 III Domenica di Pasqua
18 aprile 2021
Gv 14, 1-11a
Riferimenti : At 16, 22-34 - Sal 97 - Col 1, 24-29 |
Il Signore ha rivelato ai popoli la sua
giustizia. Cantate al Signore un canto nuovo, perché ha compiuto
meraviglie. Gli ha dato vittoria la sua destra e il suo braccio
santo. |
At 16, 22-34 In quei giorni. La
folla insorse contro Paolo e Sila e i
magistrati, fatti strappare loro i vestiti,
ordinarono di bastonarli e, dopo averli caricati
di colpi, li gettarono in carcere e ordinarono
al carceriere di fare buona guardia. Egli,
ricevuto quest’ordine, li gettò nella parte più
interna del carcere e assicurò i loro piedi ai
ceppi. Verso mezzanotte Paolo e Sila, in
preghiera, cantavano inni a Dio, mentre i
prigionieri stavano ad ascoltarli. D’improvviso
venne un terremoto così forte che furono scosse
le fondamenta della prigione; subito si aprirono
tutte le porte e caddero le catene di tutti. Il
carceriere si svegliò e, vedendo aperte le porte
del carcere, tirò fuori la spada e stava per
uccidersi, pensando che i prigionieri fossero
fuggiti. Ma Paolo gridò forte: «Non farti del
male, siamo tutti qui». Quello allora chiese un
lume, si precipitò dentro e tremando cadde ai
piedi di Paolo e Sila; poi li condusse fuori e
disse: «Signori, che cosa devo fare per essere
salvato?». Risposero: «Credi nel Signore Gesù e
sarai salvato tu e la tua famiglia». E
proclamarono la parola del Signore a lui e a
tutti quelli della sua casa. Egli li prese con
sé, a quell’ora della notte, ne lavò le piaghe e
subito fu battezzato lui con tutti i suoi; poi
li fece salire in casa, apparecchiò la tavola e
fu pieno di gioia insieme a tutti i suoi per
avere creduto in Dio. Atti
degli Apostoli 16, 22-34 Il racconto degli
Atti degli Apostoli, che leggiamo oggi, è
interessantissimo per uno stile di novità e di
libertà che dimostra; nella linea della Pasqua,
si respira il senso della speranza e della gioia
della salvezza. Paolo, a Filippi, colonia
romana della Macedonia, si trova presto in
difficoltà. Una commerciante di porpora, Lidia,
si è convertita con la sua famiglia ed ha
accolto Paolo a casa sua per ospitalità,
"costringendolo". Paolo, che è restio a
dipendere dagli altri, in questa occasione
accetta e inizia una vita quotidiana di buoni
credenti in terra pagana (At16,16-21),
suscitando però malumore. Ma ne suscita ancor
più un fatto che era già capitato, spesso, a
Gesù (Lc4,34-41): delle persone, accusate come
indemoniate, gridavano a Gesù il fatto che fosse
un Giusto e Figlio di Dio.. Qui una schiava di
una famiglia ricca, che aveva uno spirito di
divinazione e faceva l'indovina, procurando
molto guadagno ai suoi padroni, insegue
frequentemente per la strada Paolo, continuando
a gridare: «Questi uomini sono servi del Dio
Altissimo e vi annunciano la via della
salvezza», Paolo non sopporta la cosa e la fa
tacere. "rivolgendosi allo spirito di uscire da
lei. Lo spirito uscì". Ma i padroni di lei si
sentono defraudati e quindi lo accusano per la
sua religione giudaica, dai romani per sé
solamente "tollerata", ma che suscita
frequentemente tensione, obbligando le autorità
a dimostrarsi intransigenti. In carcere Paolo
e Sila, nonostante la flagellazione e le
percosse, mantengono un atteggiamento sereno:
pregano e cantano inni fino a mezzanotte. I
carcerati ne sono meravigliati, anzi affascinati
poiché questi due ultimi incarcerati dimostrano,
qui, una libertà di cuore ed una disponibilità
inconcepibili. Un improvviso terremoto, che
fa cadere le catene e scardina le porte, può
portare alla fuga. Se un carceriere non ferma i
fuggitivi, potrebbe ricevere un castigo
drammatico. E infatti, quando il carceriere si
rende conto delle porte spalancate, nella sua
disperazione vorrebbe suicidarsi. Ma Paolo si
preoccupa di lui e lo salva dalla angoscia. La
conseguenza è la conversione di questa famiglia
riconoscente (non si dice nulla degli altri
prigionieri).
|
Col 1, 24-29 Fratelli, io sono
lieto nelle sofferenze che sopporto per voi e do compimento a
ciò che, dei patimenti di Cristo, manca nella mia carne, a
favore del suo corpo che è la Chiesa. Di essa sono diventato
ministro, secondo la missione affidatami da Dio verso di voi di
portare a compimento la parola di Dio, il mistero nascosto da
secoli e da generazioni, ma ora manifestato ai suoi santi. A
loro Dio volle far conoscere la gloriosa ricchezza di questo
mistero in mezzo alle genti: Cristo in voi, speranza della
gloria. È lui infatti che noi annunciamo, ammonendo ogni uomo e
istruendo ciascuno con ogni sapienza, per rendere ogni uomo
perfetto in Cristo. Per questo mi affatico e lotto, con la forza
che viene da lui e che agisce in me con potenza.
Colossesi 1, 24-29 Paolo sta vivendo, ormai anziano, un tempo
di inattività poiché è in carcere. Da qui scrive quattro lettere
dette "della prigionia" (ai Filippesi, agli Efesini, ai
Colossesi e a Filemone). Esse rappresentano un bilancio ed una
scoperta, nello stesso tempo, per sé e per gli altri. Ripensando
alla sua vita che ha offerto con gioia al Signore Gesù, Paolo sa
che ha continuato a condividere con Lui la sua fatica e la
sofferenza di una trasformazione e di una attesa che è
"tribolazione" prima che avvenga la conclusione della storia.
Questa fatica, che si accompagna a quella di Gesù, porta gioia
anche perché è il suo contributo al crescere della Chiesa e alla
fede dei credenti a cui scrive, sentendosi affezionato a loro.
Ora sta valutando i tanti passi, le peripezie e le scelte, il
ministero come risposta alla missione affidatagli per un mondo
che si è svelato. Paolo sa di avere particolarmente contribuito
a scoprire e a vivere, con gli altri, il grande segreto di Dio
che si è manifestato passo passo ("il mistero nascosto") e che
ha coinvolto tutta l'umanità, ebrei e pagani. Attraverso lui
Cristo ha continuato a sviluppare la sua opera e quindi vede con
gioia fiorire la Chiesa: luogo di salvezza di un unico popolo e
di un unico corpo. Paolo si sente testimone e collaboratore di
quel mistero, che si è svelato e che lui ha sperimentato, per
cui tutto il mondo ritorna ad essere unito in Gesù. E questa è
la sua gioia, pur nella fatica. Ma sa che ogni uomo deve
collaborare nella salvezza, senza preclusione e illusioni a buon
mercato, poiché ogni uomo è chiamato ad essere "perfetto in
Cristo". La fatica e la lotta dell'apostolo per arrivare
all'unità, svelata da Dio, sono possibili perché ciascuno vive
la forza che Dio stesso ha dato e dà: e sarà sorretto nella sua
generosità, continuando a vedere maturare i frutti. Lo
spirito da vivere nella Chiesa è, perciò, uno spirito di
condivisione, di preghiera, di coraggio per un mondo che cresce,
anche se spesso riscontriamo povertà e limiti in noi, prima di
tutto, e poi nella Chiesa stessa.

Interno del piano superiore del Cenacolo.
Sala abbellita
posteriormente dai Crociati. |
Gv 14, 1-11a In quel tempo. Il Signore Gesù
disse ai discepoli: «Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e
abbiate fede anche in me. Nella casa del Padre mio vi sono molte dimore. Se
no, vi avrei mai detto: “Vado a prepararvi un posto”? Quando sarò andato e vi
avrò preparato un posto, verrò di nuovo e vi prenderò con me, perché dove
sono io siate anche voi. E del luogo dove io vado, conoscete la via». Gli
disse Tommaso: «Signore, non sappiamo dove vai; come possiamo conoscere la
via?». Gli disse Gesù: «Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al
Padre se non per mezzo di me. Se avete conosciuto me, conoscerete anche il
Padre mio: fin da ora lo conoscete e lo avete veduto». Gli disse Filippo:
«Signore, mostraci il Padre e ci basta». Gli rispose Gesù: «Da tanto tempo
sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me, ha visto
il Padre. Come puoi tu dire: “Mostraci il Padre”? Non credi che io sono nel
Padre e il Padre è in me? Le parole che io vi dico, non le dico da me stesso;
ma il Padre, che rimane in me, compie le sue opere. Credete a me: io sono nel
Padre e il Padre è in me». Giovanni 14, 1-11a Nell'ultima
cena Giovanni sintetizza tutto il messaggio di Gesù che acquista un
particolare valore per il contesto, i gesti, le parole dette a metà ma
gravide di tensione. E' come un "discorso di addio", quasi un testamento
lucidissimo sul futuro che i discepoli ascoltano, ma non capiscono. Questi
discorsi sono stati preceduti dalla lavanda dei piedi (13,2-11), la
predizione sia del tradimento di Giuda (13,1-30) che della negazione di
Pietro (13,36-38). Quanto basta per ritrovarsi disorientati di fronte a
quella eterna e indiscutibile convinzione che Gesù è messia e Signore,
potente e trionfatore. Certo i segni che offre non sono in quella linea, ma
certamente, pensano, si scuoterà dal torpore e dalla incertezza. Il
turbamento nasce dalla insicurezza, ma anche dal non riuscire a capire.
Probabilmente ognuno scaccia il disagio guardandosi in giro, cercando di
scorgere nel volto dell'altro qualche segno di chiarezza e di illuminazione.
Gesù allora richiama su di sé gli sguardi: "Abbiate fede in Dio e abbiate
fede anche in me". Ma qualche cosa hanno capito. Gesù sta parlando di una sua
partenza. E questo li riempie di sconforto e di paura. Però Gesù li
rassicura per il futuro. "«Nella casa del Padre vi sono molte dimore»". Qual
è la dimora di Dio? Noi ci siamo sempre abituati a ripensarla come paradiso,
come cielo. Ma pochi versetti più avanti Gesù rassicura: "«Se uno mi ama
osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e faremo
dimora presso di lui» (14,23)". La nostra immagine, legata ai posti riservati
e alle manifestazioni di riguardo, rimanda alle poltroncine con"posto
riservato" e il nome di ogni apostolo, e quindi di ciascuno di noi, unico,
indistruttibile, scritto in grassetto. Ma Gesù ci dice che siamo noi la
dimora del Padre, di Gesù e dello Spirito che Egli manda. Dio dimorerà in noi
e a noi è riservato un compito prezioso, unico come ciascuno di noi è unico,
e abbiamo un ruolo di servizio e di operosità nella casa di Dio, continuatori
della bellezza di Gesù per la speranza di ognuno. Non c'è più un santuario
dove si manifesta Dio, ma ogni persona, che lo accoglie, è eletta come dimora
di Dio, ma anche come responsabile. In altri termini Gesù ci affida dei
posti di responsabilità e di impegno, a ciascuno nel tempo, come suoi
collaboratori, in compagnia della sua pienezza. Gesù si mostra allora come
il maestro che fa le consegne ai suoi perché continuino: ognuno opera e
attinge a Gesù che è via, verità e vita. "Chi ha visto me ha visto il
Padre" (14,9-11). Filippo ci riporta, in questo frangente, all'enorme
desiderio di ogni uomo e che Mosè espresse a Dio: "Mostrami la tua gloria"
(Esodo 33,18.20). Nel nostro linguaggio, nel linguaggio di ogni uomo e donna,
corrisponde a: "Fammi vedere il senso pieno delle cose, la Bellezza, il
valore di ogni realtà, il valore di tutto".
|