
Natale del Signore
25 dicembre 2020
Lc 2, 1-14
Riferimenti: Is 8, 23b – 9, 6a - Sal 95 - Eb 1, 1-8a |
Oggi è nato per noi il Salvatore. Cantate al
Signore, uomini di tutta la terra. Cantate al Signore, benedite
il suo nome, annunciate di giorno in giorno la sua salvezza. In
mezzo alle genti narrate la sua gloria, a tutti i popoli dite le
sue meraviglie. |
Is 8, 23b – 9, 6a In passato il
Signore Dio umiliò la terra di Zàbulon e la
terra di Nèftali, ma in futuro renderà gloriosa
la via del mare, oltre il Giordano, Galilea
delle genti. Il popolo che camminava nelle
tenebre ha visto una grande luce; su coloro che
abitavano in terra tenebrosa una luce rifulse.
Hai moltiplicato la gioia, hai aumentato la
letizia. Gioiscono davanti a te come si gioisce
quando si miete e come si esulta quando si
divide la preda. Perché tu hai spezzato il giogo
che l’opprimeva, la sbarra sulle sue spalle, e
il bastone del suo aguzzino, come nel giorno di
Madian. Perché ogni calzatura di soldato che
marciava rimbombando e ogni mantello intriso di
sangue saranno bruciati, dati in pasto al fuoco.
Perché un bambino è nato per noi, ci è stato
dato un figlio. Sulle sue spalle è il potere e
il suo nome sarà: Consigliere mirabile, Dio
potente, Padre per sempre, Principe della pace.
Grande sarà il suo potere e la pace non avrà
fine sul trono di Davide e sul suo regno, che
egli viene a consolidare e rafforzare con il
diritto e la giustizia, ora e per sempre.
Isaia. 8, 23b - 9, 6a La via del mare,
famosissima, percorsa da carovane, eserciti e
commercianti, collegava l'Egitto, a sud, con la
Mesopotamia a nord, passando attraverso il
territorio di Zàbulon e di Nèftali, a
settentrione d'Israele. E questa strada era la
vena del sangue infetto, che sconvolgeva le
regioni che attraversava, travolte da
sconvolgimenti politici e militari, invasioni e
distruzioni. Era la terra dove ancora si
mescolavano popolazioni ebraiche e popolazioni
dalla religione deforme, tra la legge dei
profeti e le idolatrie pagane, mantenute dallo
stanziamento, nel secolo VIII, delle popolazioni
pagane assire. Era la terra del disfacimento e
delle tenebre, sconvolta, senza speranza. Il
profeta annunciò, inaspettato, un presagio nuovo
ed un sogno inimmaginabile. Un nuovo re,
discendente da Davide, sarebbe nato ed avrebbe
portato la luce nuova. Il profeta stava
puntando gli occhi sul re del regno di Giuda:
Ezechia che regnava, libero ancora da invasioni,
a cui sarebbe nato tra poco un figlio: Giosia.
Il profeta glielo aveva promesso come dono di
Dio. Egli avrebbe liberato tutto il popolo, da
nord a sud come al tempo di Davide. Due sono
le tragedie che vengono denunciate: il lavoro
rubato e la schiavitù. Non ci saranno più
eserciti che ti rapineranno del raccolto o te lo
bruceranno Ritorneranno i campi a fiorire e a
far frutti: nella pace si coltiverà, si seminerà
e si raccoglierà. Saranno tempi in cui seminerai
sereno e raccoglierai senza timore. E per
raccontare la gioia che sarebbe esplosa, il
profeta ricordò l'entusiasmo del mietere, quando
si toccava con mano l'abbondanza. Insieme
cadrà anche la schiavitù. Vengono ricordate tre
parole: "il giogo, la sbarra ed il bastone".
Verrà un tempo in cui il popolo diventerà
libero: spezzerà il giogo, frantumerà la sbarra
di legno o di ferro che portavano sulle spalle
gli schiavi e i deportati, per incatenare gli
uni agli altri; e non ci sarà più il bastone che
spaccava le ossa dei sottoposti. Il bastone
dell'aguzzino sarà abbandonato come al tempo di
Madian quando Gedeone vinse i Madianiti (Gdc 7,
16-25). Isaia. 8, 23b - 9, 6a
La via del mare, famosissima, percorsa da
carovane, eserciti e commercianti, collegava
l'Egitto, a sud, con la Mesopotamia a nord,
passando attraverso il territorio di Zàbulon e
di Nèftali, a settentrione d'Israele. E questa
strada era la vena del sangue infetto, che
sconvolgeva le regioni che attraversava,
travolte da sconvolgimenti politici e militari,
invasioni e distruzioni. Era la terra dove
ancora si mescolavano popolazioni ebraiche e
popolazioni dalla religione deforme, tra la
legge dei profeti e le idolatrie pagane,
mantenute dallo stanziamento, nel secolo VIII,
delle popolazioni pagane assire. Era la terra
del disfacimento e delle tenebre, sconvolta,
senza speranza. Il profeta annunciò,
inaspettato, un presagio nuovo ed un sogno
inimmaginabile. Un nuovo re, discendente da
Davide, sarebbe nato ed avrebbe portato la luce
nuova. Il profeta stava puntando gli occhi
sul re del regno di Giuda: Ezechia che regnava,
libero ancora da invasioni, a cui sarebbe nato
tra poco un figlio: Giosia. Il profeta glielo
aveva promesso come dono di Dio. Egli avrebbe
liberato tutto il popolo, da nord a sud come al
tempo di Davide. Due sono le tragedie che
vengono denunciate: il lavoro rubato e la
schiavitù. Non ci saranno più eserciti che ti
rapineranno del raccolto o te lo bruceranno
Ritorneranno i campi a fiorire e a far frutti:
nella pace si coltiverà, si seminerà e si
raccoglierà. Saranno tempi in cui seminerai
sereno e raccoglierai senza timore. E per
raccontare la gioia che sarebbe esplosa, il
profeta ricordò l'entusiasmo del mietere, quando
si toccava con mano l'abbondanza. Insieme
cadrà anche la schiavitù. Vengono ricordate tre
parole: "il giogo, la sbarra ed il bastone".
Verrà un tempo in cui il popolo diventerà
libero: spezzerà il giogo, frantumerà la sbarra
di legno o di ferro che portavano sulle spalle
gli schiavi e i deportati, per incatenare gli
uni agli altri; e non ci sarà più il bastone che
spaccava le ossa dei sottoposti. Il bastone
dell'aguzzino sarà abbandonato come al tempo di
Madian quando Gedeone vinse i Madianiti (Gdc 7,
16-25).
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Eb 1, 1-8a Fratelli, Dio, che
molte volte e in diversi modi nei tempi antichi aveva parlato ai
padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha
parlato a noi per mezzo del Figlio, che ha stabilito erede di
tutte le cose e mediante il quale ha fatto anche il mondo. Egli
è irradiazione della sua gloria e impronta della sua sostanza, e
tutto sostiene con la sua parola potente. Dopo aver compiuto la
purificazione dei peccati, sedette alla destra della maestà
nell’alto dei cieli, divenuto tanto superiore agli angeli quanto
più eccellente del loro è il nome che ha ereditato. Infatti, a
quale degli angeli Dio ha mai detto: «Tu sei mio figlio, oggi ti
ho generato»? E ancora: «Io sarò per lui padre ed egli sarà per
me figlio»? Quando invece introduce il primogenito nel mondo,
dice: «Lo adorino tutti gli angeli di Dio». Mentre degli angeli
dice: «Egli fa i suoi angeli simili al vento, e i suoi ministri
come fiamma di fuoco», al Figlio invece dice: «Il tuo trono,
Dio, sta nei secoli dei secoli». Eb 1,1-8a Si chiama
"lettera agli Ebrei" ma non è una lettera, come quelle di Paolo.
E' piuttosto una lunga riflessione-omelia inviata al popolo di
Dio che si è convertito a Cristo e che deve approfondire il
significato della Parola di Dio ereditata dai padri e dai
profeti. Essa si pone in confronto con Gesù, il Figlio. In
questo documento Gesù è detto sommo sacerdote e colui che
sintetizza, nella sua vita e nella sua vocazione, tutto il
messaggio del Padre. Dio ha parlato in molti modi, e la
coscienza credente, immediatamente, fa riferimento alla
creazione, la cui bellezza e bontà esprimono la grandezza e la
bellezza del Signore. Chi non sa leggere questo splendore è
chiamato "stolto" perché si è fermato alla superficie delle cose
e degli avvenimenti della natura, scambiandoli per divinità, è
infelice poiché non va alla ricerca del senso completo della
realtà (Sapienza 13,1-3). Ma poi il popolo ha avuto la
rivelazione attraverso i profeti (v 1) e il Signore ha espresso
con grande attenzione ed abbondanza la sua parola perché il
popolo, per la sapienza dei padri, si rendesse conto della
delicatezza e della premura di Dio. Ultimamente Dio ha
mandato il suo Figlio, già misteriosamente presente, se
"mediante il quale ha fatto anche il mondo" (v 2). Mentre lo
svela nella sua umanità, l'autore non si preoccupa di sviluppare
oltre la sua riflessione sul Figlio dicendolo uomo (per le prime
comunità era un fatto scontato), ma è attento a richiamare
l'identità della stessa natura sia del Figlio che del Padre, e
tuttavia chiarisce la distinzione del Figlio dal Padre. Perciò
nella testimonianza e nella parola di Gesù, il Figlio, c'è la
garanzia della pienezza della conoscenza di noi suo popolo e il
nostro cammino verso il Padre. Siamo in compagnia del Figlio
che, prima ci purifica dal male (e viene adombrato il sacrificio
del nuovo eterno sacerdote) (v 3), ma insieme, per la sua
grandezza di Figlio che giudica il male ed il mondo, addirittura
superiore agli angeli, ci eleva, come suo popolo, ad altezze
vertiginose.
Eb 1,1-8a Si chiama
"lettera agli Ebrei" ma non è una lettera, come quelle di Paolo.
E' piuttosto una lunga riflessione-omelia inviata al popolo di
Dio che si è convertito a Cristo e che deve approfondire il
significato della Parola di Dio ereditata dai padri e dai
profeti. Essa si pone in confronto con Gesù, il Figlio. In
questo documento Gesù è detto sommo sacerdote e colui che
sintetizza, nella sua vita e nella sua vocazione, tutto il
messaggio del Padre. Dio ha parlato in molti modi, e la
coscienza credente, immediatamente, fa riferimento alla
creazione, la cui bellezza e bontà esprimono la grandezza e la
bellezza del Signore. Chi non sa leggere questo splendore è
chiamato "stolto" perché si è fermato alla superficie delle cose
e degli avvenimenti della natura, scambiandoli per divinità, è
infelice poiché non va alla ricerca del senso completo della
realtà (Sapienza 13,1-3). Ma poi il popolo ha avuto la
rivelazione attraverso i profeti (v 1) e il Signore ha espresso
con grande attenzione ed abbondanza la sua parola perché il
popolo, per la sapienza dei padri, si rendesse conto della
delicatezza e della premura di Dio. Ultimamente Dio ha
mandato il suo Figlio, già misteriosamente presente, se
"mediante il quale ha fatto anche il mondo" (v 2). Mentre lo
svela nella sua umanità, l'autore non si preoccupa di sviluppare
oltre la sua riflessione sul Figlio dicendolo uomo (per le prime
comunità era un fatto scontato), ma è attento a richiamare
l'identità della stessa natura sia del Figlio che del Padre, e
tuttavia chiarisce la distinzione del Figlio dal Padre. Perciò
nella testimonianza e nella parola di Gesù, il Figlio, c'è la
garanzia della pienezza della conoscenza di noi suo popolo e il
nostro cammino verso il Padre. Siamo in compagnia del Figlio
che, prima ci purifica dal male (e viene adombrato il sacrificio
del nuovo eterno sacerdote) (v 3), ma insieme, per la sua
grandezza di Figlio che giudica il male ed il mondo, addirittura
superiore agli angeli, ci eleva, come suo popolo, ad altezze
vertiginose.

Betlemme, la città della Giudea, ove nacque Gesù, vista dal
campo dei pastori. |
Lc 2, 1-14 In quei giorni. Un decreto di Cesare Augusto ordinò che si
facesse il censimento di tutta la terra. Questo primo censimento fu fatto
quando Quirinio era governatore della Siria. Tutti andavano a farsi censire,
ciascuno nella propria città. Anche Giuseppe, dalla Galilea, dalla città di
Nàzaret, salì in Giudea alla città di Davide chiamata Betlemme: egli
apparteneva infatti alla casa e alla famiglia di Davide. Doveva farsi censire
insieme a Maria, sua sposa, che era incinta. Mentre si trovavano in quel
luogo, si compirono per lei i giorni del parto. Diede alla luce il suo figlio
primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia, perché per loro
non c’era posto nell’alloggio. C’erano in quella regione alcuni pastori che,
pernottando all’aperto, vegliavano tutta la notte facendo la guardia al loro
gregge. Un angelo del Signore si presentò a loro e la gloria del Signore li
avvolse di luce. Essi furono presi da grande timore, ma l’angelo disse loro:
«Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo:
oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo
Signore. Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce,
adagiato in una mangiatoia». E subito apparve con l’angelo una moltitudine
dell’esercito celeste, che lodava Dio e diceva: «Gloria a Dio nel più alto
dei cieli e sulla terra pace agli uomini, che egli ama».
Luca2, 1-20. Natale del Signore. Quante parole, quante riflessioni
religiose abbiamo sentito nei natali della nostra vita! Alcune
particolarmente significative, altre meno. Oggi mi fanno pensare alcune
parole: - Nascita. Il Natale è una nascita, e una nascita è un venire alla
luce; se poi ci riferiamo alla nascita di Gesù, dovremmo sottolineare
fortemente che è una nascita per una liberazione, per una salvezza, per una
novità di vita, che è speranza, che è promessa. - Non c'è posto. Ci fa
pensare a tutte le emarginazioni lontane e vicine, a tutte le esclusioni, di
cui siamo complici anche noi, a tutte le forme (e possono essere anche
ineccepibili e corrette), a giustificazioni con cui scacciamo dalla mente chi
ci è molesto . - Grande gioia. È la contrapposizione del dolore e nasce
appunto da un bimbo avvolto in fasce; come a dire che occorre chinarsi e
rifarsi sempre, anche nei momenti di buio e di angoscia, sulla possibilità di
vita suscitata dal sorriso o dal pianto di chi comincia a vivere, ad essere
nella luce, di chi si è abituato a trascurare, senza capire che magari è
portatore di cambiamento. - Non temete. La paura paralizza, blocca ogni
vitalità, ogni fermento, ogni partecipazione; getta nell'inerzia e insinua
nella vita germi di morte. Dobbiamo sempre cercare il "segno" di un bambino
che nasce, perché è segno di resurrezione, di qualcosa che può diventare
prezioso e importante, perché è stato concepito dall'amore di Dio. L'augurio
è di farne memoria nel nostro cuore e di trasformare in sorriso ogni
tentazione di lamentela. |