 Ultima Domenica dopo l'Epifania
14 febbraio 2021
Lc 18, 9-14
Riferimenti : Rm 14, 9-13 - Sal 129 - Is 54, 5-10 |
L’anima mia spera nella tua parola. Dal profondo a te
grido, o Signore; Signore, ascolta la mia voce. Siano i
tuoi orecchi attenti alla voce della mia |
Is 54, 5-10 In quei giorni. Isaia disse: «Tuo
sposo è il tuo creatore, Signore degli eserciti
è il suo nome; tuo redentore è il Santo
d’Israele, è chiamato Dio di tutta la terra.
Come una donna abbandonata e con l’animo
afflitto, ti ha richiamata il Signore. Viene
forse ripudiata la donna sposata in gioventù? –
dice il tuo Dio –. Per un breve istante ti ho
abbandonata, ma ti raccoglierò con immenso
amore. In un impeto di collera ti ho nascosto
per un poco il mio volto; ma con affetto perenne
ho avuto pietà di te, dice il tuo redentore, il
Signore. Ora è per me come ai giorni di Noè,
quando giurai che non avrei più riversato le
acque di Noè sulla terra; così ora giuro di non
più adirarmi con te e di non più minacciarti.
Anche se i monti si spostassero e i colli
vacillassero, non si allontanerebbe da te il mio
affetto, né vacillerebbe la mia alleanza di
pace, dice il Signore che ti usa misericordia».
Isaia 54, 5-10 L'autore anonimo del capitolo
54 (che gli studiosi si sono accordati di
chiamare il "Secondo Isaia") intravede già la
fine dell'esilio di Babilonia (siamo nel VI a.C)
e descrive la nuova Gerusalemme come la città
bella e liberata. Vi si legge una profonda gioia
ed entusiasmo poiché ormai la nuova Gerusalemme
è risorta. La prima immagine è l'apparire di
tanti figli che si credevano perduti: "Perché
più numerosi sono i figli dell'abbandonata che i
figli della maritata, dice il Signore." (54,1) E
il richiamo della grandezza si ritrova con
l'immagine bellissima della tenda dei nomadi che
deve diventare più spaziosa: "Allarga lo spazio
della tua tenda, stendi i teli della tua dimora
senza risparmio,.. e la tua discendenza
possederà le nazioni, popolerà le città un tempo
deserte." (54,2-3). Si risentono i grandi,
terribili ricordi della schiavitù in Egitto
("Dimenticherai la vergogna della tua
giovinezza") e dell'esilio ("e non ricorderai
più il disonore della tua vedovanza" (v4). Si
ritrovano le espressioni di un amore grande (la
donna sposata in gioventù) che è la sposa scelta
e amata nella novità della esperienza amorosa.
Amore del Creatore ed amore eterno. Come
garanzia, Dio dice e svela i suoi tanti nomi:
"Il tuo Creatore, il Signore degli eserciti, il
Redentore, Santo di Israele, Dio di tutta la
terra, ma soprattutto Sposo" (54,5). Vengono
date garanzie, riprese dai grandi avvenimenti
della storia del mondo, ritornando fin alle
promesse fatte a Noè dopo il diluvio (54,9).
Attraverso l'esperienza di Gesù, noi possiamo
verificare che l'amore di Dio oltrepassa ogni
immaginazione, e il perdono del Signore
raggiunge ogni persona che si rivolga a Lui con
fiducia. Gesù, per l'amore che porta, "si svuota
della sua divinità, assumendo una condizione di
servo" (Fil 2,7).
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Rm 14, 9-13 Fratelli, per questo Cristo è
morto ed è ritornato alla vita: per essere il Signore dei morti
e dei vivi. Ma tu, perché giudichi il tuo fratello? E tu, perché
disprezzi il tuo fratello? Tutti infatti ci presenteremo al
tribunale di Dio, perché sta scritto: «Io vivo, dice il Signore:
ogni ginocchio si piegherà davanti a me e ogni lingua renderà
gloria a Dio». Quindi ciascuno di noi renderà conto di se stesso
a Dio. D’ora in poi non giudichiamoci più gli uni gli altri;
piuttosto fate in modo di non essere causa di inciampo o di
scandalo per il fratello. Romani 14, 9-13 Paolo, nella
conclusione della lettera ai Romani, sta richiamando il
significato dell'esistenza: tutto è sottomesso e appartenente a
Cristo. Sia la vita che la morte sono al servizio di Cristo e da
Lui questa padronanza è stata conquistata con il suo sacrificio
(2 Cor 5.14ss; Fil 2,9 ss). La vita cristiana non consiste nel
giudicare qualcuno per ciò che fa e per i meriti che ha
acquistato, ma nell'impegnarsi nella carità. Nella Comunità
di Paolo sono sorte problematiche per comportamenti alimentari
particolari. Ci sono infatti cristiani dalla fede poco
illuminata e quindi senza convinzioni abbastanza solide:
ritengono che in certi giorni, o magari sempre, si debbano
astenere dalle carni o dal vino. Queste pratiche ascetiche sono
già note ad alcune correnti filosofiche pagane (i pitagorici) e
nel mondo giudaico (gli esseni, Giovanni Battista). Paolo
dice che bisogna agire secondo coscienza per il Signore. Ma
tutto questo fa sorgere discussioni, malumori, giudizi e
discussioni senza soluzioni. Ci sono delle persone forti che,
con molta lucidità e sicurezza, affermano che queste regole
vanno superate. Ci sono invece altri che si preoccupano di
quello che mangiano e di quello che bevono secondo criteri che
deducono dal loro mondo religioso. Solo il Signore giudica e noi
non dobbiamo entrare a giudicare, forti delle nostre sicurezze.
Dobbiamo invece rispettare e valorizzare le persone, aiutando,
magari, via via, a ripensare ed ad approfondire. In
conclusione, nessuno giudichi gli altri e non sia di scandalo o
di inciampo. Anzi, se agli occhi dell'altro ci si rende conto
che il nostro mangiare o bere qualche cosa viene considerato non
corretto, e quindi suscita disagio, per amore dell'altro
"astieniti, per non disorientarlo". La carità, allora, sta nel
non scandalizzare; e, insieme, vanno trovate strade che
rimettano nella ricerca della volontà di Dio. Si suggerisce,
in tal modo, un'attenzione che nasce dalla carità e quindi dalla
fede che decide, in libertà, di sostenere la fragilità
dell'altro. Seguendo il sacrificio di Gesù, la vita cristiana
consiste nel non giudicare, ma nello sviluppare una carità
reciproca di attenzione e di accoglienza. Né il debole può
giudicare e condannare il forte né la persona forte può
disprezzare il debole. Solo Gesù è il giudice supremo. Solo Lui
può esaminarci nell'ultimo giudizio e solo Lui è capace di saper
analizzare la nostra fede e i nostri errori.
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Lc 18, 9-14 In quel tempo. Il Signore Gesù disse ancora questa parabola
per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano
gli altri: «Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e
l’altro pubblicano. Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: “O Dio,
ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti,
adùlteri, e neppure come questo pubblicano. Digiuno due volte alla settimana
e pago le decime di tutto quello che possiedo”. Il pubblicano invece,
fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si
batteva il petto dicendo: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”. Io vi dico:
questi, a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato, perché
chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece chi si umilia sarà
esaltato».supplica. Luca. 18, 9-14 Com'è facile disprezzare gli altri e
ritenere di essere nella verità e nel giusto! Com'è facile riempirsi di sé e
giustificarsi in ogni occasione! Com'è gratificante credere di essere
nell'area di pensiero e di religione che detiene la verità! Che sollievo
di coscienza poter dire e mostrare di aver osservato i doveri religiosi e di
non aver niente a che fare con gli "altri uomini, ladri, ingiusti, adulteri,
e "pubblicani", cioè compromessi con il potere dominante, il denaro,
l'ingiustizia, i piaceri! Se riflettiamo onestamente, non siamo anche noi
pronti a disprezzare gli altri, a diffidarne, ad escluderli dal proprio
perimetro, a condannarli? E siamo anche pronti a ridurre una quantità di
giustificazioni del nostro comportamento nei confronti, ad esempio, di
immigrati, clandestini, zingari, musulmani, drogati, ma anche solo di chi non
la pensa come noi. Soprattutto se ci disturbano nelle nostre sicurezze e
nel nostro quieto vivere, senza contare né pensare che siamo tutti solidali
nel bene come nel male; e che se il male prospera e dilaga, dipende anche dal
bene che non pratichiamo noi. Il Vangelo di questa domenica ci fa ripensare
al nostro atteggiamento verso gli altri, i diversi da te. Certo, in
teoria, si fanno tanti bei discorsi sul dialogo, sulla comunicazione, sulla
collaborazione; ma in pratica? Ma che rapporto abbiamo verso chi prega nel
tuo stesso tempio? o verso chi attraversa la strada, senza che tu glielo
consenta? Il povero pubblicano non osa nemmeno alzare gli occhi al cielo e si
prostra davanti a Dio in tutta la sua piccolezza e la sua incapacità di
essere all'altezza della sua dignità di uomo e di figlio di Dio |