di cibi succulenti, di vini raffinati. / Egli strapperà su questo monte / il velo che copriva la faccia di tutti i popoli / e la coltre distesa su tutte le nazioni. / Eliminerà la morte per sempre. / Il Signore Dio asciugherà le lacrime su ogni volto, / l’ignominia del suo popolo / farà scomparire da tutta la terra, / poiché il Signore ha parlato. / E si dirà in quel giorno: “Ecco il nostro Dio; / in lui abbiamo sperato perché ci salvasse. / Questi è il Signore in cui abbiamo sperato; / rallegriamoci, esultiamo per la sua salvezza, / poiché la mano del Signore si poserà su questo monte”».
Questo testo fa parte di una serie di capitoli (cc 24-27) chiamati anche "Apocalisse di Isaia". Vi si trova la rivelazione del giudizio definitivo di Dio contro i suoi avversari e l'annuncio dell'inizio del dominio universale di Dio sul mondo. Dopo che il Signore avrà sconfitto l'esercito celeste e tutti i re della terra, si potrà celebrare la sua intronizzazione sul monte Sion, dove egli manifesterà la sua gloria in una dimensione cosmica (si parla del sole che impallidisce e la luna che arrossisce: Is24,22-23). Il capitolo 25 va compreso come seguito della intronizzazione di Dio e si apre con un inno di lode e di gloria a Dio (25,1-5). Dio prepara un banchetto per tutti popoli: Egli stesso celebra finalmente la conclusione festosa per la vittoria e rappresenta il coinvolgimento di tutti popoli per cui è garantita la pace. Si deve ricordare che uno stesso banchetto rituale fu consumato dopo il "patto dell'alleanza" con Mosé al Sinai (Es 24,9-11). Anche Gesù, nel Nuovo Testamento, celebra un banchetto, prima di morire. Esso è, nello stesso tempo, il rinnovo della Nuova Alleanza conclusa tra Dio e tutti gli uomini della terra e gesto continuo di comunione in un mondo che si costituirà nella pace. Si dice infatti nel Vangelo di Matteo "Ora, mentre mangiavano, Gesù prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e, mentre lo dava ai discepoli, disse: «Prendete, mangiate: questo è il mio corpo». Poi prese il calice, rese grazie e lo diede loro, dicendo: «Bevetene tutti, perché questo è il mio sangue dell'alleanza, che è versato per molti per il perdono dei peccati". (26,26-28). Il Signore eliminerà il dolore da tutti popoli e "da ogni volto" e vincerà la morte. In questo brano si apre anche lo spiraglio di una speranza di immortalità e quindi il superamento della morte. Gesù ricorderà la risurrezione. Tutti i popoli si riconosceranno nella fede e nella speranza del Signore e quindi vivranno nella serenità, felicità e pace.

Colossesi 2, 1-10a
Fratelli, voglio che sappiate quale dura lotta devo sostenere per voi, per quelli di Laodicèa e per tutti quelli che non mi hanno mai visto di persona, perché i loro cuori vengano consolati. E così, intimamente uniti nell’amore, essi siano arricchiti di una piena intelligenza per conoscere il mistero di Dio, che è Cristo: in lui sono nascosti tutti i tesori della sapienza e della conoscenza. Dico questo perché nessuno vi inganni con argomenti seducenti: infatti, anche se sono lontano con il corpo, sono però tra voi con lo spirito e gioisco vedendo la vostra condotta ordinata e la saldezza della vostra fede in Cristo. Come dunque avete accolto Cristo Gesù, il Signore, in lui camminate, radicati e costruiti su di lui, saldi nella fede come vi è stato insegnato, sovrabbondando nel rendimento di grazie. Fate attenzione che nessuno faccia di voi sua preda con la filosofia e con vuoti raggiri ispirati alla tradizione umana, secondo gli elementi del mondo e non secondo Cristo. È in lui che abita corporalmente tutta la pienezza della divinità, e voi partecipate della pienezza di lui.

Paolo non è stato nella città di Colossi o di Laodicea né ha fondato queste comunità e tuttavia è preoccupato per le notizie che gli fa giungere Epafra, un collaboratore che sembra essere stato il fondatore di queste piccole chiese. L'apostolo se ne sente la responsabilità, pur non avendole fondate ed usa una immagine biblica famosa, quella che corrisponde alla lotta di Giacobbe con l'angelo (Gen32,25-33), quando dice:"Sappiate quale lotta debbo sostenere per voi" (2,1).. Questa "lettera ai Colossesi", collocata durante la prima prigionia di Paolo a Roma (tra il 61 e il 63 d.C.), affidata a Tichico, mette in guardia da "inganni" che vengono proposti "con argomenti seducenti". Confluiscono, probabilmente, elementi giudaici sugli angeli ed elementi pagani che nascono da una suggerita "filosofia". Con questo termine Paolo indica il pensiero anche religioso che propone idee opposte al Vangelo. E l'inganno consiste nel ritenere presenti altri esseri accanto a Cristo o in alternativa a lui, per garantire che possono offrire essi stessi la salvezza: si tratta di potenze cosmiche o angeli (1,16) come pure elementi del mondo naturali (aria, acqua, terra, fuoco). Questo affollamento di potenze e di elementi, accanto a Cristo, compromette la fede nella sua supremazia sul mondo. Paolo non mette in discussione la potenza e l'attività di queste realtà, che egli assomiglia agli angeli della tradizione giudaica (2,15), ma chiarisce che "è in lui, cioè in Gesù, che abita corporalmente tutta la pienezza della divinità", e voi partecipate della "pienezza di lui che il capo di ogni principato e di ogni potestà" (2,10). E se gli angeli hanno svolto un ruolo di mediazione e di amministrazione della legge finora, essi hanno solamente preparato questo tempo. Ora quel loro ruolo è cessato. E' Cristo, il Signore, che ha preso in mano il governo del mondo e ha instaurato un tempo nuovo.

 

Giovanni 2, 1-11
In quel tempo. Vi fu una festa di nozze a Cana di Galilea e c’era la madre di Gesù. Fu invitato alle nozze anche Gesù con i suoi discepoli. Venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: «Non hanno vino». E Gesù le rispose: «Donna, che vuoi da me? Non è ancora giunta la mia ora». Sua madre disse ai servitori: «Qualsiasi cosa vi dica, fatela». Vi erano là sei anfore di pietra per la purificazione rituale dei Giudei, contenenti ciascuna da ottanta a centoventi litri. E Gesù disse loro: «Riempite d’acqua le anfore»; e le riempirono fino all’orlo. Disse loro di nuovo: «Ora prendetene e portatene a colui che dirige il banchetto». Ed essi gliene portarono. Come ebbe assaggiato l’acqua diventata vino, colui che dirigeva il banchetto – il quale non sapeva da dove venisse, ma lo sapevano i servitori che avevano preso l’acqua – chiamò lo sposo e gli disse: «Tutti mettono in tavola il vino buono all’inizio e, quando si è già bevuto molto, quello meno buono. Tu invece hai tenuto da parte il vino buono finora». Questo, a Cana di Galilea, fu l’inizio dei segni compiuti da Gesù; egli manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui.
Gesù è invitato ad un matrimonio e Giovanni ricorda che siamo al terzo giorno, il settimo giorno dall'inizio del Vangelo, suggerendo un particolare valore poiché siamo alla conclusione della nuova creazione. Il racconto è particolare. Lo si dice "il primo dei segni": "segni" e non "miracoli. I segni che Giovanni riporta nei primi 12 capitoli sono sette, tutti nella linea del manifestare il significato della presenza di Gesù tra noi. Nel restante testo del Vangelo si parla "dell'ora". "L'ora" viene ricordata anche qui, ma per negarla: "Non è ancora giunta la mia ora" (2,4). Così il Vangelo di Giovanni è compreso "nell'ora": la prima è anticipo per la gioia degli sposi e l'ultima ora è la gloria di Gesù morto e risorto (GV13,1ss).. Questo testo, che è splendido e nello stesso tempo curioso, suscita molti interrogativi di interpretazione per cui va letto, nello stesso tempo, come un episodio ma anche come un interessantissimo racconto simbolico. Il settimo giorno, ovviamente, è il parallelo con il racconto della creazione, quando Dio si riposa dopo aver creato l'uomo e la donna (Gen 1,26-27). Egli riposa con loro in una intimità che fa superare il rapporto e l'attenzione alle cose per orientarli nella gioia della relazione e dell'accoglienza. E, nello stesso tempo, con terzo giorno", si ricorda l'operato di Gesù che dalla morte risorge. La risurrezione costituisce la pienezza della creazione e della liberazione dal male. Non si parla per nulla della sposa e, solo marginalmente, dello sposo. Non si parla degli invitati, ma i due personaggi fondamentali sono Maria e Gesù. Il vino è il simbolo dell'amore coniugale nel Vecchio Testamento e, se si accetta che questo segno sia l'immagine dell'amore di Dio verso il suo popolo, si comprende come il rapporto tra Dio e Israele (in ebraico Israele è femminile: è la sposa) è destinato al fallimento. La madre di Gesù (Giovanni non la chiama mai Maria ma la "donna") intercede perché Dio compia, per pura gratuità il dono dell'amore pieno. E se un primo momento la risposta di Gesù sembra esprimere diffidenza e rifiuto: "Che cosa vuoi da me", la risposta della madre corrisponde, insieme, all'attesa di comprensione, alla sicurezza di amore, alla disponibilità verso la volontà di Dio, incontestabilmente. "Qualsiasi cosa vi dirà, fatela" (2,5). E questo testo si può accostare alla promessa del popolo d'Israele prima del dono della legge al Sinai (Es 19,8): "Quanto il Signore ha detto, noi lo faremo".