
II Domenica di Avvento
I figli del Regno
22 NOVEMBRE 2020
Mt 3, 1-12
Riferimenti : Is 51, 7-12a - SALMO 47 - Rm 15, 15-21 |
Il tuo nome, o Dio, si estende ai confini della
terra. Grande è il Signore e degno di ogni lode nella città del
nostro Dio. La tua santa montagna, altura stupenda, è la gioia
di tutta la terra. |
Is 51, 7-12a Così dice il
Signore Dio: «Ascoltatemi, esperti della
giustizia, popolo che porti nel cuore la mia
legge. Non temete l’insulto degli uomini, non vi
spaventate per i loro scherni; poiché le tarme
li roderanno come una veste e la tignola li
roderà come lana, ma la mia giustizia durerà per
sempre, la mia salvezza di generazione in
generazione. Svégliati, svégliati, rivèstiti di
forza, o braccio del Signore. Svégliati come nei
giorni antichi, come tra le generazioni passate.
Non sei tu che hai fatto a pezzi Raab, che hai
trafitto il drago? Non sei tu che hai
prosciugato il mare, le acque del grande abisso,
e hai fatto delle profondità del mare una
strada, perché vi passassero i redenti?
Ritorneranno i riscattati dal Signore e verranno
in Sion con esultanza; felicità perenne sarà sul
loro capo, giubilo e felicità li seguiranno,
svaniranno afflizioni e sospiri. Io, io sono il
vostro consolatore». Is 51,
7-12a Con il capitolo 51 inizia il grande
poema della restaurazione di Sion, annunciata
ancora durante il periodo dell'esilio in
Babilonia dal "DeuteroIsaia (secondo Isaia)".
Sono i testi della speranza e della
consolazione, ma iniziano con i richiami alla
responsabilità e alla operosità: "Ascoltatemi,
cercate il Signore, guardate alla roccia da cui
siete stati tagliati, guardate ad Abramo e
Sara..." (51,1-3). Il testo vuole dare delle
garanzie che si appoggiano sulla forza della
promessa del Signore, oltre che sulla libertà,
l'accoglienza e la fiducia del popolo deportato
che deve aprirsi alla speranza. Il popolo sta
sperimentando, comunque, la vittoria del Signore
perché, nella sua consapevolezza, si nutre di
gloria del suo passato e della legge del Signore
che è nel suo cuore. Quindi vive la prospettiva
dell'Alleanza. Non deve, perciò, scoraggiarsi
delle difficoltà che incontra, non deve temere
il disonore e gli oltraggi negli uomini
vincitori. Essi saranno trattati come i vestiti
attaccati dalle tarme, mentre la giustizia di
Dio rimane in eterno. Vengono quindi
ricordate la creazione di Dio e la vittoria sui
grandi mostri marini. Il ricordo dei mostri è
parte integrante dei racconti dei popoli vicini
sull'inizio del mondo. Sono chiamati Raab, o il
drago (Leviatano) o l'abisso (Tehom). Sullo
sfondo la rilettura del passato fa intravvedere
l'azione di Dio sul mare che si apre, sui
salvati che camminano su un sentiero tracciato
nel mare, sulla certezza che gli ostacoli non
distruggono il popolo che si fida di Dio, ma
piuttosto resta unito e intatto. La preghiera si
rivolge alla forza di Dio (il suo "braccio") e
invoca tre volte: "Svegliati", rivolto a Dio,
per incominciare ad operare, oggi, ciò che il
Signore ha compiuto in passato per liberare
questo popolo. Ed è sicuro che questo popolo
tornerà con esultanza, giubilo e felicità. Il
testo conclude con una risposta che Dio stesso
dà all'invocazione di Israele: "Io, e lo ripete,
io sarò il tuo consolatore". Il testo incoraggia
ad avere fiducia nei momenti di difficoltà. Il
Signore, attraverso il profeta, garantisce la
sua attenzione perché sa mantenere le promesse e
tuttavia è necessario che il popolo mantenga nel
cuore la legge (v 12). Nella liberazione si
accompagna sempre il coraggio della giustizia.
Non è però automatica, ma è dono di Dio cui ci
si unisce con la responsabilità. Ed è anche il
problema del nostro tempo e della nostra crisi.
Mantenere la giustizia non ci deve solo far
pensare al nome di chi è già garantito e di chi
sta bene, ma, di volta in volta, fa sperare di
riprogrammare una nuova convivenza in cui tutti
possano godere del necessario. Il profeta ci
incoraggia perché possiamo chiedere al Signore
di essere "rivestiti di forza", di entusiasmo,
come nei tempi passati, di liberazione e di
grazia come e quanto abbiamo sperimentato nei
momenti migliori della nostra storia.
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Rm 15, 15-21 Fratelli, su alcuni
punti, vi ho scritto con un po’ di audacia, come per ricordarvi
quello che già sapete, a motivo della grazia che mi è stata data
da Dio per essere ministro di Cristo Gesù tra le genti,
adempiendo il sacro ministero di annunciare il vangelo di Dio
perché le genti divengano un’offerta gradita, santificata dallo
Spirito Santo. Questo dunque è il mio vanto in Gesù Cristo nelle
cose che riguardano Dio. Non oserei infatti dire nulla se non di
quello che Cristo ha operato per mezzo mio per condurre le genti
all’obbedienza, con parole e opere, con la potenza di segni e di
prodigi, con la forza dello Spirito. Così da Gerusalemme e in
tutte le direzioni fino all’Illiria, ho portato a termine la
predicazione del vangelo di Cristo. Ma mi sono fatto un punto di
onore di non annunciare il Vangelo dove era già conosciuto il
nome di Cristo, per non costruire su un fondamento altrui, ma,
come sta scritto: «Coloro ai quali non era stato annunciato, lo
vedranno, e coloro che non ne avevano udito parlare,
comprenderanno». Rm15, 15-21 Paolo, ormai al
termine della sua lettera alla comunità di Roma, vuole chiarire
l'audacia che gli ha permesso di scrivere ad una comunità che
egli non ha fondato e in cui è sicuro che esistano valori,
coerenze e chiarezze di fede, ricevuti da altri apostoli. Perciò
la sua lettera potrebbe, addirittura, essere superflua e
tuttavia ritiene di avere giustamente operato perché egli si
sente ministro di Dio presso i pagani e quindi collaboratore con
i romani nella loro società enorme e fastosa in cui essi vivono.
Egli sente di compiere, attraverso la predicazione del Vangelo,
un'offerta sacrificale, un gesto di culto con i pagani che
accolgono, nella fede, la parola di Gesù e sa di costruire un
popolo nuovo che muore al peccato (con il battesimo) e vive
nella forza di Gesù risorto. L'apostolo si gloria del suo
lavoro, ma lo fa senza orgoglio e senza vanità perché tutto
avviene per Gesù che è presente in quest'opera, che Paolo ha
accettato di sviluppare, essendo messaggero. Egli ha la fiducia
di operare solo ciò che vale per Cristo, facendo esperienza di
una abbondante fecondità, assicurata della grazia di Gesù,
avendo percorso e fondato varie comunità, da Gerusalemme alla
Illiria (una regione sull'alta Grecia e l'Albania, oltre la
Macedonia e prospiciente l'Italia attraverso l'Adriatico). Negli
Atti degli apostoli non c'è traccia di una evangelizzazione
nella Illiria ma, idealmente, Paolo può dire che il suo
itinerario, venendo dall'oriente e proiettato in occidente, si
collega con l'evangelizzazione che si sta sviluppando in Italia.
Questo corrisponde alla vocazione di una predicazione in tutto
il mondo. Paolo vuole, comunque, oltrepassare Roma per
avventurarsi verso la Spagna. L'apostolo assicura che il suo
lavoro di evangelizzatore vuole svilupparsi su terreni vergini e
non vuol fare l'esperienza che egli stesso ha fatto, e cioè
l'avventura di missionari senza scrupoli che sono passati nelle
comunità da Paolo, precedentemente fondate, per criticarne
l'operato e quindi sconvolgere un equilibrio ed un cammino
sempre difficile per una comunità, soprattutto se iniziale. Il
brano ci ricorda il grande desiderio di Gesù di raggiungere ogni
popolo della terra per portare la speranza e la garanzia
dell'amore di Dio. E di questo progetto se ne fa carico il
popolo di Dio, riconoscendo la dignità di ciascuno mentre
sviluppa, insieme, tutta la discrezione possibile per il
rispetto di ogni persona, ma anche la generosità e la bontà
suggerite ai suoi discepoli da Gesù che corrisponderebbe a:
"ognuno ha diritto di essere felice".
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Mt 3, 1-12 In quei giorni venne Giovanni il Battista e predicava nel
deserto della Giudea dicendo: «Convertitevi, perché il regno dei cieli è
vicino!». Egli infatti è colui del quale aveva parlato il profeta Isaia
quando disse: «Voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del
Signore, raddrizzate i suoi sentieri!». E lui, Giovanni, portava un vestito
di peli di cammello e una cintura di pelle attorno ai fianchi; il suo cibo
erano cavallette e miele selvatico. Allora Gerusalemme, tutta la Giudea e
tutta la zona lungo il Giordano accorrevano a lui e si facevano battezzare da
lui nel fiume Giordano, confessando i loro peccati. Vedendo molti farisei e
sadducei venire al suo battesimo, disse loro: «Razza di vipere! Chi vi ha
fatto credere di poter sfuggire all’ira imminente? Fate dunque un frutto
degno della conversione, e non crediate di poter dire dentro di voi: “Abbiamo
Abramo per padre!”. Perché io vi dico che da queste pietre Dio può suscitare
figli ad Abramo. Già la scure è posta alla radice degli alberi; perciò ogni
albero che non dà buon frutto viene tagliato e gettato nel fuoco. Io vi
battezzo nell’acqua per la conversione; ma colui che viene dopo di me è più
forte di me e io non sono degno di portargli i sandali; egli vi battezzerà in
Spirito Santo e fuoco. Tiene in mano la pala e pulirà la sua aia e
raccoglierà il suo frumento nel granaio, ma brucerà la paglia con un fuoco
inestinguibile».
Mt 3, 1-12 Nel brano del Vangelo,
tratto da Matteo (3,1-12), campeggia la figura di Giovanni Battista, il
precursore, colui che prepara la via del Signore, immergendo nelle acque del
Giordano chi si riconosce operatore di malvagità, peccatore. Perché
il problema è di cambiare mentalità, convertirsi dall'ingiustizia alla
giustizia, dall'egoismo all'accoglienza, dal proprio tornaconto all'apertura
del cuore perché lo Spirito Santo, cioè la vita di Dio, possa mettere radici
e operare il cambiamento delle coscienze. Colpisce il coraggio di Giovanni
che ha l'aspetto austero dell'uomo di Dio, investito e consapevole di un
compito grande da realizzare con prontezza e senza distrazioni: "Il regno di
Dio è vicino". Senza peli sulla lingua e senza falsi rispetti umani. Anche
Marco (1,15) dice: "Il regno di Dio è vicino", mentre Luca (17,20)
garantisce: "Il regno di Dio è in mezzo a voi". Per questo non si può
rimanere quelli di prima. C'è bisogno di capovolgere i propri criteri, le
proprie piccole logiche, per aprirsi a credere con tutto se stesso che
davvero il Signore è qui ed è pronto a cambiare le cose nella misura in cui
ci fidiamo di Lui, ci abbandoniamo a lui. Ci aggrappiamo a Lui anche nel buio
più buio. Certo, farà giustizia con il ventilabro, ma il suo amore di Padre è
pronto a fare "nuove" tutte le cose, a trasformare cuori di pietra in cuori
di carne. Sensibili e palpitanti. Mi piace pensare di vivere questo tempo di
avvento come un "capovolgimento", come una ripresa di primavera, proprio in
momenti di crisi, di disorientamento, di smarrimento, di cattiveria e di
violenze, come quelli in cui ci troviamo a vivere. Giovanni grida a voce alta
la malvagità del mondo. Tutti accorrono, anche persone religiosamente
altolocate come farisei e sadducei. La seduzione del perdono è grande,
inaspettata. Gesù, assieme alla fermezza, porterà il sorriso, appunto
capovolgendo il modo di vedere gli uomini nel modo di essere di Dio, di
che-non dimentichiamolo-ama tutti e ciascuno. |