 II DOMENICA DOPO IL MARTIRIO DI SAN GIOVANNI IL
PRECURSORE
9 settembre 2018
Giovanni 5, 37-46
Riferimenti : Isaia 63, 7-17 - Salmo 79 - Ebrei 3, 1-6 |
Tu, pastore d’Israele, ascolta, tu che guidi
Giuseppe come un gregge. Seduto sui cherubini, risplendi davanti
a Èfraim, Beniamino e Manasse. Risveglia la tua potenza e vieni
a salvarci. Hai sradicato una vite dall’Egitto, hai scacciato le
genti e l’hai trapiantata. |
Isaia 63, 7-17 In quei giorni.
Isaia parlò, dicendo: / «Voglio ricordare i
benefici del Signore, / le glorie del Signore, /
quanto egli ha fatto per noi. / Egli è grande in
bontà per la casa d’Israele. / Egli ci trattò
secondo la sua misericordia, / secondo la
grandezza della sua grazia. / Disse: “Certo,
essi sono il mio popolo, / figli che non
deluderanno”, / e fu per loro un salvatore / in
tutte le loro tribolazioni. / Non un inviato né
un angelo, / ma egli stesso li ha salvati; / con
amore e compassione li ha riscattati, / li ha
sollevati e portati su di sé, / tutti i giorni
del passato. / Ma essi si ribellarono / e
contristarono il suo santo spirito. / Egli
perciò divenne loro nemico / e mosse loro
guerra. / Allora si ricordarono dei giorni
antichi, / di Mosè suo servo. / Dov’è colui che
lo fece salire dal mare / con il pastore del suo
gregge? / Dov’è colui che gli pose nell’intimo /
il suo santo spirito, / colui che fece camminare
alla destra di Mosè / il suo braccio glorioso, /
che divise le acque davanti a loro /
acquistandosi un nome eterno, / colui che li
fece avanzare tra i flutti / come un cavallo
nella steppa? / Non inciamparono, / come armento
che scende per la valle: / lo spirito del
Signore li guidava al riposo. / Così tu
conducesti il tuo popolo, / per acquistarti un
nome glorioso. / Guarda dal cielo e osserva /
dalla tua dimora santa e gloriosa. / Dove sono
il tuo zelo e la tua potenza, / il fremito delle
tue viscere / e la tua misericordia? / Non
forzarti all’insensibilità, / perché tu sei
nostro padre, / poiché Abramo non ci riconosce /
e Israele non si ricorda di noi. / Tu, Signore,
sei nostro padre, / da sempre ti chiami nostro
redentore. / Perché, Signore, ci lasci vagare
lontano dalle tue vie / e lasci indurire il
nostro cuore, così che non ti tema? / Ritorna
per amore dei tuoi servi, / per amore delle
tribù, tua eredità». Isaia 63,
7-17 Ciò che abbiamo letto è parte di una
bellissima preghiera di Israele, una delle più
commoventi della Scrittura, (63,7-64,11) che
nasce dalla esperienza dell'esilio a Babilonia.
Siamo alla fine del secolo VI, e davanti agli
occhi resistono ancora vivissimi i ricordi della
distruzione di Gerusalemme (586 a.C.), le urla
delle donne terrorizzate che fuggono con i loro
figli, le stragi per le strade e le fiamme che
avvolgono i palazzi ed il tempio L'inizio della
preghiera è come una confidenza, un pensiero di
speranza di Dio stesso, che si fida di questo
popolo che ha aiutato in ogni modo. "Senz'altro
- pensa il Signore - questo popolo con la sua
intelligenza e la sua sensibilità saprà
riconoscere la bontà e l'opera svolta per loro.
Certo- disse il Signore- essi sono il mio popolo
e i figli che non deluderanno" (v 8). Il profeta
garantisce che questi sono i pensieri di Dio e
lo fa a nome di Dio, mentre ripensa ai
significati della storia del popolo. Dio stesso
si è fatto carico della salvezza, non ha mandato
un angelo o un messaggero, ma è stato Lui il
Salvatore: "Non un inviato né un angelo, ma egli
stesso li ha salvati; con amore e compassione li
ha riscattati, li ha sollevati e portati su di
sé, tutti i giorni del passato" (63,9). Ma
proprio questo Dio amorevole si sente tradito.
Così la riflessione teologica, propria del Primo
Testamento, ritraduce la sventura successiva del
popolo d'Israele come conclusione della
scellerata decisione di lacerare il patto di
Alleanza da parte dello stesso popolo. Ma, in
tal modo, il popolo di Dio si è ritrovato solo,
in un mondo di violenza e di sopraffazione. Così
l'itinerario del pentimento deve ricominciare
dalle origini, riandare al deserto e a Mosè che
si fece umile mediatore e quindi ubbidiente
testimone delle promesse di Dio (v 16).. C'è una
sintesi interessantissima che raccoglie in 5
frasi l'opera discreta e profonda di Dio ( "
Dov'è colui che? Cinque come i libri della
Legge: riassunto della sapienza e della storia;
vv 11-13). |
Ebrei 3, 1-6 Fratelli santi, voi
che siete partecipi di una vocazione celeste, prestate
attenzione a Gesù, l’apostolo e sommo sacerdote della fede che
noi professiamo, il quale è degno di fede per colui che l’ha
costituito tale, come lo fu anche Mosè in tutta la sua casa. Ma,
in confronto a Mosè, egli è stato giudicato degno di una gloria
tanto maggiore quanto l’onore del costruttore della casa supera
quello della casa stessa. Ogni casa infatti viene costruita da
qualcuno; ma colui che ha costruito tutto è Dio. In verità Mosè
fu degno di fede in tutta la sua casa come servitore, per dare
testimonianza di ciò che doveva essere annunciato più tardi.
Cristo, invece, lo fu come figlio, posto sopra la sua casa. E la
sua casa siamo noi, se conserviamo la libertà e la speranza di
cui ci vantiamo. Ebrei. 3, 1-6 La lettera è
indirizzata soprattutto ad una comunità di Giudei cristiani. E'
piuttosto difficile, nella prima generazione della Chiesa,
convincere i Giudei che diventano Cristiani di lasciare
completamente molta parte della loro vecchia religione, da
sempre rispettata, per accettare quella nuova. Alcuni erano
propensi a ritornare al giudaismo dopo aver accettato la fede
cristiana. Gli argomenti principali sono la superiorità di
Cristo come sacerdote su Aronne, e la superiorità del sacrificio
di se stesso sulla legge. Tutto questo dimostra, infatti, non
solo la superiorità di Cristo, ma impegna anche che il
sacerdozio di Aronne e i sacrifici della legge non debbono
essere più osservati. Dimostra anche che tutti i riti della
legge che dipendono dal sacerdozio di Aronne e dai sacrifici a
questo collegati sono passati con essi. Gesù è chiamato
"apostolo e sommo sacerdote". Normalmente l'essere apostoli è
dei discepoli inviati da Gesù, ma qui Gesù è il grande apostolo,
cioè «inviato» da Dio agli uomini (cf.Gv 3,17+.34;5,36;9,7;Rm
1,1+;8,3;Gal 4,4) e sommo sacerdote, che rappresenta gli uomini
presso Dio (cf.2,17;4,14+;5,5.10;6,20;7,26;8,1;9,11;10,21). Il
testo di oggi è all'inizio della sezione che presenta Gesù:
"Sommo sacerdote, degno di fede e misericordioso" (3,1-5,10). Il
termine di paragone è Mosè che ha condotto il popolo verso la
terra promessa. Sia Gesù che Mosè sono stati fedeli al Padre e
tutti e due hanno dato prova di tale adesione nella "casa di
Dio". Infatti Mosé e Gesù hanno operato nella "casa" (che è il
popolo d'Israele). Ma Mosé ha avuto da Dio un incarico come
servo mentre è membro del popolo.
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Giovanni 5, 37-46 In quel tempo. Il Signore Gesù disse:
«Anche il Padre, che mi ha mandato, ha dato testimonianza di me. Ma voi non
avete mai ascoltato la sua voce né avete mai visto il suo volto, e la sua
parola non rimane in voi; infatti non credete a colui che egli ha mandato.
Voi scrutate le Scritture, pensando di avere in esse la vita eterna: sono
proprio esse che danno testimonianza di me. Ma voi non volete venire a me per
avere vita.Io non ricevo gloria dagli uomini. Ma vi conosco: non avete in voi
l’amore di Dio. Io sono venuto nel nome del Padre mio e voi non mi
accogliete; se un altro venisse nel proprio nome, lo accogliereste. E come
potete credere, voi che ricevete gloria gli uni dagli altri, e non cercate la
gloria che viene dall’unico Dio? Non crediate che sarò io ad accusarvi
davanti al Padre; vi è già chi vi accusa: Mosè, nel quale riponete la vostra
speranza. Se infatti credeste a Mosè, credereste anche a me; perché egli ha
scritto di me. Ma se non credete ai suoi scritti, come potrete credere alle
mie parole?». Giovanni 5, 37-47 Tra i sette segni che
Giovanni sviluppa, ritroviamo la guarigione e quindi la vita, restituite al
paralitico alla piscina di Bethesda (5,1-18). La malattia che soffre da 38
anni lo qualifica come una persona senza speranza (è interessante il numero
38 in rapporto al Deuteronomio 2,14 dove si ricorda che gli ebrei, usciti
dall'Egitto e che hanno soggiornato nel deserto per 38 anni, non potranno
entrare nella terra promessa, ma moriranno prima). Sorge una durissima
polemica, all'inizio, tra i giudei e l'uomo guarito, che secondo l'invito di
Gesù, torna a casa, portandosi il suo giaciglio. Ma è giorno di riposo e
quindi porta un peso: viene violato il comando di Dio, il primo comando della
Legge che vale quanto la Legge stessa. Poi la discussione, accesissima e
pesante, si sviluppa con Gesù (5,19-47). Oggi leggiamo solo un tratto, in un
quadro di drammatiche accuse e di coraggiose testimonianze, che oltrepassano
di molto il senso della nostra comprensione. A noi sembra banale l'accusa
eppure coinvolge tutta la religiosità ebraica del suo tempo.. Tutto il testo
adopera un linguaggio adatto ad un tribunale. Qui si tratta veramente di un
giudizio: verificare davanti a Dio il valore della legge e il valore di Gesù,
per esaminare se è colpevole o innocente. Dal valore delle prove vengono la
soluzione e quindi la legittimità dell'operato di Gesù. Per Gesù i testimoni
sono: le sue opere, il Padre e le Scritture (vv 36-47); per i giudei i
testimoni sono Mosé e i suoi scritti. Gesù potrebbe anche portare la
testimonianza di Giovanni Battista, Ma è una testimonianza umana, data
all'inizio della sua predicazione e che non si può elevare al livello della
parola di Mosè, tanto più che Giovanni ha sempre negato di essere Elia, o il
profeta o il Messia (vv.33-36). |