
II Domenica di Quaresima
28 febbraio 2021
Gv 4, 5-42
Riferimenti : Dt 5, 1-2. 6-21 - Sal 18 - Ef 4, 1-7 |
Signore, tu solo hai parole di vita eterna. La
legge del Signore è perfetta, rinfranca l’anima; il comando del
Signore è limpido, illumina gli occhi. |
Dt 5, 1-2. 6-21 In quei giorni.
Mosè convocò tutto Israele e disse loro:
«Ascolta, Israele, le leggi e le norme che oggi
io proclamo ai vostri orecchi: imparatele e
custoditele per metterle in pratica. Il Signore,
nostro Dio, ha stabilito con noi un’alleanza
sull’Oreb. “Io sono il Signore, tuo Dio, che ti
ho fatto uscire dalla terra d’Egitto, dalla
condizione servile. Non avrai altri dèi di
fronte a me. Non ti farai idolo né immagine
alcuna di quanto è lassù nel cielo né di quanto
è quaggiù sulla terra né di quanto è nelle acque
sotto la terra. Non ti prostrerai davanti a loro
e non li servirai. Perché io, il Signore, tuo
Dio, sono un Dio geloso, che punisce la colpa
dei padri nei figli fino alla terza e alla
quarta generazione, per coloro che mi odiano, ma
che dimostra la sua bontà fino a mille
generazioni, per quelli che mi amano e osservano
i miei comandamenti. Non pronuncerai invano il
nome del Signore, tuo Dio, perché il Signore non
lascia impunito chi pronuncia il suo nome
invano. Osserva il giorno del sabato per
santificarlo, come il Signore, tuo Dio, ti ha
comandato. Sei giorni lavorerai e farai ogni tuo
lavoro; ma il settimo giorno è il sabato in
onore del Signore, tuo Dio: non farai alcun
lavoro, né tu, né tuo figlio, né tua figlia, né
il tuo schiavo, né la tua schiava, né il tuo
bue, né il tuo asino, né il tuo bestiame, né il
forestiero che dimora presso di te, perché il
tuo schiavo e la tua schiava si riposino come
te. Ricòrdati che sei stato schiavo nella terra
d’Egitto e che il Signore, tuo Dio, ti ha fatto
uscire di là con mano potente e braccio teso;
perciò il Signore, tuo Dio, ti ordina di
osservare il giorno del sabato. Onora tuo padre
e tua madre, come il Signore, tuo Dio, ti ha
comandato, perché si prolunghino i tuoi giorni e
tu sia felice nel paese che il Signore, tuo Dio,
ti dà. Non ucciderai. Non commetterai adulterio.
Non ruberai. Non pronuncerai testimonianza
menzognera contro il tuo prossimo. Non
desidererai la moglie del tuo prossimo. Non
bramerai la casa del tuo prossimo, né il suo
campo, né il suo schiavo, né la sua schiava, né
il suo bue, né il suo asino, né alcuna cosa che
appartenga al tuo prossimo”».
Deuteronomio 5,1-2.6-21 Il Deuteronomio
(significa "seconda legge") è un libro
preziosissimo poiché è il libro per eccellenza
della Parola di Dio. Gli Ebrei lo chiamano
"Debarim" ("Le Parole"). Per obbligo il re
doveva tenere presso di sé una copia della Legge
( "questa seconda Legge") come guida del suo
governo e della sua condotta (Deut. 17,18). Di
fatto, in questo libro, Mosé proclama al suo
popolo "le leggi e le norme" ricevute dal
Signore come clausole dell'Alleanza, stabilita
sull'Oreb. Israele, convocato da Mosè, è
invitato ad ascoltare: "Ascolta Israele". La
proclamazione è in un'assemblea che ha il
compito di sancire il patto. Questa formulazione
del Decalogo è simile all'altra del libro
dell'Esodo (20,2-17). Dio vuole aiutare il
suo popolo a conquistare e a mantenere la pace,
la terra, la stabilità. Legislatore è quel
Dio che "ti ha fatto uscire dal paese d'Egitto,
dalla condizione servile". Perciò "fidati e
ricorri alla legge quando troverai difficoltà".
Compito del credente, infatti, è "imparare,
custodire e mettere in pratica la Parola" (v 1).
* Imparare suppone la volontà e l'intelligenza
sufficienti per entrare nel mondo della legge,
dar credito, fidarsi, analizzare e ricordare.
Imparare è più di leggere e più di capir, ma
significa "far propria la legge, sentirsi
attenti". * Custodire fa intravedere la
preziosità per valore o per affetto. Non va
perso nulla. Va tenuto in serbo, pronto e
conosciuto per tutto quello che può servire. Non
va dimenticato che è una raccomandazione di Dio.
* Mettere in pratica è la prospettiva finale
della legge per cui il popolo sperimenta il
valore della Parola di Dio in concreto. E' a
questo livello che si incominciano a vedere i
frutti del dono dato da Dio. La fedeltà
custodita manterrà l'Alleanza, reciprocamente
decisa da Dio e dal popolo, e svilupperà le
promesse di Dio. Qui ci sono le "dieci parole",
tante quante le dita delle due mani, tante per
l'operosità di un popolo che cresce alla luce
del Dio creatore e liberatore. Simile
all'altra edizione del libro dell'Esodo
(20,2-17), ripercorre i fondamentali doveri
religiosi e morali dell'uomo verso Dio e il
prossimo. Qualche variazione, nel libro del
Deuteronomio (che leggiamo oggi), è data dalla
preoccupazione di rendere più attuale e viva la
Parola di Dio. |
Ef 4, 1-7 Fratelli, io,
prigioniero a motivo del Signore, vi esorto: comportatevi in
maniera degna della chiamata che avete ricevuto, con ogni
umiltà, dolcezza e magnanimità, sopportandovi a vicenda
nell’amore, avendo a cuore di conservare l’unità dello spirito
per mezzo del vincolo della pace. Un solo corpo e un solo
spirito, come una sola è la speranza alla quale siete stati
chiamati, quella della vostra vocazione; un solo Signore, una
sola fede, un solo battesimo. Un solo Dio e Padre di tutti, che
è al di sopra di tutti, opera per mezzo di tutti ed è presente
in tutti. A ciascuno di noi, tuttavia, è stata data la grazia
secondo la misura del dono di Cristo. Efesini
4,1-7 Paolo, che ci richiama la sua prigionia per la
testimonianza a Gesù, incoraggia i cristiani a camminare secondo
la vocazione ricevuta da Gesù stesso in maniera degna. Egli
vuole garantire che ci sono valori e prospettive su cui egli
stesso si sta giocando nella sua esistenza, da tempo, con
fedeltà. Perciò il primo segno è l'umiltà: disponibilità a
servire per innalzare ogni fratello povero e servirlo nelle sue
scelte. Poi rammenta la dolcezza e la magnanimità: ricorda che
non si deve essere litigiosi né irascibili, con la pretesa di
aver sempre ragione. Come Gesù, bisogna saper rinunciare alla
aggressività ed alla violenza per cercare l'unità, la
riconciliazione e la pace. Il nostro mondo è continuamente
percorso dalla violenza perché vuole prevalere sugli altri e si
creano conflitti spesso insanabili. Il rapporto con il prossimo
è soggetto ad attentati di prevaricazioni, di rivincite, di
gelosie e di prevaricazioni per superare, mettersi in mostra,
conquistare credibilità e successo. Nella seconda parte del
testo (vv.4-6) veniamo aiutati a scoprire le ragioni che debbono
portare all'unità i credenti. Paolo ne elenca sette, proponendo
un preciso numero di pienezza e, insieme, di unità: "Un solo
corpo, spirito, speranza, Signore, fede, battesimo, Dio Padre di
tutti". Tale unità non si basa su simpatie o interessi
reciproci. In fondo la storia ci ha mostrato quanto facilmente
si siano sviluppati dissensi, professioni di fede diverse,
faticosi itinerari di collaborazioni e di ricerche comuni,
superamento di differenze di razza, lingua, cultura, mentalità,
carattere, condizioni economiche. A volte si resta
sconcertati per lotte e massacri che avvengono tra cristiani, e
nel modo più impressionante: a parte le due ultime guerre
mondiali, svolte tra nazioni cristiane (ma questo non lo si
rileva mai), ultimamente le guerre e i massacri in Congo, in
Iugoslavia, e via via, in Libano, in Siria, in Egitto sono state
terribili realtà di morte. Il fatto che queste morti fossero
avvenute nonostante l'unità di fede e l'insegnamento dell'amore
del prossimo non ha sfiorato per niente la coscienza dei
contendenti e non ha fatto problema.

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Gv 4, 5-42 In quel tempo. Il Signore Gesù giunse a una città della Samaria
chiamata Sicar, vicina al terreno che Giacobbe aveva dato a Giuseppe suo
figlio: qui c’era un pozzo di Giacobbe. Gesù dunque, affaticato per il
viaggio, sedeva presso il pozzo. Era circa mezzogiorno. Giunge una donna
samaritana ad attingere acqua. Le dice Gesù: «Dammi da bere». I suoi
discepoli erano andati in città a fare provvista di cibi. Allora la donna
samaritana gli dice: «Come mai tu, che sei giudeo, chiedi da bere a me, che
sono una donna samaritana?». I Giudei infatti non hanno rapporti con i
Samaritani. Gesù le risponde: «Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui
che ti dice: “Dammi da bere!”, tu avresti chiesto a lui ed egli ti avrebbe
dato acqua viva». Gli dice la donna: «Signore, non hai un secchio e il pozzo
è profondo; da dove prendi dunque quest’acqua viva? Sei tu forse più grande
del nostro padre Giacobbe, che ci diede il pozzo e ne bevve lui con i suoi
figli e il suo bestiame?». Gesù le risponde: «Chiunque beve di quest’acqua
avrà di nuovo sete; ma chi berrà dell’acqua che io gli darò, non avrà più
sete in eterno. Anzi, l’acqua che io gli darò diventerà in lui una sorgente
d’acqua che zampilla per la vita eterna». «Signore – gli dice la donna –,
dammi quest’acqua, perché io non abbia più sete e non continui a venire qui
ad attingere acqua». Le dice: «Va’ a chiamare tuo marito e ritorna qui». Gli
risponde la donna: «Io non ho marito». Le dice Gesù: «Hai detto bene: “Io non
ho marito”. Infatti hai avuto cinque mariti e quello che hai ora non è tuo
marito; in questo hai detto il vero». Gli replica la donna: «Signore, vedo
che tu sei un profeta! I nostri padri hanno adorato su questo monte; voi
invece dite che è a Gerusalemme il luogo in cui bisogna adorare». Gesù le
dice: «Credimi, donna, viene l’ora in cui né su questo monte né a Gerusalemme
adorerete il Padre. Voi adorate ciò che non conoscete, noi adoriamo ciò che
conosciamo, perché la salvezza viene dai Giudei. Ma viene l’ora – ed è questa
– in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità: così
infatti il Padre vuole che siano quelli che lo adorano. Dio è spirito, e
quelli che lo adorano devono adorare in spirito e verità». Gli rispose la
donna: «So che deve venire il Messia, chiamato Cristo: quando egli verrà, ci
annuncerà ogni cosa». Le dice Gesù: «Sono io, che parlo con te». In quel
momento giunsero i suoi discepoli e si meravigliavano che parlasse con una
donna. Nessuno tuttavia disse: «Che cosa cerchi?», o: «Di che cosa parli con
lei?». La donna intanto lasciò la sua anfora, andò in città e disse alla
gente: «Venite a vedere un uomo che mi ha detto tutto quello che ho fatto.
Che sia lui il Cristo?». Uscirono dalla città e andavano da lui. Intanto i
discepoli lo pregavano: «Rabbì, mangia». Ma egli rispose loro: «Io ho da
mangiare un cibo che voi non conoscete». E i discepoli si domandavano l’un
l’altro: «Qualcuno gli ha forse portato da mangiare?». Gesù disse loro: «Il
mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e compiere la sua
opera. Voi non dite forse: “Ancora quattro mesi e poi viene la mietitura”?
Ecco, io vi dico: alzate i vostri occhi e guardate i campi che già
biondeggiano per la mietitura. Chi miete riceve il salario e raccoglie frutto
per la vita eterna, perché chi semina gioisca insieme a chi miete. In questo
infatti si dimostra vero il proverbio: uno semina e l’altro miete. Io vi ho
mandati a mietere ciò per cui non avete faticato; altri hanno faticato e voi
siete subentrati nella loro fatica». Molti Samaritani di quella città
credettero in lui per la parola della donna, che testimoniava: «Mi ha detto
tutto quello che ho fatto». E quando i Samaritani giunsero da lui, lo
pregavano di rimanere da loro ed egli rimase là due giorni. Molti di più
credettero per la sua parola e alla donna dicevano: «Non è più per i tuoi
discorsi che noi crediamo, ma perché noi stessi abbiamo udito e sappiamo che
questi è veramente il salvatore del mondo». Giovanni 4,5-42
Mi colpisce sempre il fatto che i concittadini della donna samaritana le
credano immediatamente quando li esorta ad andare a vedere '"l'uomo che le ha
detto tutto quello che ha fatto". "Che sia lui il Messia?" Non le fanno
nessuna obiezione né si trincerano dietro il fatto che è di dubbia
reputazione: il che vuol dire che la samaritana ha saputo creare sulla sua
persona rispetto e fiducia. Anche Gesù la tratta con rispetto e senso
della sua dignità, indipendentemente dal suo essere donna, per di più
straniera ed eretica (così gli ebrei consideravano i samaritani) e le rivolge
la parola, cosa assai compromettente e invisa dalle regole ebraiche, tanto
che i discepoli si meravigliano "che parlasse con una donna". Al di là
delle interpretazioni moralistiche e teologiche dell'episodio, questo testo
mette al centro la considerazione che Gesù attribuisce alla donna: le parla,
le chiede da bere, intavola con lei un discorso di fede, la considera una
interlocutrice a tutti gli effetti e con lei s'incammina in un progressivo
incontro che introduce la donna a percepire il significato vero del rapporto
con Dio. Non ci sono più barriere di tipo dottrinale o schematismi di
definizioni: Dio è un "dono" che viene offerto a chi lo ricerca con sincerità
e in profondità e non si sofferma sulle precisazioni cultuali e
campanilistiche come se fossero essenziali a questa ricerca. Tutto il tema
dell'acqua viva, che disseta sia Gesù che la dà sia la samaritana che la
riceve, è un impetuoso richiamo alla vita: non può esistere fede vera se non
"zampilla" come vita, una vita permanente, una vita che non muore. Chi vi
attinge -ma è acqua viva per tutti- non può, a sua volta, che traboccare di
vita e correre a condividere l'incontro sorprendente e inaspettato con gli
abituali compagni di vita e di cammino, con gli abitanti della città. Perché
la vita è per tutti e una donna lo sa. E sono belle anche la semplicità e
la naturalezza con cui la samaritana cede il passo alla presenza di Gesù,
senza pretendere o arrogarsi alcun merito o alcuna precedenza. Perché ciò
che conta è giungere direttamente a conoscere il Signore e capire che è il
"salvatore del mondo". |