
DOMENICA DOPO L’ASCENSIONE VII di Pasqua
13 maggio 2018
Giovanni 17, 11-19
Riferimenti : Atti degli Apostoli 1, 15-26 - Sal 138 -
Prima lettera a Timòteo 3, 14-16 |
Signore, tu mi scruti e mi conosci, ti sono note
tutte le mie vie. Sei tu che hai formato i miei reni e mi hai
tessuto nel grembo di mia madre. |
Atti degli Apostoli 1, 15-26 In
quei giorni Pietro si alzò in mezzo ai fratelli – il
numero delle persone radunate era di circa centoventi – e
disse: «Fratelli, era necessario che si compisse ciò che nella
Scrittura fu predetto dallo Spirito Santo per bocca di Davide
riguardo a Giuda, diventato la guida di quelli che arrestarono
Gesù. Egli infatti era stato del nostro numero e aveva avuto in
sorte lo stesso nostro ministero. Giuda dunque comprò un campo
con il prezzo del suo delitto e poi, precipitando, si squarciò e
si sparsero tutte le sue viscere. La cosa è divenuta nota a
tutti gli abitanti di Gerusalemme, e così quel campo, nella loro
lingua, è stato chiamato Akeldamà, cioè “Campo del sangue”. Sta
scritto infatti nel libro dei Salmi: / “La sua dimora diventi
deserta / e nessuno vi abiti, / e il suo incarico lo prenda un
altro”. Bisogna dunque che, tra coloro che sono stati con noi
per tutto il tempo nel quale il Signore Gesù ha vissuto fra noi,
cominciando dal battesimo di Giovanni fino al giorno in cui è
stato di mezzo a noi assunto in cielo, uno divenga testimone,
insieme a noi, della sua risurrezione». Ne proposero due:
Giuseppe, detto Barsabba, soprannominato Giusto, e Mattia. Poi
pregarono dicendo: «Tu, Signore, che conosci il cuore di tutti,
mostra quale di questi due tu hai scelto per prendere il posto
in questo ministero e apostolato, che Giuda ha abbandonato per
andarsene al posto che gli spettava». Tirarono a sorte fra loro
e la sorte cadde su Mattia, che fu associato agli undici
apostoli.
Luca racconta il clima e gli avvenimenti che si
sono sviluppati nei 10 giorni tra l'ascensione e
la Pentecoste. Sono giorni di attesa e di
perplessità, perché gli apostoli non hanno
delineato un loro futuro e continuano a sentirsi
deboli e incapaci di qualunque progetto. E
tuttavia restano fedeli a ciò che Gesù aveva
loro chiesto: quello di attendere. La loro è
un'attesa vivace, coerente, fiduciosa. E' un
tempo che trascorre nella preghiera con Maria e
nella riflessione sui fatti e sulle parole di
Gesù. Il testo che abbiamo letto si divide in
due parti, concatenate tra loro, poiché lo scopo
è quello di ricostituire il gruppo dei dodici.
Si parla, prima, della morte di Giuda per poi
procedere alla sua sostituzione. E l'iniziativa
è nelle mani di Pietro che viene riconosciuto,
senza nessuna perplessità, come il responsabile
del gruppo degli apostoli. Il numero di
credenti, 120 persone, possono essere il
richiamo per avere la garanzia di un sinedrio
locale o possono riferirsi al fatto che, per
costituire una comunità di preghiera, bisogna
che ci siano almeno 10 uomini. In questo caso i
10 uomini sono moltiplicati per 12 cosicché ogni
apostolo può ricostituire un luogo di preghiera.
Ma Paolo parla di almeno 500 persone che hanno
visto insieme Gesù in Galilea. (1Cor 15,6). Può
voler dire che a Gerusalemme non ci sono tutti i
credenti in Gesù ma molti sono in Galilea e che
probabilmente si è costituita una sinagoga a
parte un seno al giudaismo nella stessa
Gerusalemme. Si parla qui di una compravendita
che Giuda avrebbe fatto del campo in cui si è
impiccato mentre Matteo (27,3) ricorda, ed è più
probabile, che la compravendita sia stata fatta
dal sinedrio, in un secondo tempo, con i trenta
danari del tradimento, e che quindi il campo è
diventato cimitero degli empi. La differenza può
dipendere proprio dal richiamo del salmo 69,26:
"La sua dimora diventi deserta". E alcuni
particolari raccapriccianti (v18) si ricollegano
alla credenza di allora che il ventre degli empi
diventa la casa dei demoni. |
Prima lettera a Timòteo 3, 14-16
Carissimo, ti scrivo tutto questo nella speranza di venire
presto da te; ma se dovessi tardare, voglio che tu sappia come
comportarti nella casa di Dio, che è la Chiesa del Dio vivente,
colonna e sostegno della verità. Non vi è alcun dubbio che
grande è il mistero della vera religiosità: / egli fu
manifestato in carne umana / e riconosciuto giusto nello
Spirito, / fu visto dagli angeli / e annunciato fra le genti, /
fu creduto nel mondo / ed elevato nella gloria.
Timoteo entra in gioco nel secondo viaggio missionario di Paolo
a Listra. Convertitosi, acquista un suo ruolo di particolare
importanza nella collaborazione con Paolo ed è, insieme a lui,
alla fondazione delle chiese di Filippi e di Tessalonica mentre
è inviato in missione per pacificare gli animi in alcune
comunità in difficoltà. Ad Efeso è responsabile della comunità
cristiana. Il breve testo che leggiamo oggi, tratto dalla
lettera a lui indirizzata, è una sintesi di particolare rilievo
sul compito della Chiesa. Viene chiamato con termine greco
(Ecclesia) che, per sé, identifica un'assemblea civile.
Probabilmente per questo si aggiunge la specificazione: "Chiesa
del Dio vivente" e a questa va collegata la denominazione
"l'assemblea del Signore" (espressione molto vicina alla
tradizione ebraica). E si utilizza il termine "casa" che, nello
stesso tempo, richiama il tempio, e una struttura spirituale, ma
anche "famiglia" e "società" in cui i credenti in Gesù si
radunano e si sentono uniti in fraternità. Poiché la città di
riferimento sembra essere Efeso, Paolo deve avere ancora nelle
orecchie le grida dei pagani di Efeso nella rivolta contro di
lui: "Grande Artemide degli Efesini" (atti 19,28). E qui si dice
che la formula cristiana è il " grande è il mistero della vera
religiosità" cioè di segno di Dio, prima nascosto ora rivelato,
che Cristo è Salvatore di ogni uomo e donna. Paolo sintetizza
la verità rivelata da Dio, "sostenuta dalla Chiesa di Dio,
colonna e sostegno della verità".
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Giovanni
17, 11-19 In quel tempo. Il Signore Gesù disse:
«Padre, io non sono più nel mondo; essi invece sono nel mondo, e io vengo a
te. Padre santo, custodiscili nel tuo nome, quello che mi hai dato, perché
siano una sola cosa, come noi. Quand’ero con loro, io li custodivo nel tuo
nome, quello che mi hai dato, e li ho conservati, e nessuno di loro è andato
perduto, tranne il figlio della perdizione, perché si compisse la Scrittura.
Ma ora io vengo a te e dico questo mentre sono nel mondo, perché abbiano in
se stessi la pienezza della mia gioia. Io ho dato loro la tua parola e il
mondo li ha odiati, perché essi non sono del mondo, come io non sono del
mondo. Non prego che tu li tolga dal mondo, ma che tu li custodisca dal
Maligno. Essi non sono del mondo, come io non sono del mondo. Consacrali
nella verità. La tua parola è verità. Come tu hai mandato me nel mondo, anche
io ho mandato loro nel mondo; per loro io consacro me stesso, perché siano
anch’essi consacrati nella verità». Giovanni, alla fine
dell'ultima cena, nel suo Vangelo, ci offre "La preghiera sacerdotale" in cui
Gesù esprime il significato del suo cammino, il valore della sua offerta
mentre chiede la custodia dei suoi amici. L'interlocutore è il Padre, a cui
Gesù si rivolge, ma è un pregare ad alta voce per cui interlocutori sono
anche i discepoli. Così questa preghiera è, nello stesso tempo,
coinvolgimento e catechesi, comunione col Padre e scoperta della vita di Gesù
e della propria vocazione.. E se tutti hanno atteso l'intervento di Dio che
schiodasse Gesù dalla croce, per poter così riconoscere che davvero le parole
di Gesù erano le parole di un giusto, Gesù sa che deve consumare fino in
fondo la sua umiliazione e accettare l'equivoco delle attese che tutti, anche
i discepoli, si portano dentro. Gesù sa che solo così viene dimostrata la
garanzia dell'amore fedele di Dio e suo, per cui nulla e nessuno più, nella
storia, potranno farlo retrocedere. E l'opera del Figlio è quella di offrire
la propria vita per tutti coloro che il Padre gli ha affidato. Glorificazione
è riconoscimento, è richiesta di intervento nonostante la maledizione che il
Calvario e la croce comportano per sé e per la propria opera. La gloria è
garanzia, è riconoscimento totale delle scelte di Dio, è intervento nuovo e
impensabile che però passa attraverso la croce, esplodendo nella risurrezione
(17,1-5). A questo punto il dialogo con il Padre si apre sulla scelta e sulla
protezione degli "uomini che mi hai dato dal mondo". Gesù ha accettato il suo
ruolo, li ha accolti dalle mani del Padre, e quindi prega per loro. Gesù
prega il Padre per i credenti, cioè coloro che hanno avuto il dono di
riconoscere in lui il Figlio. Così essi fanno parte della famiglia del Padre,
e quindi ad essi è affidata la continuazione dell'opera iniziata nella
glorificazione del Padre e del Figlio. Gesù visibilmente esce
dall'orizzonte umano e nel mondo visibile resta la sua comunità.
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