
Domenica all'inizio di Quaresima
21 febbraio 2021
Mt 4, 1-11
Riferimenti : Is 57, 15 – 58, 4a - Sal 50 - 2Cor 4, 16b – 5, 9 |
Pietà di me, o Dio, nel tuo amore. Pietà di me,
o Dio, nel tuo amore; nella tua grande misericordia cancella la
mia iniquità. Lavami tutto dalla mia colpa,dal mio peccato
rendimi puro. |
Is 57, 15 – 58, 4a In quei
giorni. Isaia disse: «Così parla l’Alto e
l’Eccelso, che ha una sede eterna e il cui nome
è santo. “In un luogo eccelso e santo io dimoro,
ma sono anche con gli oppressi e gli umiliati,
per ravvivare lo spirito degli umili e rianimare
il cuore degli oppressi. Poiché io non voglio
contendere sempre né per sempre essere adirato;
altrimenti davanti a me verrebbe meno lo spirito
e il soffio vitale che ho creato. Per l’iniquità
della sua avarizia mi sono adirato, l’ho
percosso, mi sono nascosto e sdegnato; eppure
egli, voltandosi, se n’è andato per le strade
del suo cuore. Ho visto le sue vie, ma voglio
sanarlo, guidarlo e offrirgli consolazioni. E ai
suoi afflitti io pongo sulle labbra: ‘Pace, pace
ai lontani e ai vicini – dice il Signore – e io
li guarirò’”. I malvagi sono come un mare
agitato, che non può calmarsi e le cui acque
portano su melma e fango. “Non c’è pace per i
malvagi”, dice il mio Dio. Grida a squarciagola,
non avere riguardo; alza la voce come il corno,
dichiara al mio popolo i suoi delitti, alla casa
di Giacobbe i suoi peccati. Mi cercano ogni
giorno, bramano di conoscere le mie vie, come un
popolo che pratichi la giustizia e non abbia
abbandonato il diritto del suo Dio; mi chiedono
giudizi giusti, bramano la vicinanza di Dio:
“Perché digiunare, se tu non lo vedi,
mortificarci, se tu non lo sai?”. Ecco, nel
giorno del vostro digiuno curate i vostri
affari, angariate tutti i vostri operai. Ecco,
voi digiunate fra litigi e alterchi».
Isaia. 57, 15 - 58, 4a Abbiamo letto
un testo che fa parte dell'ultimo Isaia (lo si
chiama" terzo Isaia ") che scrive i capitoli
56-66 nel secolo sesto-quinto a.C., durante il
periodo della ricostruzione di Gerusalemme, in
seguito al ritorno da Babilonia. Viene posto qui
il primo annuncio della salvezza che Dio fa a
questo popolo, volendo dare un sostegno ed una
verifica all'opera che Neemia sta compiendo:
- il tempo dell'ira è finito: Dio garantisce la
sua presenza sia su Gerusalemme sia con gli
oppressi e gli umiliati (vv 16-17); - Dio
guarisce e consola il suo popolo (vv 18-19);
- vengono esclusi dalla promessa gli empi (vv
20-21). Il popolo però si lamenta e il
Signore si preoccupa anche di rispondere alle
lagnanze contro di Lui: "Ci mortifichiamo,
digiuniamo, ma abbiamo tutta l'impressione che
questo non serva a niente". Il popolo insiste
perché vuole conoscere le vie di Dio come se
fosse un popolo che ami la giustizia e riconosca
la legge del Signore. È un popolo che chiede
giudizi giusti, che brama la vicinanza di Dio,
ma rimprovera Dio che non si fa sentire, non si
fa vedere, lo tratta in modo ingiusto. Perciò
non mantiene le promesse e tutti si sentono
abbandonati. Attraverso il profeta Dio risponde,
e la risposta viene data nel cap. 58 di cui
leggiamo, quest'oggi, solo l'inizio. E'un
messaggio splendido, di un Dio irritato e
generoso, desideroso di cambiamenti e di
conversione, che vuole che il suo popolo viva
nella pace e nella responsabilità. Perciò, Dio
dice al suo profeta: "Grida a squarciagola, non
avere riguardo" (58,1). Dio si allontana da
questo popolo perché questo popolo non vuol
riconoscere i delitti di cui continuamente si
macchia e sono delitti di ordine sociale:
l'ossessione degli affari e quindi la
preoccupazione prima è del profitto per il
profitto. Così causa litigi all'infinito, lotte
furibonde e violente, sfruttamento del lavoro
dei dipendenti: "Voi angariate tutti i vostri
operai" (v 3). In tal modo il giorno del digiuno
non risulta il giorno del riconoscimento di Dio,
della sua attenzione verso poveri, della sua
generosità verso chi soffre. Il giorno del
digiuno diventa giorno dello sfruttamento, del
progetto del maggior danaro, della lite, della
guerra per moltiplicare i propri interessi ma
anche il numero dei poveri. Questa
riflessione, oltrepassando la situazione che
tocca il mondo di Isaia, chiarisce le dimensioni
religiose della vita. Non si può slegare il
culto dalla vita quotidiana, tra obbedienza al
volere di Dio e la responsabilità di fronte alla
povertà e all'ingiustizia; non si può pretendere
un incontro di benevolenza di Dio quando si
sfruttano le realtà povere. Gesù dirà che non
esiste compromesso tra Dio e il danaro (Mt
6,24). |
2Cor 4, 16b – 5, 9 Fratelli, se
anche il nostro uomo esteriore si va disfacendo, quello
interiore si rinnova di giorno in giorno. Infatti il momentaneo,
leggero peso della nostra tribolazione ci procura una quantità
smisurata ed eterna di gloria: noi non fissiamo lo sguardo sulle
cose visibili, ma su quelle invisibili, perché le cose visibili
sono di un momento, quelle invisibili invece sono eterne.
Sappiamo infatti che, quando sarà distrutta la nostra dimora
terrena, che è come una tenda, riceveremo da Dio un’abitazione,
una dimora non costruita da mani d’uomo, eterna, nei cieli.
Perciò, in questa condizione, noi gemiamo e desideriamo
rivestirci della nostra abitazione celeste purché siamo trovati
vestiti, non nudi. In realtà quanti siamo in questa tenda
sospiriamo come sotto un peso, perché non vogliamo essere
spogliati ma rivestiti, affinché ciò che è mortale venga
assorbito dalla vita. E chi ci ha fatti proprio per questo è
Dio, che ci ha dato la caparra dello Spirito. Dunque, sempre
pieni di fiducia e sapendo che siamo in esilio lontano dal
Signore finché abitiamo nel corpo – camminiamo infatti nella
fede e non nella visione –, siamo pieni di fiducia e preferiamo
andare in esilio dal corpo e abitare presso il Signore. Perciò,
sia abitando nel corpo sia andando in esilio, ci sforziamo di
essere a lui graditi. Seconda lettera ai
Corinzi. 4, 16b - 5, 9 Questa lettera manifesta una forte
tensione nei rapporti che Paolo ha con alcuni che fanno parte
della comunità di Corinto. Ci sono, infatti, alcuni provocatori
che suscitano agitazioni, discordie e, in particolare, critiche
e malumori verso l'opera di Paolo. L'apostolo, dopo tanti disagi
e tanta fatica, comincia ad accorgersi che gli vengono meno le
forze. Così egli fa una coraggiosa riflessione sulla sua
dimensione spirituale e sulla sua condizione umana. Il corpo si
va disfacendo e tuttavia crescono in lui una fiducia grande e
una fede profonda poiché il suo mondo interiore "si rinnova di
giorno in giorno." In questo testo si ritrovano molte
contrapposizioni che fanno intravedere la lucidità ma anche la
cultura che sostiene Paolo nella evangelizzazione. Inizia dalla
"dimensione corporale dell'uomo esteriore e la ricchezza
dell'uomo interiore", continua con "il peso della nostra
tribolazione e la quantità smisurata di Gloria", "le cose
visibili e quelle invisibili", "la dimora terrena che è la tenda
e le dimore eterne", la "vita di qui e la vita nella
risurrezione", "le realtà di un momento e le realtà eterne", "la
patria e l'esilio". "Camminare nella fede e camminare nella
visione", "camminare e abitare presso il Signore", "la nudità
che è il rischio di una vita che si presenta a Dio a mani vuote
e il vestito della generosità" che riceve il rivestimento della
vita eterna. Non va dimenticato che il mondo ebraico riconosce
una grande importanza al vestito poiché esso segnala ed offre il
significato e la dignità di una persona. Il vestito ci fa
diversi, mentre la nudità ci mette tutti sullo stesso piano.
Il desiderio di Paolo è quello di essere con il Signore,
superando perfino la ripugnanza della morte perché questa libera
dall'esilio. Paolo è desideroso di restare sempre unito al
Signore per poter fare la sua volontà ed essere a lui gradito,
sia vivendo in questa vita, sia entrando nella gloria.
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VANGELO Mt 4, 1-11 In quel tempo. Il Signore Gesù fu condotto dallo
Spirito nel deserto, per essere tentato dal diavolo. Dopo aver digiunato
quaranta giorni e quaranta notti, alla fine ebbe fame. Il tentatore gli si
avvicinò e gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, di’ che queste pietre
diventino pane». Ma egli rispose: «Sta scritto: “Non di solo pane vivrà
l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio”». Allora il diavolo lo
portò nella città santa, lo pose sul punto più alto del tempio e gli disse:
«Se tu sei Figlio di Dio, gèttati giù; sta scritto infatti: “Ai suoi angeli
darà ordini a tuo riguardo ed essi ti porteranno sulle loro mani perché il
tuo piede non inciampi in una pietra”». Gesù gli rispose: «Sta scritto anche:
“Non metterai alla prova il Signore Dio tuo”». Di nuovo il diavolo lo portò
sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo e la loro
gloria e gli disse: «Tutte queste cose io ti darò se, gettandoti ai miei
piedi, mi adorerai». Allora Gesù gli rispose: «Vattene, Satana! Sta scritto
infatti: “Il Signore, Dio tuo, adorerai: a lui solo renderai culto”». Allora
il diavolo lo lasciò, ed ecco, degli angeli gli si avvicinarono e lo
servivano. Matteo 4, 1-11 L'esperienza che Gesù fa', dopo
il suo battesimo, prima di iniziare l'annuncio del Regno, è raccontata dagli
evangelisti come un drammatico incontro-scontro tra le forze del male e
l'obbedienza al Padre. Di fatto tutto il testo è molto costruito e utilizza
immagini bibliche, particolarmente legate all'esperienza dell'Esodo (uscita
dall'Egitto del popolo liberato) che si è svolto in una peregrinazione di 40
anni. Qui l'esperienza di Gesù nel deserto dura 40 giorni. Il numero 40
rappresenta tutta l'esperienza della vita: 40 anni erano considerati la
durata di una generazione, 40 giorni una esperienza di vita che porta ad una
soluzione terminale di novità: la liberazione, l'ascensione di Gesù al cielo
(40 giorni dopo la risurrezione). Così questo testo è fondamentalmente una
riflessione teologica e non un brano di cronaca e le tre tentazioni misurano,
in un certo senso, tutta la lotta e la fatica che Gesù ha dovuto affrontare
per restare fedele al Padre nella sua vita e, in particolare, nel periodo
dell'annuncio del Regno. La prima tentazione è quella di assolutizzare le
cose fino a farle diventare senso e termine della propria vita. Il Signore
aveva offerto la manna, aveva garantito la raccolta giorno per giorno, ma
l'ingordigia e la insicurezza hanno indotto ad intercettare una misura
maggiore di raccolta, con il risultato che il giorno dopo si sono trovati i
contenitori pieni di vermi. Esiste quindi una differenza tra la sobrietà e
l'avidità: la sobrietà ridimensiona le cose e le fa servire, l'avidità fa
diventare ciò di cui abbiamo bisogno un idolo, come il vitello d'oro nel
deserto, e deforma ogni rapporto, fiducia e attesa da parte del Signore.
L'avidità depaupera il mondo poiché non tiene conto delle esigenze degli
altri, rinchiude il cuore alla solidarietà e produce potere, sperpero, lusso
e chiusura mentale. Prima viene la volontà del Padre. Gesù dirà: "Non
affannatevi per quello che mangerete o berrete" (Matteo7,25-34). La
seconda tentazione suggerisce la pretesa di ricevere da Dio segni e garanzie,
sfruttando addirittura la stessa Parola del Signore, perché mostri la sua
protezione e ci assicuri la sua protezione. Ci giochiamo sulla fiducia,
pretendiamo prove. Nel deserto, stremato dalla sete, il popolo ha accettato
questa tentazione esclamando: "il Signore è in mezzo a noi, si o no?" (Es
17,7). La terza tentazione si gioca sul problema del potere. L'uomo può
conquistare il potere di dominio se si contrappone a Dio e può, in questo
caso, sopraffare i più deboli, può diventare padrone delle persone, può
sentirsi glorificato perché è forte, più forte di tutti e utilizza questo
potere per sé.
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