 Santa Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe
28 gennaio 2018
Luca 2, 41-52 Riferimenti : Isaia 45, 14-17
- salmo 63 - Ebrei 2, 11-17 |
L’anima mia anela e desidera gli atri del
Signore. Il mio cuore e la mia carne esultano nel Dio vivente.
Anche il passero trova una casa e la rondine il nido dove porre
i suoi piccoli, presso i tuoi altari, Signore degli eserciti,
mio re e mio Dio. |
Isaia 45, 14-17 Così dice
il Signore: / «Le ricchezze d’Egitto e le merci
dell’Etiopia / e i Sebei dall’alta statura /
passeranno a te, saranno tuoi; / ti seguiranno
in catene, / si prostreranno davanti a te, / ti
diranno supplicanti: / “Solo in te è Dio; non ce
n’è altri, / non esistono altri dèi”». /
Veramente tu sei un Dio nascosto, / Dio
d’Israele, salvatore. / Saranno confusi e
svergognati / quanti s’infuriano contro di lui;
/ se ne andranno con vergogna / quelli che
fabbricano idoli. / Israele sarà salvato dal
Signore / con salvezza eterna. / Non sarete
confusi né svergognati / nei secoli, per sempre.
Il profeta vuole consolare e garantire un popolo
che soffre la propria lontananza da Gerusalemme.
Il contesto di questo brano fa riferimento alle
vittorie che Ciro, il Grande, compirà contro
Babilonia, dice il profeta, poiché Ciro è
divenuto eletto del Signore, e quindi il
liberatore di Israele. "Io l'ho preso per la
destra, per abbattere davanti a lui le
nazioni... e davanti a lui nessun portone
rimarrà chiuso" (45,1). All'interno di questo
progetto, l'autore biblico ripensa al cammino
verso Gerusalemme. Nella città santa giungeranno
"le ricchezze d'Egitto e le merci d'Etiopia" e i
popoli, poderosi nella guerra, verranno vinti e
supplicanti. Essi si prostreranno poiché il
Signore, che è l'unico Signore, resterà con il
suo popolo per averlo scelto. Qui però si
inserisce una particolare riflessione sulla
storia che stanno vivendo gli israeliti e sul
loro rapporto e conoscenza del Signore. "Tu sei
un Dio nascosto (o misterioso)". Se finora Dio
era riconosciuto presente direttamente nella
storia del popolo, ora emerge la consapevolezza
che il Signore, pur presente dietro i propri
avvenimenti, diventa sempre più indecifrabile
nei suoi comportamenti. Israele è coinvolto
nella storia, ma non sono sufficienti più i
criteri interpretativi del giusto e
dell'ingiusto per cogliere l'intervento di Dio.
La storia di Israele è inserita in una dinamica
dove Dio continua ad essere presente e
Salvatore, non è certo assente. E tuttavia è
nascosto e spesso incomprensibile. Resta la
fiducia, comunque, di un popolo che ha
sperimentato in passato la misericordia di Dio
ed è sicuro di sperimentarla in futuro. Compito
d'Israele è, nel frattempo, di combattere
l'idolatria, sostituirla con altri progetti, con
altre prospettive e con altre speranze. Coloro
che restano fedeli, non saranno "confusi né
svergognati nei secoli per sempre". Camminare
verso Gerusalemme, perciò, significa ripetere
questa speranza nella propria vita e maturare
sempre più questa garanzia di Dio.
|
Ebrei 2, 11-17 Fratelli, colui
che santifica e coloro che sono santificati provengono tutti da
una stessa origine; per questo non si vergogna di chiamarli
fratelli, dicendo: «Annuncerò il tuo nome ai miei fratelli, / in
mezzo all’assemblea canterò le tue lodi»; / e ancora: / «Io
metterò la mia fiducia in lui»; / e inoltre: / «Eccomi, io e i
figli che Dio mi ha dato». Poiché dunque i figli hanno in comune
il sangue e la carne, anche Cristo allo stesso modo ne è
divenuto partecipe, per ridurre all’impotenza mediante la morte
colui che della morte ha il potere, cioè il diavolo, e liberare
così quelli che, per timore della morte, erano soggetti a
schiavitù per tutta la vita. Egli infatti non si prende cura
degli angeli, ma della stirpe di Abramo si prende cura. Perciò
doveva rendersi in tutto simile ai fratelli, per diventare un
sommo sacerdote misericordioso e degno di fede nelle cose che
riguardano Dio, allo scopo di espiare i peccati del popolo.
L'autore della "Lettera agli ebrei" vuole presentare la figura
di Gesù, sacerdote della Nuova Alleanza, fratello di ogni uomo e
speranza di ciascuno. E se, nel salmo 8, si dice: "Dio ha fatto
l'uomo di poco inferiore agli angeli ed ha posto ogni cosa sotto
i suoi piedi" ( 2,7-8), questa supremazia, prima di Gesù, non si
è ancora avverata. L'umanità, infatti, ha sognato l'uomo nuovo,
l'uomo vero, pienamente in comunione con Dio e capace di
riscattarci. Ma ora quest'uomo c'è, con sorpresa, è nella nostra
umanità con la nostra carne ed ha condiviso con noi la nostra
realtà. Egli è Gesù, il quale ha addirittura sperimentato la
morte "a vantaggio di tutti". Così "colui che santifica e coloro
che sono santificati" fanno parte della stessa realtà umana.
Egli ci ha riconosciuti fratelli: Gesù e gli uomini. Abbiamo "in
comune il sangue e la carne" (2,14). E poiché la piena realtà
della nostra umanità comporta la fragilità e la morte, Gesù ha
accettato di sperimentare anche quelle e, in tal modo, esprime
la sua piena solidarietà non solo diventando un uomo come noi,
ma accettando anche la morte. Così Gesù, passandovi attraverso,
riduce all'impotenza il diavolo che ha in potere la morte e
libera gli uomini che erano tenuti sotto soggezione per il
timore della morte stessa. Gesù si prende cura di noi più che
degli angeli (v 16) e, per questo, è il vero sommo sacerdote che
ci mette in comunicazione con Dio in pienezza. Ha pagato con la
propria vita il prezzo del riscatto dell'umanità, ci ha liberato
dalla schiavitù nel male, facendosi uomo come noi e quindi è in
grado, veramente, nella sua comunione con Dio, "di espiare i
peccati del popolo". In tal modo egli costituisce l'assemblea
santa dei figli di Dio, che è comunità di fratelli con lui,
tutti figli dello stesso Padre.
|
Luca 2, 41-52 In quel tempo. I genitori del Signore Gesù si
recavano ogni anno a Gerusalemme per la festa di Pasqua. Quando egli ebbe
dodici anni, vi salirono secondo la consuetudine della festa. Ma, trascorsi i
giorni, mentre riprendevano la via del ritorno, il fanciullo Gesù rimase a
Gerusalemme, senza che i genitori se ne accorgessero. Credendo che egli fosse
nella comitiva, fecero una giornata di viaggio e poi si misero a cercarlo tra
i parenti e i conoscenti; non avendolo trovato, tornarono in cerca di lui a
Gerusalemme. Dopo tre giorni lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai
maestri, mentre li ascoltava e li interrogava. E tutti quelli che l’udivano
erano pieni di stupore per la sua intelligenza e le sue risposte. Al vederlo
restarono stupiti, e sua madre gli disse: «Figlio, perché ci hai fatto
questo? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo». Ed egli rispose
loro: «Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del
Padre mio?». Ma essi non compresero ciò che aveva detto loro. Scese dunque
con loro e venne a Nàzaret e stava loro sottomesso. Sua madre custodiva tutte
queste cose nel suo cuore. E Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti
a Dio e agli uomini. Il Vangelo di Luca, a conclusione dei
capitoli dell'infanzia, riporta il difficile testo di Gesù che si ferma nel
tempio, a 12 anni, senza avvisare nessuno della sua famiglia, risultando
perciò disperso. Per intendere il testo, vanno riletti gli elementi proposti,
sapendo che sono stati scritti a distanza di circa settant'anni, e dopo una
enorme maturazione e riflessione sulla figura di Gesù. Non è perciò un fatto
di cronaca che viene raccontato, ma un richiamo, all'inizio della vita adulta
di Gesù, che sintetizza tutta la vicenda della sua vita e della sua morte. È
infatti, come spesso avviene nei Vangeli, un testo carico di richiami
simbolici e teologici. Gesù, infatti, è condotto a Gerusalemme secondo
l'usanza del tempo che, per sé, prevedeva tre incontri nell'anno per ogni
ebreo maschio. Per coloro, però, che erano lontani, per i più devoti, era uso
andare a Gerusalemme almeno una volta all'anno, normalmente nel periodo della
Pasqua. Luca ricorda che, in questa occasione, Gesù ha 12 anni, e, a 12 anni,
un ragazzo era ormai prossimo a quella festa in cui il ragazzo ebreo compie
la cerimonia del "Bar miswah" (lett. "figlio del precetto") che identifica
l'ingresso nella maggior età religiosa. Così, a 13 anni, ogni ebreo diventa
religiosamente adulto ed è obbligato all‘osservanza integrale dei precetti.
Diventa così "figlio del comandamento", direttamente, senza aver più bisogno
della mediazione dei genitori Il testo è diviso in tre parti: - Io
smarrimento e il ritrovamento di Gesù (2,41-47) durante il pellegrinaggio. Il
12 tuttavia richiama anche il numero del popolo. - il dialogo tra Maria e
Gesù nel tempio (2,48-50) apre allo stupore di un ritrovamento, ma anche alla
scoperta di una saggezza imprevista. Nelle parole di Maria c'è però anche un
logico rimprovero: si riferisce alla violazione di una norma che prescriveva,
a chi non era ancora maggiorenne, di vivere nella casa paterna. Gesù invece
rivela che, stando nel tempio, non viola la legge, ma la osserva nel suo più
profondo significato: il tempio, ritenuto la casa di Dio, è la vera casa
paterna di Gesù, figlio di Dio. Giuseppe e Maria non capiscono ma accettano
in silenzio questo mistero che si svelerà via via. - la conclusione
dell'episodio e dell'infanzia di Gesù (2,51-52). Il tema di fondo,
tuttavia, è dato dalla frase dì Gesù "Non sapete che debbo essere presso il
Padre mio?" (traduzione che sembra più aderente al testo). Gesù dimostra
la sua dipendenza fondamentale dal Padre e quindi la sua consapevolezza e
chiarezza nella vocazione e nell'ubbidienza ("devo"). Eppure egli resta
sottomesso a Giuseppe e Maria. Vengono richiamati alcuni elementi già
trovati: la partenza, il ricordo di Maria, la crescita. Gesù non è a caccia
di autonomia ma esprime nella casa di Nazareth la sua volontà di amore e di
rispetto verso i genitori nell'obbedienza ed "era loro sottomesso".
L'episodio sottolinea la fondamentale vocazione di Gesù: "Essere maestro
nella Parola del Signore per individuare la volontà del Padre". Qui Gesù
adolescente stupisce per la sapienza, nel tempio, in mezzo ai sapienti. Il
testo, comunque, non presenta un ragazzo presuntuoso che vuole insegnare ai
dottori della legge, ma richiama l'atteggiamento di un giovane intelligente,
che ascolta ciò che i sapienti dicono e, desideroso di capire, pone domande.
Questo è il modello di ogni saggio che scruta le Scritture ed è, anche, il
modello di ogni discepolo che vuole conoscere. Lo stupore, che questo giovane
suscita, è per l'acutezza delle domande, per la ricerca di senso che egli
vuol porre a sé e agli altri nella vita. Dovrebbe essere un grande
insegnamento per noi che dovremmo interrogarci e interrogare molto di più e
ascoltare più profondamente. La stranezza della domanda di Gesù a Maria e
Giuseppe: "Perché mi cercavate?" pone il problema del valore della vita di
ognuno nei confronti del Signore. E l'inizio della propria maturità. Questo
ragazzo desidera, dal primo momento, ricordare che il suo rapporto con Dio è
un rapporto unico e totale. Lo scontro tra le generazioni e la ricerca della
vocazione disorientano persino la piccola e santa famiglia: non basta volersi
bene. E' sempre, comunque, difficile capirsi. C'è di mezzo un mistero di
futuro che non resiste ai nostri schemi. Eppure Maria, da una parte,
interroga e riflette in silenzio, dall'altra lei e Giuseppe non rinunciano
alle loro responsabilità di madre e di padre. Perciò Gesù ritorna nella
normalità. Ma il simbolismo si accentua nel pensare ai tre giorni di assenza
(come quelli della morte) e alla domanda: "Perché mi cercavate?" che
corrisponde a quella degli angeli nella risurrezione: "Perché cercate tra i
morti colui che è vivo?" (24,5). Questo brano che, come spesso molti brani di
Luca, è una sintesi della vita di Gesù, può diventare anche un bellissimo
testo di riflessione sul nostri metodi educativi e sulle attese che abbiamo
verso i figli e le nuove generazioni che crescono.
|