
VI DOMENICA DOPO PENTECOSTE 1 luglio 2018
Matteo 11, 27-30
Riferimenti : Esodo 3, 1-15 - Samol 67 - Prima lettera
ai Corinzi 2, 1-7 |
Cantate a Dio, inneggiate al suo nome, appianate
la strada a colui che cavalca le nubi: Signore è il suo nome,
esultate davanti a lui. O Dio, quando uscivi davanti al tuo
popolo, quando camminavi per il deserto, tremò la terra, i cieli
stillarono davanti a Dio, quello del Sinai, |
Esodo 3, 1-15 In quei giorni.
Mentre Mosè stava pascolando il gregge di Ietro,
suo suocero, sacerdote di Madian, condusse il
bestiame oltre il deserto e arrivò al monte di
Dio, l’Oreb. L’angelo del Signore gli apparve in
una fiamma di fuoco dal mezzo di un roveto. Egli
guardò ed ecco: il roveto ardeva per il fuoco,
ma quel roveto non si consumava. Mosè pensò:
«Voglio avvicinarmi a osservare questo grande
spettacolo: perché il roveto non brucia?». Il
Signore vide che si era avvicinato per guardare;
Dio gridò a lui dal roveto: «Mosè, Mosè!».
Rispose: «Eccomi!». Riprese: «Non avvicinarti
oltre! Togliti i sandali dai piedi, perché il
luogo sul quale tu stai è suolo santo!». E
disse: «Io sono il Dio di tuo padre, il Dio di
Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe».
Mosè allora si coprì il volto, perché aveva
paura di guardare verso Dio. Il Signore disse:
«Ho osservato la miseria del mio popolo in
Egitto e ho udito il suo grido a causa dei suoi
sovrintendenti: conosco le sue sofferenze. Sono
sceso per liberarlo dal potere dell’Egitto e per
farlo salire da questa terra verso una terra
bella e spaziosa, verso una terra dove scorrono
latte e miele, verso il luogo dove si trovano il
Cananeo, l’Ittita, l’Amorreo, il Perizzita,
l’Eveo, il Gebuseo. Ecco, il grido degli
Israeliti è arrivato fino a me e io stesso ho
visto come gli Egiziani li opprimono. Perciò
va’! Io ti mando dal faraone. Fa’ uscire
dall’Egitto il mio popolo, gli Israeliti!». Mosè
disse a Dio: «Chi sono io per andare dal faraone
e fare uscire gli Israeliti dall’Egitto?».
Rispose: «Io sarò con te. Questo sarà per te il
segno che io ti ho mandato: quando tu avrai
fatto uscire il popolo dall’Egitto, servirete
Dio su questo monte». Mosè disse a Dio: «Ecco,
io vado dagli Israeliti e dico loro: “Il Dio dei
vostri padri mi ha mandato a voi”. Mi diranno:
“Qual è il suo nome?”. E io che cosa risponderò
loro?». Dio disse a Mosè: «Io sono colui che
sono!». E aggiunse: «Così dirai agli Israeliti:
“Io-Sono mi ha mandato a voi”». Dio disse ancora
a Mosè: «Dirai agli Israeliti: “Il Signore, Dio
dei vostri padri, Dio di Abramo, Dio di Isacco,
Dio di Giacobbe mi ha mandato a voi”. Questo è
il mio nome per sempre; questo è il titolo con
cui sarò ricordato di generazione in
generazione». Mosè, che è
cresciuto alla corte del Faraone, ha preso
coscienza della sua appartenenza al popolo
schiavo degli ebrei che lavora per i dominatori,
e quindi vive con sofferenza il dover assistere
alla violenza, all'ingiustizia ed alla
sopraffazione della classe dirigente a cui egli
stesso appartiene. Mentre è ancora famoso in
autorevolezza, perché appartenente alla corte,
si intromette in un episodio di lavoro dove il
sovrintendente egiziano maltratta uno schiavo
ebreo. Mosè, che ne ha preso le difese, arriva
ad uccidere l'aggressore (Es 1,11-15). Ma
quando, il giorno dopo, capisce che l'omicidio è
stato scoperto e lo si incolpa, ormai, quasi
pubblicamente, ha paura e fugge mettendosi in
salvo nel deserto. Là si forma la sua famiglia,
si inserisce nella cultura del luogo, accetta
limiti e si guadagna la sua tranquillità. Ma Dio
lo scuote. Davanti all'ingiustizia non si può
restare in pace. "Vai a liberare il popolo
poiché è il popolo di Abramo, Isacco e Giacobbe,
amici a cui ho garantito protezione per loro e i
loro discendenti!" Dio ha bisogno di
collaboratori e sembra che ad essi offra poco.
Ma è un rapporto di amici, non un rapporto
commerciale.: "Una presenza nel roveto che
brucia senza consumarsi; la garanzia che Mosè
riuscirà a vincere la resistenza del Faraone e
che tornerà con il popolo a celebrare proprio su
quel monte il ringraziamento; infine una
concessione inimmaginabile: Dio svela il suo
Nome, tanto misterioso quanto impronunciabile. E
gli ebrei non diranno mai il tetragramma sacro:
YHWH, perché pronunciarlo è come concretizzarlo,
renderlo cosa o idolo, possesso e potere sul
Nome. |
Prima lettera ai Corinzi 2, 1-7
Anch’io, fratelli, quando venni tra voi, non mi presentai ad
annunciarvi il mistero di Dio con l’eccellenza della parola o
della sapienza. Io ritenni infatti di non sapere altro in mezzo
a voi se non Gesù Cristo, e Cristo crocifisso. Mi presentai a
voi nella debolezza e con molto timore e trepidazione. La mia
parola e la mia predicazione non si basarono su discorsi
persuasivi di sapienza, ma sulla manifestazione dello Spirito e
della sua potenza, perché la vostra fede non fosse fondata sulla
sapienza umana, ma sulla potenza di Dio. Tra coloro che sono
perfetti parliamo, sì, di sapienza, ma di una sapienza che non è
di questo mondo, né dei dominatori di questo mondo, che vengono
ridotti al nulla. Parliamo invece della sapienza di Dio, che è
nel mistero, che è rimasta nascosta e che Dio ha stabilito prima
dei secoli per la nostra gloria. Paolo ripensa,
mentre scrive la sua lettera, al primo impatto che ha avuto in
questa comunità cristiana greca in cui, tuttavia, si è fermato 3
anni circa. E' arrivato intimidito, incapace di discorsi
sublimi, portatore di un messaggio che, senz'altro, è una pazzia
proporre, poiché nel mondo greco bisogna offrire esempi di
sapienza e non la parola di "un barbaro" (così sono considerati
gli ebrei), in più rifiutato dai suoi stessi compatrioti e
giustiziato. E tuttavia Paolo non si scoraggia poiché i primi
incontri sono con persone semplici, di umili origini, che non
contano molto nella società:26Considerate infatti la vostra
chiamata, fratelli: non ci sono fra voi molti sapienti dal punto
di vista umano, né molti potenti, né molti nobili" (1,26). Sono
i disprezzati e Paolo vi vede il segno della predilezione di
Dio. Una proposta assurda, partita da un apostolo senza
particolari qualità oratorie e anzi mal giudicato, se Paolo
stesso, in un'altra lettera ai Corinzi ( la seconda), così
sintetizza il giudizio che circola su di lui: "Le sue lettere
sono dure e forti, ma la sua presenza fisica è debole e la sua
capacità di fare discorsi è modesta " (2Cor10,10).
|
Matteo
11, 27-30 In quel tempo. Il Signore Gesù disse: «Tutto è stato dato a me
dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce
il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo. Venite
a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. Prendete
il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore,
“e troverete ristoro per la vostra vita”. Il mio giogo infatti è dolce e il
mio peso leggero». Matteo costruisce nel suo Vangelo la
traccia di un orizzonte che, in un primo tempo ha sperato che manifestasse i
trionfi di Gesù in Galilea. Invece, dopo i primi entusiasmi, Gesù incontra il
rifiuto della Parola e del suo Vangelo. Così, nei due capitoli 11-12 vengono
elencate le difficoltà. In questa caduta di risultati, però, diventa
sconcertante la preghiera di ringraziamento al Padre e lo svelarsi del Regno,
pur nella sconfitta. - Perplessità del Battista che si interroga sulla sua
profezia circa le scelte di Gesù: 11,2-19; - l'opposizione della città del
lago: 12,20-24; - "i piccoli" aderiscono a Cristo: 11,25-30; -
contestazione a Gesù sulla sua interpretazione del riposo sabbatico: 12,1-14;
- Gesù (come il servo di Is 42,1-4) non demolisce né chiude con gli
oppositori; si ritira: 12,15-21: - accuse a Gesù di intesa con satana:
12,22-45; - la nuova famiglia: 12,46-50. Gesù non si spaventa né si
rammarica. Quello che dice è all'interno di una "benedizione" di lode al
Padre come usa fare ogni buon israelita: "Ti rendo lode." Corrisponde al "Sto
vivendo la tua logica e la tua volontà, Padre. Lo verifico mentre tu
costruisci un rapporto con la speranza dei piccoli che non sono sapienti né
intelligenti". Gesù non fa l'elogio della ignoranza. Ognuno deve maturare la
propria sapienza. Ma proprio questa deve aiutarci ad incontrare il Signore,
le sue scelte di libertà e i nostri compagni di viaggio che sono i piccoli.
Anzi ci chiede di farci umili e poveri. E questa è la vera sapienza. Se
invece la tua sapienza ti costruisce un piedestallo, la tua religiosità e la
tua costruzione diventano complesse, caotiche, oppressive, indegne del dono
di Dio. Ti costruisci un giogo che uccide e angoscia. Con questa religiosità
non incontri più Dio. La legge di Dio è un giogo. Il Siracide ne parla in una
raccomandazione al figlio: "Introduci i tuoi piedi nei suoi ceppi, il tuo
collo nella sua catena. Piega la tua spalla e portala, non infastidirti dei
suoi legami. Avvicinati ad essa con tutta l'anima e con tutta la tua forza
osserva le sue vie. |