
III Domenica di Avvento
29 novenbre 2020
Gv 5, 33-39
Riferimenti : Is 51, 1-6 - Sal 45 - 2Cor 2, 14-16a |
Nostro rifugio è il Dio di Giacobbe. Dio è per
noi rifugio e fortezza, aiuto infallibile si è mostrato nelle
angosce. Perciò non temiamo se trema la terra, se vacillano i
monti nel fondo del mare. |
Is 51, 1-6 Così dice il
Signore Dio: «Ascoltatemi, voi che siete in
cerca di giustizia, voi che cercate il Signore;
guardate alla roccia da cui siete stati
tagliati, alla cava da cui siete stati estratti.
Guardate ad Abramo, vostro padre, a Sara che vi
ha partorito; poiché io chiamai lui solo, lo
benedissi e lo moltiplicai. Davvero il Signore
ha pietà di Sion, ha pietà di tutte le sue
rovine, rende il suo deserto come l’Eden, la sua
steppa come il giardino del Signore. Giubilo e
gioia saranno in essa, ringraziamenti e melodie
di canto! Ascoltatemi attenti, o mio popolo; o
mia nazione, porgetemi l’orecchio. Poiché da me
uscirà la legge, porrò il mio diritto come luce
dei popoli. La mia giustizia è vicina, si
manifesterà la mia salvezza; le mie braccia
governeranno i popoli. In me spereranno le
isole, avranno fiducia nel mio braccio. Alzate
al cielo i vostri occhi e guardate la terra di
sotto, poiché i cieli si dissolveranno come
fumo, la terra si logorerà come un vestito e i
suoi abitanti moriranno come larve. Ma la mia
salvezza durerà per sempre, la mia giustizia non
verrà distrutta». Isaia 51, 1-6
Ci troviamo verso la fine dell'esilio di
Babilonia (sec. VI a.C.) e il profeta anonimo,
detto Secondo Isaia, vuole incoraggiare il suo
popolo perché incominci a intravedere un futuro
di liberazione. Il profeta sa che il Signore
mantiene le sue promesse e quindi osa smuovere
la desolazione e la rassegnazione con un
richiamo fortissimo. Tutto il capitolo 51,
giocato sulla garanzia di Dio che finalmente
parla di novità, per tre volte richiama il verbo
"ascoltare": un verbo prezioso e di dialogo, qui
ricordato nei primi 8 versetti. E' Dio stesso
che parla al suo popolo. Vengono insieme
collegate le grandi tappe del mondo: la
creazione, la storia e la sua conclusione
(escatologia). Ma tutto è nelle mani del Dio
provvidente. Il popolo è invitato a sperare, a
credere, a ripensare alle proprie origini. Il
messaggio, tuttavia, è rivolto e quindi è
interpretabile" da chi cerca la giustizia, da
chi cerca il Signore". MIl primo elemento è
perciò l'attesa operosa, il desiderio di trovare
soluzioni, la speranza che Dio possa aprire
progetti. E questo è il significato della
preghiera che deve essere tessuta di attese, di
storia di popolo, di progetti che si innestano
nelle linee di Dio. La prima risposta rimanda
alla roccia e alla cava: sono realtà che fanno
riferimento alla pietra, che ha caratteri di
solidità. Dio stesso è roccia. La fede è
richiamo alla roccia con il nostro Amen. Abramo
e Sara, che vivono un matrimonio sterile, sono
la radice di molti popoli. E' un avvertimento
convincente di quanto il Signore è capace di far
discendere da loro popoli e speranza. |
2Cor 2, 14-16a Fratelli, siano
rese grazie a Dio, il quale sempre ci fa partecipare al suo
trionfo in Cristo e diffonde ovunque per mezzo nostro il profumo
della sua conoscenza! Noi siamo infatti dinanzi a Dio il profumo
di Cristo per quelli che si salvano e per quelli che si perdono;
per gli uni odore di morte per la morte e per gli altri odore di
vita per la vita. 2Corinzi 2,14-16b. Paolo
ha incontrato molte difficoltà a Corinto per una opposizione tra
un gruppo di apostoli e una Chiesa che essi hanno fondato. Una
persona di una certa autorevolezza, ma si discute chi fosse,
aveva fortemente criticato il Vangelo predicato da Paolo e dai
suoi collaboratori. E i Corinzi, da poco evangelizzati, si erano
lasciati sedurre ed avevano abbandonato Paolo. A questo punto,
dalle notizie ricevute, l'apostolo prese la decisione di non
troncare il rapporto, ma preferì scrivere piuttosto che recarsi
di persona nella sua comunità. La lettera, portata da Tito,
produsse effetti positivi. Così Paolo si rappacificò con i
cristiani di Corinto. Il testo, che abbiamo letto, troppo breve
per inglobare discussioni e tensioni esistenti, ci presenta una
immagine curiosa che però faceva colpo sulla folla perché si
esprimeva in un apparato maestoso, tra folle esultanti e
apparati fastosi. Cristo viene paragonato ad un generale romano,
vincitore su un esercito nemico, e quindi conquistatore, per cui
il Senato ha organizzato un trionfo. Così il vincitore sfilava
su un carro, circondato dai suoi ufficiali più importanti,
mentre i nemici vinti seguivano incatenati e giovani donne
spargevano petali di fiori e profumo lungo le strade. Dovevano
esserci anche bracieri in cui particolari essenze venivano
bruciate mentre la folla festante si inebriava e si esaltava,
commossa e orgogliosa, di essere partecipe della gloria del
vincitore. Così oggi Dio percorre il mondo con il suo carro
trionfale dell'Evangelo e con Lui gli apostoli diffondono, con
la predicazione, la conoscenza di Dio come un buon profumo che
inebria e fa esplodere la novità e la gioia. Mentre Dio è
l'autore della vita e della morte, compito degli apostoli è
quello di essere ministri della Parola e quindi non debbono
trafficare, barattare, alterare e mascherare la Parola del
Signore. Paolo denuncia l'esistenza di falsi apostoli insinceri,
preoccupati del propri interesse che alteravano la Parola di
Gesù.
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Gv 5, 33-39 In quel tempo. Il Signore Gesù disse:
«Voi avete inviato dei messaggeri a Giovanni ed egli ha dato testimonianza
alla verità. Io non ricevo testimonianza da un uomo; ma vi dico queste cose
perché siate salvati. Egli era la lampada che arde e risplende, e voi solo
per un momento avete voluto rallegrarvi alla sua luce. Io però ho una
testimonianza superiore a quella di Giovanni: le opere che il Padre mi ha
dato da compiere, quelle stesse opere che io sto facendo, testimoniano di me
che il Padre mi ha mandato. E anche il Padre, che mi ha mandato, ha dato
testimonianza di me. Ma voi non avete mai ascoltato la sua voce né avete mai
visto il suo volto, e la sua parola non rimane in voi; infatti non credete a
colui che egli ha mandato. Voi scrutate le Scritture, pensando di avere in
esse la vita eterna: sono proprio esse che danno testimonianza di me».
Giovanni. 5, 33-39. Se leggiamo attentamente il testo di oggi, ci
accorgiamo subito della frequenza della parola "testimonianza". Questa
parola, immediatamente, evoca in noi qualcosa di giuridico, di legale. Certo,
anche nel nostro linguaggio, assume questa accezione specifica. Ma nel
Vangelo di Giovanni ha un significato più ampio e più profondo che il termine
greco "marturya" non esprime completamente. Infatti Giovanni sta parlando da
ebreo, perciò con un sottofondo che invia all'essenza della persona e
all'intreccio delle relazioni. Testimonianza qui vuol dire "dare credito"
incondizionato a Gesù. E c'è un crescendo di "testimonianze": da Giovanni
Battista, alle opere di Gesù, al Padre, alle Scritture. Ma è bello anche
accorgersi che Gesù non solo riceve testimonianze, ma le dà: al Padre, a
Giovanni, a chiunque entra in relazione con lui, lasciandosi incontrare e
chiamare. E' un darsi credito a vicenda, un fidarsi reciproco, un confermare
la propria scommessa sul Signore, un riconquistare la validità, il desiderio,
la passione di una ricerca (" Signore, dove abiti?" "Ma chi andremo,
Signore?"). Che bella parola - testimonianza- marturya! A dire la lealtà
reciproca, l'appoggio, la speranza di verità, la bellezza di un ritrovarsi,
la passione del condividere e del partecipare. |