 III DOMENICA DOPO L'EPIFANIA
21 gennaio 2018 Matteo 14, 13b-21
Riferimenti : Numeri 11, 4-7. 16a. 18-20. 31-32a -
Salmo 104 - Corinzi 10, 1-11b |
È lui il Signore, nostro Dio: su tutta la terra
i suoi giudizi. Si è sempre ricordato della sua alleanza, parola
data per mille generazioni, dell’alleanza stabilita con Abramo e
del suo giuramento a Isacco. Fece uscire il suo popolo con
argento e oro; nelle tribù nessuno vacillava. Quando uscirono,
gioì l’Egitto, che era stato colpito dal loro terrore. |
dei Numeri 11, 4-7. 16a. 18-20.
31-32a
In quei giorni. La gente
raccogliticcia, in mezzo a loro, fu presa da
grande bramosia, e anche gli Israeliti ripresero
a piangere e dissero: «Chi ci darà carne da
mangiare? Ci ricordiamo dei pesci che mangiavamo
in Egitto gratuitamente, dei cetrioli, dei
cocomeri, dei porri, delle cipolle e dell’aglio.
Ora la nostra gola inaridisce; non c’è più
nulla, i nostri occhi non vedono altro che
questa manna». La manna era come il seme di
coriandolo e aveva l’aspetto della resina
odorosa. Il Signore disse a Mosè: «Dirai al
popolo: “Santificatevi per domani e mangerete
carne, perché avete pianto agli orecchi del
Signore, dicendo: Chi ci darà da mangiare carne?
Stavamo così bene in Egitto! Ebbene, il Signore
vi darà carne e voi ne mangerete. Ne mangerete
non per un giorno, non per due giorni, non per
cinque giorni, non per dieci giorni, non per
venti giorni, ma per un mese intero, finché vi
esca dalle narici e vi venga a nausea, perché
avete respinto il Signore che è in mezzo a voi e
avete pianto davanti a lui, dicendo: Perché
siamo usciti dall’Egitto?”». Un vento si alzò
per volere del Signore e portò quaglie dal mare
e le fece cadere sull’accampamento, per la
lunghezza di circa una giornata di cammino da un
lato e una giornata di cammino dall’altro,
intorno all’accampamento, e a un’altezza di
circa due cubiti sulla superficie del suolo. Il
popolo si alzò e tutto quel giorno e tutta la
notte e tutto il giorno dopo raccolse le
quaglie.
In marcia verso il
deserto di Paran, il popolo incomincia a
lamentarsi e si pone quindi i molti
interrogativi che sorgono all'interno di una
vita carica di imprevisti e costretta a
inventarsi, giorno per giorno, elementi di
sopravvivenza per poter resistere. I primi tre
versetti (11,1-tre) sintetizzano proprio "questo
lamentarsi aspramente" con un incendio che sorge
nell'accampamento, facile come sempre negli
accampamenti, di fronte a cui Mosé, pregando,
diventa il mediatore che fa spegnere il fuoco.
In concreto, la protesta del popolo sorge perché
non ha cibo sufficiente nel deserto. Come
risultato, il popolo è saziato con le quaglie
(vv. 4-9.10.13.18-24a) ma è pure castigato per
la sua ingordigia (vv. 31-33). Intrecciata col
racconto relativo alla bramosia di cibo, si ha
una storia riguardante la condivisione
dell'autorità di Mosè che qui non viene
riportata (vv. 11-12.14-17.24b-30).Due gruppi
distinti di persone, "la gente raccogliticcia e
gli israeliti" protestano per la scarsità di
cibo (v. 4) e rimpiangono i giorni in cui, in
Egitto, godevano abbondanza di pesce e verdure
(v. 5). Ora sono insoddisfatti perché tutto ciò
che hanno da mangiare è la manna, con la quale
fanno quotidianamente focacce che hanno il
sapore di pasta all'olio (vv. 6-9; cf. Es
16,13-14.31). Lo «sdegno del Signore divampò»
contro gli israeliti (v. 10). Ma lo stesso Mosè,
come il Signore, risponderanno ciascuno alla
protesta a modo loro e Mosè dimentica il suo
ruolo di mediatore. Infatti, contrariamente a
quello che ha fatto allo scoppio dell'incendio
(11, 2), Mosè stesso non intercede, ma si
lamenta di dover provvedere da solo a quella
grande moltitudine, e diffida della stessa
potenza di Dio perché Dio stesso non è capace di
provvedere per 600.000 persone e tanto più lo
stesso Mosè: «Da dove prenderò la carne da dare
a tutto questo popolo? Perché si lamenta contro
di me» (v. 13). Mosè ritiene di avere la
responsabilità di trovare carne, ma esprime la
propria impossibilità. Così, invece di cercare
l'aiuto di Dio, manifesta risentimento per la
posizione in cui è stato posto. "Perché hai
fatto del male al tuo servo? L'ho forse
concepito io tutto questo popolo? Se mi devi
trattare così, fammi morire piuttosto"
(11,11-15) Dio ignora il lamento di Mosè e lo
richiama alla sua funzione di mediatore (vv.
18a, 24a); Dio risponde alla gente e chiarisce
che il popolo vuole in realtà tornare in Egitto
(vv. 18.20b), con ciò rigettando la liberazione
operata dalla sua potenza. E insieme comanda a
Mosè di dire al popolo di "santificarsi" (v.
18), perché riceveranno carne in abbondanza,
tale da esserne nauseati (vv. 19-20). Mosè
obietta ancora, esprimendo un dubbio sulla
stessa capacità del Signore. Quando Mosè
intercede per il popolo, Dio risponde col
perdono (v. 2). Nell'incidente delle quaglie,
invece, manca l'intercessione di Mosè e il
risultato è la collera di Dio "che gli si accese
contro il popolo, percuotendolo con una
gravissima piaga" (11,33). Ponendo i due
episodi, uno di seguito all'altro, l'autore
intenzionalmente mette in luce l'efficacia
dell'intercessione di Mosè e, quindi, il
significato della preghiera. Si scopre la
fragilità anche di questo mediatore che si trova
isolato, nella stessa condizione di paura e di
incertezza, come tutti gli altri e, tuttavia,
responsabile del dialogo con Dio che lo invita a
fidarsi. E se non si scorge una risposta a Mosé
per questa sua fatica, e quindi per la sua
richiesta di morte che lo libererebbe
dall'angoscia, il Signore incoraggia Mosè a
scegliere settanta anziani e a condurli alla
tenda del convegno (v. 16; cf. Es 18,13-26). Dio
dice a Mosè: «Prenderò lo Spirito che è su di te
per metterlo su di loro, perché portino con te
il carico del popolo» (v. 17). Mosè ubbidisce e
i 70 anziani "profetizzarono" (v. 25c). E
tuttavia a questi non è data la stessa
responsabilità che Mosé porta: comunicare la
Parola di Dio e condurre il popolo in salvo
nella terra promessa (v. 12). Questi anziani
hanno compiti di gestione all'interno del
popolo: organizzare, porre ordine, risolvere i
litigi, risultando così un gruppo di
collaboratori. Ma essi sono attorno ad un
responsabile unico. In altri termini non siamo
in regime di democrazia dove valga maggioranza e
minoranza. Esiste un capo scelto da Dio che deve
accettare di giocarsi tutta la vita per il
popolo. |
Corinzi 10, 1-11b Non voglio che
ignoriate, fratelli, che i nostri padri furono tutti sotto la
nube, tutti attraversarono il mare, tutti furono battezzati in
rapporto a Mosè nella nube e nel mare, tutti mangiarono lo
stesso cibo spirituale, tutti bevvero la stessa bevanda
spirituale: bevevano infatti da una roccia spirituale che li
accompagnava, e quella roccia era il Cristo. Ma la maggior parte
di loro non fu gradita a Dio e perciò furono sterminati nel
deserto. Ciò avvenne come esempio per noi, perché non
desiderassimo cose cattive, come essi le desiderarono. Non
diventate idolatri come alcuni di loro, secondo quanto sta
scritto: Il popolo sedette a mangiare e a bere e poi si alzò per
divertirsi. Non abbandoniamoci all’impurità, come si
abbandonarono alcuni di loro e in un solo giorno ne caddero
ventitremila. Non mettiamo alla prova il Signore, come lo misero
alla prova alcuni di loro, e caddero vittime dei serpenti. Non
mormorate, come mormorarono alcuni di loro, e caddero vittime
dello sterminatore. Tutte queste cose però accaddero a loro come
esempio, e sono state scritte per nostro ammonimento.Vangelo Il
segno della moltiplicazione dei pani.
Dopo
aver proposto alla comunità dei cristiani di Corinto il proprio
comportamento come esempio di responsabilità, (cap. 9) e aver
ricordato l'impegno per la gratuità nel proprio incarico
pastorale, utilizzando anche immagini sportive, molto popolari a
quel tempo, in particolare a Corinto, con i giochi istmici a
scadenza biennale, Paolo incoraggia la comunità, pur generosa,
di Corinto a vivere con fedeltà la scelta di Gesù. Tuttavia
l'apostolo si sofferma su alcuni aspetti negativi: dissensi,
invidie, immoralità, esistenti, come ovunque, d'altra parte. Si
corre il rischio di immaginare, dice Paolo, che il proprio
battesimo garantisca la salvezza e che quindi sia sufficiente.
Paolo si preoccupa allora, utilizzando la sua competenza di
rabbino, di richiamare alcuni elementi fondamentali della fede
ebraica, sviluppando l'esegesi della liberazione dall'Egitto del
popolo d'Israele in rapporto a Mosé e quindi a Cristo. Gli
israeliti hanno seguito Mosé e si sono fidati di lui; hanno
camminato sotto la nube, hanno attraversato il mar Rosso, hanno
mangiato la manna, hanno bevuto l'acqua scaturita dalla roccia
(una leggenda dice che la roccia seguiva l'accampamento ovunque
si posasse). "Ma la maggior parte di loro non fu gradita a Dio e
perciò furono sterminati nel deserto" (10,5). Così quell'evento
diventa esemplare anche per i cristiani: il passaggio del Mar
Rosso è immagine del battesimo, battesimo nel rapporto con Mosè.
mentre i cristiani sono in rapporto a Cristo. La manna e l'acqua
sono segni profetici dell'Eucaristia. E tuttavia non sono
sufficienti: né la fede in Cristo, né l'essere battezzati, né
aver ricevuto lo Spirito, né essersi cibati dell'Eucaristia per
ricevere automaticamente la salvezza. È necessario che si
sviluppino, insieme, una vita coerente di fede e quindi una vita
operosa secondo i criteri che Gesù ha portato, a cui, come
credenti in Gesù, sono stati iniziati nel battesimo e verso cui
siamo continuamente incoraggiati a camminare attraverso lo
Spirito. Se non esistono questa disponibilità, questa fiducia e
questo cammino, anche noi siamo a rischio di perderci come i
padri nel deserto.
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Matteo 14, 13b-21 In quel tempo. Il Signore Gesù partì di
là su una barca e si ritirò in un luogo deserto, in disparte. Ma le folle,
avendolo saputo, lo seguirono a piedi dalle città. Sceso dalla barca, egli
vide una grande folla, sentì compassione per loro e guarì i loro malati. Sul
far della sera, gli si avvicinarono i discepoli e gli dissero: «Il luogo è
deserto ed è ormai tardi; congeda la folla perché vada nei villaggi a
comprarsi da mangiare». Ma Gesù disse loro: «Non occorre che vadano; voi
stessi date loro da mangiare». Gli risposero: «Qui non abbiamo altro che
cinque pani e due pesci!». Ed egli disse: «Portatemeli qui». E, dopo aver
ordinato alla folla di sedersi sull’erba, prese i cinque pani e i due pesci,
alzò gli occhi al cielo, recitò la benedizione, spezzò i pani e li diede ai
discepoli, e i discepoli alla folla. Tutti mangiarono a sazietà, e portarono
via i pezzi avanzati: dodici ceste piene. Quelli che avevano mangiato erano
circa cinquemila uomini, senza contare le donne e i bambini.
E' un testo molto complesso e molto costruito. Qui l'evangelista vuole
insegnare alcuni valori cristiani, richiamando dei segni anche se, al
momento, possono sembrare inverosimili. Con 5000 uomini c'è il richiamo alla
legione, come esercito, e qui si sentono i sogni e le esigenze di un Regno
che si deve costituire, mentre l'esercito è garanzia di un re che deve venire
( Giovanni ne parla espressamente: "Gesù, sapendo che venivano a prenderlo
per farlo re, si ritirò di nuovo sul monte, lui solo": Gv 6,15). Gesù non
vuole un esercito ma persone che costituiscano un popolo nuovo, non carne da
macello, o conquistatori di altri attraverso la violenza e la sopraffazione.
E' sera e sarebbe difficile dire a questa folla: "Andate a comprarvi il
pane". E da che parte spuntano 12 ceste? Se le erano portate vuote con sé?
San Matteo vuol raccontare uno stile ed una preoccupazione che trasmette alla
sua comunità, ma vuol anche presentare l'immagine del nuovo Mosé nel deserto.
Gesù, spezzando il pane, sfama la folla e ciascuno riceve ciò di cui ha
bisogno per sfamarsi. E' una delle sei versioni, presenti nei Vangeli, e ogni
resoconto ha un messaggio particolare, che diventa il segno di una nuova
liberazione. In questo contesto siamo alla presenza di due banchetti. Il
primo, immediatamente precedente, ricorda il banchetto di una società
violenta e opulenta, radunato nel palazzo di Erode, che ha deciso la morte di
Giovanni Battista (14, 3-12). È una società corrotta, oppressiva e
sanguinaria che deve essere ripudiata da chi segue Cristo. Cristo costruisce
con coloro che lo seguono il nuovo popolo nel deserto. L'altro è il banchetto
di un mondo di poveri che si sviluppa nella gioia e nella festa poiché c'è
Gesù, ed è aperto a tutti. - Gesù si inoltra nel deserto e dietro di lui
cammina una folla di poveri e di bisognosi, come all'uscita dall'Egitto,
desiderosi di raggiungere la propria libertà e liberarsi dalla malattia. -
Egli ha compassione e condivide la sofferenza di chi non ha orientamento, né
fiducia, né futuro, né Parola di Dio ed è malato. - Se davvero si condivide,
ci si deve prima di tutto accorgere dei problemi di ciascuno, dei suoi
bisogni primari e quindi della fame. - Il problema primo è, agli occhi di
Gesù, la malattia, poiché è ciò che rende l'uomo instabile, fragile, debole,
e quindi non libero. Gesù infatti è venuto, fondamentalmente, a ricostruire
la pienezza della persona nella sua libertà e responsabilità. Sono i
discepoli che si preoccupano della fame di queste persone e che non hanno
risorse. E fanno velocemente la verifica dei bisogni e decidono: "Mandali a
casa perché ciascuno provveda e comperi". E' il criterio del sottomettersi
alle strutture di economia o di ingiustizie. Il comperare non esamina la vera
povertà. Dice le condizioni per possedere, rifiutando ogni altra alternativa
che non sia di scambio. Gesù chiede loro di non accettare il disimpegno:
"Date voi stessi da mangiare" (v. 16). La novità è regalare condividendo, è
la gratuità. Gesù chiede che si faccia l'analisi delle risorse, mentre tutti
quelli che se ne rendono conto, dicono: "Sono troppo poche, insignificanti,
ridicole. Non c'è nient'altro da fare".
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