
VI Domenica dopo Pentecoste
4 luglio 2021
Mt 11, 27-30
Riferimento : Es 3, 1-15 - Sal 67 - 1Cor 2, 1-7 |
O Signore, nostro Dio, quanto è grande il tuo
nome su tutta la terra. Cantate a Dio, inneggiate al suo nome
ppianate la strada a colui che cavalca le nubi: Signore è il suo
nome, esultate davanti a lui.
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Es 3, 1-15 In quei giorni.
Mentre Mosè stava pascolando il gregge di Ietro,
suo suocero, sacerdote di Madian, condusse il
bestiame oltre il deserto e arrivò al monte di
Dio, l’Oreb. L’angelo del Signore gli apparve in
una fiamma di fuoco dal mezzo di un roveto. Egli
guardò ed ecco: il roveto ardeva per il fuoco,
ma quel roveto non si consumava. Mosè pensò:
«Voglio avvicinarmi a osservare questo grande
spettacolo: perché il roveto non brucia?». Il
Signore vide che si era avvicinato per guardare;
Dio gridò a lui dal roveto: «Mosè, Mosè!».
Rispose: «Eccomi!». Riprese: «Non avvicinarti
oltre! Togliti i sandali dai piedi, perché il
luogo sul quale tu stai è suolo santo!». E
disse: «Io sono il Dio di tuo padre, il Dio di
Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe ».
Mosè allora si coprì il volto, perché aveva
paura di guardare verso Dio. Il Signore disse:
«Ho osservato la miseria del mio popolo in
Egitto e ho udito il suo grido a causa dei suoi
sovrintendenti: conosco le sue sofferenze. Sono
sceso per liberarlo dal potere dell’Egitto e per
farlo salire da questa terra verso una terra
bella e spaziosa, verso una terra dove scorrono
latte e miele, verso il luogo dove si trovano il
Cananeo, l’Ittita, l’Amorreo, il Perizzita,
l’Eveo, il Gebuseo. Ecco, il grido degli
Israeliti è arrivato fino a me e io stesso ho
visto come gli Egiziani li opprimono. Perciò
va’! Io ti mando dal faraone. Fa’ uscire
dall’Egitto il mio popolo, gli Israeliti!». Mosè
disse a Dio: «Chi sono io per andare dal faraone
e fare uscire gli Israeliti dall’Egitto?».
Rispose: «Io sarò con te. Questo sarà per te il
segno che io ti ho mandato: quando tu avrai
fatto uscire il popolo dall’Egitto, servirete
Dio su questo monte». Mosè disse a Dio: «Ecco,
io vado dagli Israeliti e dico loro: “Il Dio dei
vostri padri mi ha mandato a voi”. Mi diranno:
“Qual è il suo nome?”. E io che cosa risponderò
loro?». Dio disse a Mosè: «Io sono colui che
sono!». E aggiunse: «Così dirai agli Israeliti:
“Io-Sono mi ha mandato a voi”». Dio disse ancora
a Mosè: «Dirai agli Israeliti: “Il Signore, Dio
dei vostri padri, Dio di Abramo, Dio di Isacco,
Dio di Giacobbe mi ha mandato a voi”. Questo è
il mio nome per sempre; questo è il titolo con
cui sarò ricordato di generazione in
generazione». Esodo. 3, 1-15
Mosè, che è cresciuto alla corte del Faraone, ha
preso coscienza della sua appartenenza al popolo
schiavo degli ebrei che lavora per i dominatori,
e quindi vive con sofferenza il dover assistere
alla violenza, all'ingiustizia ed alla
sopraffazione della classe dirigente a cui egli
stesso appartiene. Mentre è ancora famoso in
autorevolezza, perché appartenente alla corte,
si intromette in un episodio di lavoro dove il
sovrintendente egiziano maltratta uno schiavo
ebreo. Mosè, che ne ha preso le difese, arriva
ad uccidere l'aggressore (Es 1,11-15). Ma
quando, il giorno dopo, capisce che l'omicidio è
stato scoperto e lo si incolpa, ormai, quasi
pubblicamente, ha paura e fugge mettendosi in
salvo nel deserto. Là si forma la sua
famiglia, si inserisce nella cultura del luogo,
accetta limiti e si guadagna la sua
tranquillità. Ma Dio lo scuote. Davanti
all'ingiustizia non si può restare in pace. "Vai
a liberare il popolo poiché è il popolo di
Abramo, Isacco e Giacobbe, amici a cui ho
garantito protezione per loro e i loro
discendenti!" Dio ha bisogno di collaboratori
e sembra che ad essi offra poco. Ma è un
rapporto di amici, non un rapporto commerciale.:
"Una presenza nel roveto che brucia senza
consumarsi; la garanzia che Mosè riuscirà a
vincere la resistenza del Faraone e che tornerà
con il popolo a celebrare proprio su quel monte
il ringraziamento; infine una concessione
inimmaginabile: Dio svela il suo Nome, tanto
misterioso quanto impronunciabile. E gli ebrei
non diranno mai il tetragramma sacro: YHWH,
perché pronunciarlo è come concretizzarlo,
renderlo cosa o idolo, possesso e potere sul
Nome. Lo sostituiranno, invece, nella lettura
biblica, con Adonai (il Signore), Eloim (plurale
di El, un nome collettivo che indica la
divinità) e Ha-Shem (il Nome per
eccellenza).Tale parola intraducibile lo si può
accostare al verbo "essere" ma non per dire:
"Dio è l'Essere", lettura filosofica, usata
anche nel Catechismo di Pio X (1905), ma "Dio è
l'esserci". "Sono presente al tuo presente e in
ogni tempo sono presente e fedele. E se ho
promesso, mantengo la parola data". Il
significato si estende con il: "Sono fedele alla
mia Parola. Sono misericordioso e perdono poiché
mi occupo di chi soffre e si lamenta. Per me
il lamento è preghiera, anche se chi lo urla o
lo sussurra non sa, che ascolto o non mi conosce
e pensa di gridarlo nell'infinito spazio vuoto e
silenzioso dell'universo. Perciò tu va e non
avere paura". Mosè è il mediatore, la voce di
Dio per il popolo, la voce della libertà e della
giustizia. E questo è anche il compito di Gesù,
il nuovo Mosé (Gv5,46: Mt5,17) ed è il compito
dei credenti in Gesù che hanno il compito di
concludere ogni giorno questa avventura di Dio
nel mondo, come suoi collaboratori. |
1Cor 2, 1-7 Anch’io,
fratelli, quando venni tra voi, non mi presentai ad annunciarvi
il mistero di Dio con l’eccellenza della parola o della
sapienza. Io ritenni infatti di non sapere altro in mezzo a voi
se non Gesù Cristo, e Cristo crocifisso. Mi presentai a voi
nella debolezza e con molto timore e trepidazione. La mia parola
e la mia predicazione non si basarono su discorsi persuasivi di
sapienza, ma sulla manifestazione dello Spirito e della sua
potenza, perché la vostra fede non fosse fondata sulla sapienza
umana, ma sulla potenza di Dio. Tra coloro che sono perfetti
parliamo, sì, di sapienza, ma di una sapienza che non è di
questo mondo, né dei dominatori di questo mondo, che vengono
ridotti al nulla. Parliamo invece della sapienza di Dio, che è
nel mistero, che è rimasta nascosta e che Dio ha stabilito prima
dei secoli per la nostra gloria.
Prima
lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi. 2, 1-7 Paolo
ripensa, mentre scrive la sua lettera, al primo impatto che ha
avuto in questa comunità cristiana greca in cui, tuttavia, si è
fermato 3 anni circa. E' arrivato intimidito, incapace di
discorsi sublimi, portatore di un messaggio che, senz'altro, è
una pazzia proporre, poiché nel mondo greco bisogna offrire
esempi di sapienza e non la parola di "un barbaro" (così sono
considerati gli ebrei), in più rifiutato dai suoi stessi
compatrioti e giustiziato. E tuttavia Paolo non si scoraggia
poiché i primi incontri sono con persone semplici, di umili
origini, che non contano molto nella società:26Considerate
infatti la vostra chiamata, fratelli: non ci sono fra voi molti
sapienti dal punto di vista umano, né molti potenti, né molti
nobili" (1,26). Sono i disprezzati e Paolo vi vede il segno
della predilezione di Dio. Una proposta assurda, partita da un
apostolo senza particolari qualità oratorie e anzi mal
giudicato, se Paolo stesso, in un'altra lettera ai Corinzi ( la
seconda), così sintetizza il giudizio che circola su di lui: "Le
sue lettere sono dure e forti, ma la sua presenza fisica è
debole e la sua capacità di fare discorsi è modesta "
(2Cor10,10). Paolo ha riportato questo giudizio sopra di sé e
se n'è risentito; e tuttavia si rende conto che tutto quello che
ha seminato ha fatto frutto. Non certo per suo merito, ma per la
forza della Parola che penetra nel cuore e non ha bisogno di
altri supporti, salvo gli annunciatori che la trasmettono.
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Mt 11, 27-30 In quel tempo. Il Signore Gesù disse: «Tutto è stato
dato a me dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno
conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo.
Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro.
Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di
cuore, “e troverete ristoro per la vostra vita”. Il mio giogo infatti è dolce
e il mio peso leggero». Matteo. 11, 27-30 Matteo
costruisce nel suo Vangelo la traccia di un orizzonte che, in un primo tempo
ha sperato che manifestasse i trionfi di Gesù in Galilea. Invece, dopo i
primi entusiasmi, Gesù incontra il rifiuto della Parola e del suo Vangelo.
Così, nei due capitoli 11-12 vengono elencate le difficoltà. In questa caduta
di risultati, però, diventa sconcertante la preghiera di ringraziamento al
Padre e lo svelarsi del Regno, pur nella sconfitta. - Perplessità del
Battista che si interroga sulla sua profezia circa le scelte di Gesù:
11,2-19; - l'opposizione della città del lago: 12,20-24; - "i piccoli"
aderiscono a Cristo: 11,25-30; - contestazione a Gesù sulla sua
interpretazione del riposo sabbatico: 12,1-14; - Gesù (come il servo di Is
42,1-4) non demolisce né chiude con gli oppositori; si ritira: 12,15-21: -
accuse a Gesù di intesa con satana: 12,22-45; - la nuova famiglia:
12,46-50. Gesù non si spaventa né si rammarica. Quello che dice è
all'interno di una "benedizione" di lode al Padre come usa fare ogni buon
israelita: "Ti rendo lode." Corrisponde al "Sto vivendo la tua logica e la
tua volontà, Padre. Lo verifico mentre tu costruisci un rapporto con la
speranza dei piccoli che non sono sapienti né intelligenti". Gesù non fa
l'elogio della ignoranza. Ognuno deve maturare la propria sapienza. Ma
proprio questa deve aiutarci ad incontrare il Signore, le sue scelte di
libertà e i nostri compagni di viaggio che sono i piccoli. Anzi ci chiede di
farci umili e poveri. E questa è la vera sapienza. Se
invece la tua sapienza ti costruisce un piedestallo, la tua religiosità e la
tua costruzione diventano complesse, caotiche, oppressive, indegne del dono
di Dio. Ti costruisci un giogo che uccide e angoscia. Con questa religiosità
non incontri più Dio. La legge di Dio è un giogo. Il Siracide ne parla in una
raccomandazione al figlio: "Introduci i tuoi piedi nei suoi ceppi, il tuo
collo nella sua catena. Piega la tua spalla e portala, non infastidirti dei
suoi legami. Avvicinati ad essa con tutta l'anima e con tutta la tua forza
osserva le sue vie. Segui le sue orme, ricercala e ti
si manifesterà, e quando l'hai raggiunta, non lasciarla. Alla fine in essa
troverai riposo ed essa si cambierà per te in gioia"(Sir 6,24-28). C'è
sempre un giogo, una sottomissione, un rapporto di verifica da fare poiché
nessuno è talmente grande da poter fare a meno delle scelte di valore per sé,
per i suoi desideri e le sue tracce di vita. Il Signore Gesù ci dice:
"Scegliete il mio giogo che non vi fa impazzire per la complessità, che non
vi mette nella condizione perenne di colpa e di indegnità. La proposta del
giogo è quella del voler bene senza respingere nessuno. Gesù, davanti ad
un bilancio deludente, si rallegra poiché i piccoli e i poveri lo accolgono
mentre i ricchi e i sapienti si allontanano. Tutto porterebbe allo
scoraggiamento.
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