IX DOMENICA DOPO PENTECOSTE
22 luglio 2018
Marco 8, 34-38

Riferimenti v :secondo libro di Samuele 6, 12b-2 - Salmo 131 - Prima lettera ai Corinzi 1, 25-31
Ricòrdati, Signore, di Davide, quando giurò al Signore: «Non entrerò nella tenda in cui abito, non mi stenderò sul letto del mio riposo, finché non avrò trovato un luogo per il Signore, una dimora per il Potente di Giacobbe».

secondo libro di Samuele 6, 12b-22
In quei giorni. Davide andò e fece salire l’arca di Dio dalla casa di Obed-Edom alla Città di Davide, con gioia. Quando quelli che portavano l’arca del Signore ebbero fatto sei passi, egli immolò un giovenco e un ariete grasso. Davide danzava con tutte le forze davanti al Signore. Davide era cinto di un efod di lino. Così Davide e tutta la casa d’Israele facevano salire l’arca del Signore con grida e al suono del corno. Quando l’arca del Signore entrò nella Città di Davide, Mical, figlia di Saul, guardando dalla finestra vide il re Davide che saltava e danzava dinanzi al Signore e lo disprezzò in cuor suo. Introdussero dunque l’arca del Signore e la collocarono al suo posto, al centro della tenda che Davide aveva piantato per essa; Davide offrì olocausti e sacrifici di comunione davanti al Signore. Quando ebbe finito di offrire gli olocausti e i sacrifici di comunione, Davide benedisse il popolo nel nome del Signore degli eserciti e distribuì a tutto il popolo, a tutta la moltitudine d’Israele, uomini e donne, una focaccia di pane per ognuno, una porzione di carne arrostita e una schiacciata di uva passa. Poi tutto il popolo se ne andò, ciascuno a casa sua. Davide tornò per benedire la sua famiglia; gli uscì incontro Mical, figlia di Saul, e gli disse: «Bell’onore si è fatto oggi il re d’Israele scoprendosi davanti agli occhi delle serve dei suoi servi, come si scoprirebbe davvero un uomo da nulla!». Davide rispose a Mical: «L’ho fatto dinanzi al Signore, che mi ha scelto invece di tuo padre e di tutta la sua casa per stabilirmi capo sul popolo del Signore, su Israele; ho danzato davanti al Signore. Anzi mi abbasserò anche più di così e mi renderò vile ai tuoi occhi, ma presso quelle serve di cui tu parli, proprio presso di loro, io sarò onorato!».


Di Davide conosciamo anzitutto la sua giovanile impresa di vincere, lui inesperto ragazzo, la tracotanza di Golia: “Ti vieni a me con la spada, con la lancia e con l’asta. Io vengo a te nel nome del Signore degli eserciti, Dio delle schiere di Israele, che tu hai sfidato (1Sam 17,45). La sua forza sta nel nome di Dio. Tutta la Bibbia, dall’impresa dell’Esodo alle conquiste di Israele, sottolinea l’agire prevalente di Dio; come, a partire da Mosè a tutti i profeti, la loro azione è sotto l’influsso di Dio. Il gesto ricordato oggi di un Davide tutto gioioso per aver dato una casa al suo Dio, esprime la sua umiltà e la sua grande stima per Colui che dal gregge l’aveva chiamato a divenire re di Israele. Riconosce che tutta la sua grandezza sta nella iniziativa di Dio. Dal nulla Dio ha chiamato Davide. Addirittura dall’essere persecutore della Chiesa, il Signore ha chiamato Paolo a divenire apostolo. “Io infatti sono il più piccolo tra gli apostoli e non sono degno di essere chiamato apostolo perché ho perseguitato la Chiesa di Dio. Per grazia di Dio, però, sono quello che sono” (1Cor 15,9-10). Paolo ha ben coscienza, e diviene il suo messaggio centrale, che Dio ha scelto lui per pura misericordia perché la sua stessa vicende parlasse della gratuità e magnanimità di Dio: “Cristo è venuto nel mondo per salvare i peccatori, il primo dei quali sono io. Ma appunto per questo ho ottenuto misericordia, perché Cristo Gesù ha voluto in me, per primo, dimostrare tutta quanta la sua magnanimità, e io fossi di esempio a quelli che avrebbero creduto in lui per avere la vita eterna” (1Tm 1,15-16).

Prima lettera ai Corinzi 1, 25-31
Fratelli, ciò che è stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini, e ciò che è debolezza di Dio è più forte degli uomini. Considerate infatti la vostra chiamata, fratelli: non ci sono fra voi molti sapienti dal punto di vista umano, né molti potenti, né molti nobili. Ma quello che è stolto per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i sapienti; quello che è debole per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i forti; quello che è ignobile e disprezzato per il mondo, quello che è nulla, Dio lo ha scelto per ridurre al nulla le cose che sono, perché nessuno possa vantarsi di fronte a Dio. Grazie a lui voi siete in Cristo Gesù, il quale per noi è diventato sapienza per opera di Dio, giustizia, santificazione e redenzione, perché, come sta scritto, «chi si vanta, si vanti nel Signore».

Paolo affronta il problema delle divisioni fra i cristiani di Corinto proponendo loro, come base della loro vita comunitaria, la sapienza di Dio che si è manifestata nella croce di Cristo (cfr. 1,18 - 3,4). Anzitutto egli ha dimostrato che in questa sapienza è espressa al massimo grado la potenza di Dio, anche se è considerata dagli uomini come stoltezza e debolezza (1,18-25). Questa affermazione viene poi confermata e illustrata mediante due esempi tratti dall’esperienza diretta dei corinzi: la configurazione stessa della comunità di Corinto (1,26-31) e le modalità con cui Paolo ha predicato Cristo (2,1-5). Nel presente testo liturgico si prende in considerazione il primo di questi due esempi, quello tratto dalla configurazione stessa della comunità. Paolo si introduce con queste parole: «Considerate infatti la vostra chiamata, fratelli: non ci sono fra voi molti sapienti dal punto di vista umano, né molti potenti, né molti nobili» (v. 26). L’efficacia straordinaria dell’intervento divino in Cristo crocifisso si manifesta in una realtà che è sotto gli occhi di tutti, cioè il loro essere comunità. I corinzi possono rendersene conto personalmente in quanto appartengono precisamente a quei chiamati per i quali Cristo è potenza e sapienza di Dio (cfr. v. 24). Per loro è sufficiente considerare la propria «chiamata» (klêsis), cioè guardare a se stessi in quanto oggetto della chiamata divina. «Dal punto di vista umano» (kata sarka, secondo la carne) non ci sono tra loro «molti sapienti, né molti potenti, né molti nobili»: salva qualche eccezione, nessuno di loro si distingue come cultura, potere e nascita. Da questa constatazione Paolo ricava questa conclusione: «Ma quello che è stolto per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i sapienti; quello che è debole per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i forti; quello che è ignobile e disprezzato per il mondo, quello che è nulla, Dio lo ha scelto per ridurre al nulla le cose che sono» (vv. 27-28). Dio ha voluto scegliere proprio ciò che nel mondo è disprezzato, «le cose che non sono» (ta mê onta) per ridurre al nulla «le cose che sono» (ta onta): così facendo ha capovolto i criteri di questo mondo e ha realizzato la salvezza dichiarando l’impotenza e il fallimento di tutti i progetti umani basati sull’esercizio del potere.



 

Marco 8, 34-38
In quel tempo. Convocata la folla insieme ai suoi discepoli, il Signore Gesù disse loro: «Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo, la salverà. Infatti quale vantaggio c’è che un uomo guadagni il mondo intero e perda la propria vita? Che cosa potrebbe dare un uomo in cambio della propria vita? Chi si vergognerà di me e delle mie parole davanti a questa generazione adultera e peccatrice, anche il Figlio dell’uomo si vergognerà di lui, quando verrà nella gloria del Padre suo con gli angeli santi».


La liturgia ci offre tre indicazioni per vivere il nostro discepolato: gioia, debolezza e nello stesso tempo coraggio. Elementi che fanno in modo che il discepolo di Gesù diventi santo perché la santità è di tutti i discepoli in forza del Battesimo. La santità è la vocazione comune di tutti i battezzati. La gioia è l'elemento forte che spinge Davide a danzare per la vittoria dei Filistei e per aver riconquistato l'Arca dell'Alleanza. Lo spinge a vincere quei timori umani e riflettendo su questo brano mi risuona quello che Papa Francesco esprime nella recente esortazione apostolica Gaudete et Exultate. Il santo è capace di vivere con gioia e senso dell'umorismo e senza perdere il realismo, illumina gli altri con uno spirito positivo e ricco di speranza. Il malumore non è un segno di santità. A volte la tristezza può essere segno di ingratitudine nei confronti di Dio. Questo elemento ha caratterizzato la vita di Santi come Giovanni Bosco o Domenico Savio che attingono dalla spiritualità di Filippo Neri, San Tommaso Moro che non perde la nota gioiosa neanche nel momento del martirio. Una grande lezione ci offre Davide nella consapevolezza come affermava Don Bosco: La gioia è un dono di Dio, la più bella creatura uscita, dalle mani di Dio, dopo l'amore. Chi non è abitato dalla gioia ha doppi fini da mostrare. Mical non è che si vergogna del re nudo, ma prova rabbia perché il padre Saul l'aveva data in moglie a Davide e questi non le aveva dato un figlio e Lei sarebbe stata più importante di Davide in quanto discendente di Saul. La frustrazione che porta Mical le fa dire che non è in grado di fare il re. D'altra parte il demonio è geloso della gioia che abita l'uomo di fede. Davide riconosce il primato di Dio. Un Dio che entra nella storia sconvolgendo tutte le nostre visioni di grandezza.