 IV di Quaresima
11 marzo 2018 Giovanni 9, 1-38b
Riferimenti : Esodo 33, 7-11asalmo 35 - Prima
Tessalonicesi 4, 1b-12 |
Signore, il tuo amore è nel cielo, la tua
fedeltà fino alle nubi, la tua giustizia è come le più alte
montagne, il tuo giudizio come l’abisso profondo: uomini e
bestie tu salvi, Signore. |
Esodo 33, 7-11a In quei giorni.
Mosè prendeva la tenda e la piantava fuori
dell’accampamento, a una certa distanza
dall’accampamento, e l’aveva chiamata tenda del
convegno; appunto a questa tenda del convegno,
posta fuori dell’accampamento, si recava
chiunque volesse consultare il Signore. Quando
Mosè usciva per recarsi alla tenda, tutto il
popolo si alzava in piedi, stando ciascuno
all’ingresso della sua tenda: seguivano con lo
sguardo Mosè, finché non fosse entrato nella
tenda. Quando Mosè entrava nella tenda, scendeva
la colonna di nube e restava all’ingresso della
tenda, e parlava con Mosè. Tutto il popolo
vedeva la colonna di nube, che stava
all’ingresso della tenda, e tutti si alzavano e
si prostravano ciascuno all’ingresso della
propria tenda. Il Signore parlava con Mosè
faccia a faccia, come uno parla con il proprio
amico. Questo capitolo unisce
insieme diverse tradizioni, ma il brano che
stiamo leggendo sembra essere il nucleo più
antico in cui confluiscono grandi e drammatiche
scelte che Dio e Mosè, in reciproca sincerità,
proporranno, arrivando quindi ad un accordo. Dio
dice: "Su, esci di qui tu e il popolo... Ma io
non verrò in mezzo a te..." (33,1). E' un
intervento molto duro di Dio che sembra quasi,
"scaricare" il suo popolo. Si, è vero: la
promessa rimane e la terra resta all'orizzonte
la méta del cammino del popolo, ma... "Io non
verrò in mezzo a te". "Manderò davanti a te un
angelo" (33,2). E' una terribile novità! Dio
dice: "Va' pure verso la terra dove scorrono
latte e miele. Ma io non verrò in mezzo a te,
per non doverti sterminare lungo il cammino,
perché tu sei un popolo di dura cervice» (33,3).
"Il popolo udì questa triste notizia e tutti
fecero lutto: nessuno più indossò i suoi
ornamenti (33,4). "Tutti fecero lutto e si
spogliarono dei loro ornamenti...". La reazione
del popolo alla notizia è il lutto - qui
espresso attraverso un verbo che indica un
profondo dolore per la perdita di una persona
particolarmente cara - e lo spogliarsi degli
ornamenti. In precedenza, per costruire il
vitello d'oro era stata fatta una colletta
forzata di raccolta. Adesso è un gesto spontaneo
che indica la presa di coscienza del proprio
peccato, il rimorso per quanto è avvenuto;
dimostra di avere a cuore quel Dio che, in un
momento di tenebra, il popolo ha abbandonato. La
tenda diventa garanzia e segno di un patto che
si rinnova giorno per giorno tra Dio e il
popolo. Mosè è riuscito a porre una mediazione
ed ha ottenuto che il Signore li accompagni,
abbandonando la delega dell'angelo. La tenda
diventa anche luogo di consultazione del popolo.
Non si dice come avviene la mediazione con il
Signore, ma c'è un dialogo, un porgere
interrogativi e un ascoltare soluzioni. E' la
tenda dell'incontro e delle scelte, della
reciproca presenza e dell'ascolto. Si parla, ci
si ascolta e si decide nella tenda del convegno
che è anche la tenda delle scelte che vengono
fatte dal popolo via via che si sposta nel
deserto, da un posto ad un altro. E' una tenda
molto semplice, ad una certa distanza
dall'accampamento, adatta per un colloquio
personale e privato tra Dio e Mosè. E qui, nel
testo letto (Es 33,7-11), aengono ricordati i
segni di rispetto, la devozione, la trepidazione
e il pudore nel seguire i movimenti dei propri
rappresentanti, attenti a voler cogliere tutto
ed a sfiorare con discrezione il mistero che si
svolge sotto i propri occhi.C'è qui uno dei rari
testi antichi che parlano della tenda: essa è il
luogo del «convegno» di YHWH con Mosè e il
popolo (Nm 11,16s;12,4-10; cf.Es 29,42-43;Lv
1,1). Ed è verosimile che la tenda del deserto
fosse il santuario dell'arca, e Giosuè vi fosse
addetto (33,11).
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Prima Tessalonicesi 4, 1b-12
Fratelli, vi preghiamo e supplichiamo nel Signore Gesù affinché,
come avete imparato da noi il modo di comportarvi e di piacere a
Dio – e così già vi comportate –, possiate progredire ancora di
più. Voi conoscete quali regole di vita vi abbiamo dato da parte
del Signore Gesù. Questa infatti è volontà di Dio, la vostra
santificazione: che vi asteniate dall’impurità, che ciascuno di
voi sappia trattare il proprio corpo con santità e rispetto,
senza lasciarsi dominare dalla passione, come i pagani che non
conoscono Dio; che nessuno in questo campo offenda o inganni il
proprio fratello, perché il Signore punisce tutte queste cose,
come vi abbiamo già detto e ribadito. Dio non ci ha chiamati
all’impurità, ma alla santificazione. Perciò chi disprezza
queste cose non disprezza un uomo, ma Dio stesso, che vi dona il
suo santo Spirito.Riguardo all’amore fraterno, non avete bisogno
che ve ne scriva; voi stessi infatti avete imparato da Dio ad
amarvi gli uni gli altri, e questo lo fate verso tutti i
fratelli dell’intera Macedonia. Ma vi esortiamo, fratelli, a
progredire ancora di più e a fare tutto il possibile per vivere
in pace, occuparvi delle vostre cose e lavorare con le vostre
mani, come vi abbiamo ordinato, e così condurre una vita
decorosa di fronte agli estranei e non avere bisogno di nessuno.
Paolo è preoccupato della situazione della comunità di
Tessalonica, a cui è molto affezionato, anche perché, per lui,
è, insieme, la prima grossa esperienza missionaria e la prova di
un confronto con il mondo greco a cui egli vuole arrivare ad
annunciare la fede di Gesù. Lo fa, iniziando dalla comunità
ebraica ivi insediata, e quindi, con l'esperienza fatta ad
Antiochia, ha la speranza di potere incontrare il mondo greco.
Egli sa che ci sono tante persone disponibili a Gesù, ma che non
possono incontrarlo se non lo conoscono. La fuga precipitosa di
Paolo, da Tessalonica, per il pericolo della sua vita, ha
lasciato lo stesso Paolo deluso per l'opera solo da poco
iniziata. E', quindi, molto preoccupato. Ha atteso notizie da
Timoteo che aveva mandato per conoscere gli sviluppi e questa
lettera è anche un ringraziamento gioioso e sereno per le
informazioni ricevute. "Questa infatti è volontà di Dio, la
vostra santificazione: che vi asteniate dall'impurità, che
ciascuno di voi sappia trattare il proprio corpo con santità e
rispetto, senza lasciarsi dominare dalla passione, come i pagani
che non conoscono Dio" (vv3-5). La volontà di Dio per a
santificazione dei credenti aiuta a superare la dissolutezza
propria di un mondo che dimentica totalmente comportamenti
sessuali corretti. Per questo motivo viviamo su una terra dove
c'è libero corso per gli istinti passionali senza rispetto e
senza limiti. In questa mentalità corre un grande pericolo il
matrimonio, e in tal modo viene profanata ogni fedeltà ed
ingannato "il proprio fratello" a cui si sottrae la madre o la
sposa. Una irresponsabilità, una mancanza di rispetto delle
scelte fondamentali di altri, l'assalire il prossimo con
richieste suggestive, attentando i diritti che non rispettano la
condizione di impegno e di giustizia che ciascuno ha assunto nel
suo vissuto, producono danni enormi. Si può sempre portare la
scusa di superficialità, di non aver agito con malizia, di non
averci pensato, di non sapere e tuttavia, nel mondo, si
smantella, attraverso una rete intricata di debolezze, la
santificazione di vita e si ha, come risultato, una infedeltà
nel clima di collaborazione di sostegno e mancanza di
responsabilità reciproca, di rispetto e di accoglienza.
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Piscina di Siloe |
Giovanni 9, 1-38b In quel tempo. Passando, il Signore Gesù
vide un uomo cieco dalla nascita e i suoi discepoli lo interrogarono: «Rabbì,
chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché sia nato cieco?». Rispose Gesù:
«Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è perché in lui siano manifestate
le opere di Dio. Bisogna che noi compiamo le opere di colui che mi ha mandato
finché è giorno; poi viene la notte, quando nessuno può agire. Finché io sono
nel mondo, sono la luce del mondo». Detto questo, sputò per terra, fece del
fango con la saliva, spalmò il fango sugli occhi del cieco e gli disse: «Va’
a lavarti nella piscina di Sìloe» – che significa Inviato. Quegli andò, si
lavò e tornò che ci vedeva. Allora i vicini e quelli che lo avevano visto
prima, perché era un mendicante, dicevano: «Non è lui quello che stava seduto
a chiedere l’elemosina?». Alcuni dicevano: «È lui»; altri dicevano: «No, ma è
uno che gli assomiglia». Ed egli diceva: «Sono io!». Allora gli domandarono:
«In che modo ti sono stati aperti gli occhi?». Egli rispose: «L’uomo che si
chiama Gesù ha fatto del fango, mi ha spalmato gli occhi e mi ha detto: “Va’
a Sìloe e làvati!”. Io sono andato, mi sono lavato e ho acquistato la vista».
Gli dissero: «Dov’è costui?». Rispose: «Non lo so». Condussero dai farisei
quello che era stato cieco: era un sabato, il giorno in cui Gesù aveva fatto
del fango e gli aveva aperto gli occhi. Anche i farisei dunque gli chiesero
di nuovo come aveva acquistato la vista. Ed egli disse loro: «Mi ha messo del
fango sugli occhi, mi sono lavato e ci vedo». Allora alcuni dei farisei
dicevano: «Quest’uomo non viene da Dio, perché non osserva il sabato». Altri
invece dicevano: «Come può un peccatore compiere segni di questo genere?». E
c’era dissenso tra loro. Allora dissero di nuovo al cieco: «Tu, che cosa dici
di lui, dal momento che ti ha aperto gli occhi?». Egli rispose: «È un
profeta!». Ma i Giudei non credettero di lui che fosse stato cieco e che
avesse acquistato la vista, finché non chiamarono i genitori di colui che
aveva ricuperato la vista. E li interrogarono: «È questo il vostro figlio,
che voi dite essere nato cieco? Come mai ora ci vede?». I genitori di lui
risposero: «Sappiamo che questo è nostro figlio e che è nato cieco; ma come
ora ci veda non lo sappiamo, e chi gli abbia aperto gli occhi, noi non lo
sappiamo. Chiedetelo a lui: ha l’età, parlerà lui di sé». Questo dissero i
suoi genitori, perché avevano paura dei Giudei; infatti i Giudei avevano già
stabilito che, se uno lo avesse riconosciuto come il Cristo, venisse espulso
dalla sinagoga. Per questo i suoi genitori dissero: «Ha l’età: chiedetelo a
lui!». Allora chiamarono di nuovo l’uomo che era stato cieco e gli dissero:
«Da’ gloria a Dio! Noi sappiamo che quest’uomo è un peccatore». Quello
rispose: «Se sia un peccatore, non lo so. Una cosa io so: ero cieco e ora ci
vedo». Allora gli dissero: «Che cosa ti ha fatto? Come ti ha aperto gli
occhi?». Rispose loro: «Ve l’ho già detto e non avete ascoltato; perché
volete udirlo di nuovo? Volete forse diventare anche voi suoi discepoli?». Lo
insultarono e dissero: «Suo discepolo sei tu! Noi siamo discepoli di Mosè!
Noi sappiamo che a Mosè ha parlato Dio; ma costui non sappiamo di dove sia».
Rispose loro quell’uomo: «Proprio questo stupisce: che voi non sapete di dove
sia, eppure mi ha aperto gli occhi. Sappiamo che Dio non ascolta i peccatori,
ma che, se uno onora Dio e fa la sua volontà, egli lo ascolta. Da che mondo è
mondo, non si è mai sentito dire che uno abbia aperto gli occhi a un cieco
nato. Se costui non venisse da Dio, non avrebbe potuto far nulla». Gli
replicarono: «Sei nato tutto nei peccati e insegni a noi?». E lo cacciarono
fuori. Gesù seppe che l’avevano cacciato fuori; quando lo trovò, gli disse:
«Tu, credi nel Figlio dell’uomo?». Egli rispose: «E chi è, Signore, perché io
creda in lui?». Gli disse Gesù: «Lo hai visto: è colui che parla con te». Ed
egli disse: «Credo, Signore!». "E lo cacciarono fuori". Chi
recupera la vista e capisce, viene cacciato: dà fastidio dover rivedere le
proprie posizioni, le proprie idee preconcette su questioni grosse come il
peccato, la cecità, la guarigione In giorno di sabato, la consapevolezza
delle proprie certezze in fatto di religione. La guarigione del cieco diventa
un 'caso' che compromette tutto un sistema di tradizioni, di norme e di
interpretazione delle Scritture. Non c'è posto per la compassione neppure nei
riguardi di un cieco sin dalla nascita e per la gioia della sua vista
recuperata. SI discute sui cavilli, si cercano del testimoni che avvalorino
la propria posizione di 'uomini giusti' perché fanno parte dell'istituzione.
Anche i discepoli lo interrogano perché risentono della mentalità comune. Un
cieco, un malato, un menomato deve sempre dipendere dagli altri; meglio avere
Intorno dei dipendenti che mendicano la tua elemosina e ti fanno sentire a
posto con la tua bontà, piuttosto che una persona libera nella sua dignità,
una persona che "vede" autonomamente, che capisce, che si rende conto della
realtà e delle opposizioni che suscita. Per questo è cacciato fuori: fuori
dalla propria vista, dai propri oriz- zonti limitati, dalla propria certezza
di essere giusti e Irreprensibili. Fuori dal tempio; fuori dagli schemi che
danno sicurezza, che s'incrinano dinanzi all'imprevedibile, alla presenza di
Qualcuno che non vogliono riconoscere come l'inviato di Dio Gesù, quando
viene a sapere che il cieco che ha guarito è stato cacciato 'fuori', lo va a
cercare per rassicurarlo e per suscitare un Incontro che diventerà indelebile
nella sua vita. Gesù non dà spiegazioni sulla condizione del cieco del
vangelo di Giovanni. Tanto meno si per- mette di collegarla con qualche
colpa. Semplicemente gli ridà la vista. Che importa se è giorno di sabato? Il
dolore è un assoluto che ha la priorità su tutto. Gesù non spiega, ma
interviene. Non si sofferma a creare 'casi' sulla sofferenza, ma la guarisce.
E cosi facendo vuol far capire che Dio la condivide, ne fa oggetto della sua
misericordia. E' come se dicesse, Lui che è II Figlio dell'uomo, che ne ha
assunto pienamente la condizione: "il Signore è con te, ti è sempre accanto.
Non temere: c'è qualcuno che ti vede e soffre con te". Se Lo si riconosce, è
un incontro per sempre. |