II Domenica dopo l'Epifania
17 gennaio 2021
Gv 2, 1-11
Riferimenti :  Is 25, 6-10a - Sal 71 - Col 2, 1-10a
Benedetto il Signore, Dio d’Israele, egli solo compie meraviglie. Il Signore libererà il misero che invoca e il povero che non trova aiuto. Abbia pietà del debole e del misero e salvi la vita dei miseri.

 Is 25, 6-10a
In quei giorni. Isaia disse: «Preparerà il Signore degli eserciti per tutti i popoli, su questo monte, un banchetto di grasse vivande, un banchetto di vini eccellenti, di cibi succulenti, di vini raffinati. Egli strapperà su questo monte il velo che copriva la faccia di tutti i popoli e la coltre distesa su tutte le nazioni. Eliminerà la morte per sempre. Il Signore Dio asciugherà le lacrime su ogni volto, l’ignominia del suo popolo farà scomparire da tutta la terra, poiché il Signore ha parlato. E si dirà in quel giorno: “Ecco il nostro Dio; in lui abbiamo sperato perché ci salvasse. Questi è il Signore in cui abbiamo sperato; rallegriamoci, esultiamo per la sua salvezza, poiché la mano del Signore si poserà su questo monte”».
Is 25,6-10a
Isaia sogna la conclusione del tempo della fatica, della guerra e della fame. Le attese sono solamente della potenza di Dio che finalmente mette fine al tempo e conclude con un raduno di pace e con un banchetto che sancisce il patto di armonia che finalmente è esploso sul monte del Signore, a Gerusalemme. Questo mondo è compromesso nella violenza e nell'odio e la pace non è duratura se non nasce dalla forza di Dio. E Dio, finalmente, mette mano a questo mondo drammatico e disperante. Eppure quanta sofferenza ci crea questo sogno di pace a Gerusalemme per tutti i popoli e lo stato di guerra e di paura per tutti a Gerusalemme. Dio viene e si incarica di imbandire, lui stesso, un banchetto per tutti i popoli, segnati dalla tristezza e dalla rassegnazione. Su questo monte sono state convogliati i popoli e le nazioni della terra: tutti coperti a lutto perché la condizione del vivere quotidiano è data dalla violenza e dalla paura. Finalmente il Signore viene tra noi, non manda a dire, non esige obbedienza in un mondo in sfacelo, ma ci chiama ad un banchetto per tutti, dove il menù è il migliore del mondo. Ma anche il clima va costruito e sciolto dai nodi e dalle interferenze. Si favoleggia persino sul menu e i rabbini, ripensando alla potenza di Dio che ha ucciso un mostro marino, chiamato Leviatan, dato quindi come "carne per il popolo che abita nel deserto" (salmo 74,14), hanno concluso che la vivanda principale dei giusti dovesse essere la carne di questo mitico pesce. Perciò, in Israele, ancora oggi, alla cena del venerdì sera, quando inizia il sabato, si è soliti mangiare pesce per richiamare a tutti gli uomini pii il banchetto celeste che li attende. E' come se si ipotizzasse un cielo nuovo e una nuova terra con uno splendore che si richiama all'inizio del mondo.

Col 2, 1-10a
Fratelli, voglio che sappiate quale dura lotta devo sostenere per voi, per quelli di Laodicèa e per tutti quelli che non mi hanno mai visto di persona, perché i loro cuori vengano consolati. E così, intimamente uniti nell’amore, essi siano arricchiti di una piena intelligenza per conoscere il mistero di Dio, che è Cristo: in lui sono nascosti tutti i tesori della sapienza e della conoscenza. Dico questo perché nessuno vi inganni con argomenti seducenti: infatti, anche se sono lontano con il corpo, sono però tra voi con lo spirito e gioisco vedendo la vostra condotta ordinata e la saldezza della vostra fede in Cristo. Come dunque avete accolto Cristo Gesù, il Signore, in lui camminate, radicati e costruiti su di lui, saldi nella fede come vi è stato insegnato, sovrabbondando nel rendimento di grazie. Fate attenzione che nessuno faccia di voi sua preda con la filosofia e con vuoti raggiri ispirati alla tradizione umana, secondo gli elementi del mondo e non secondo Cristo. È in lui che abita corporalmente tutta la pienezza della divinità, e voi partecipate della pienezza di lui.

Colossesi 2, 1-10a
L'apostolo Paolo si sente profondamente responsabile a riguardo delle comunità che stanno sorgendo sia attraverso la sua presenza personale in varie cittadine e sia attraverso il suo lavoro con i discepoli che poi continuano o addirittura iniziano una evangelizzazione in diverse parti del Medio Oriente. Paolo infatti non è stato nella città di Colossi o di Laodicea, né ha fondato queste comunità, e tuttavia è preoccupato per le notizie che gli fa giungere Epafra, un collaboratore che sembra essere stato il fondatore di queste piccole chiese. Poco prima Paolo ha affermato, in questa lettera: "Io sono lieto nelle sofferenze che sopporto per voi e do compimento a ciò che, dei patimenti di Cristo, manca nella mia carne, a favore del suo corpo che è la Chiesa" (1,24). E di queste sofferenze ritroviamo, qui stesso, i richiami (2,1), quando parla di "dura lotta che debbo sostenere per voi". Le lettere di Paolo sono cariche di preoccupazioni, timori, sofferenze per le difficoltà che si sviluppano nelle comunità che conosce. Ma se Paolo sa che la sua sofferenza non aggiunge nulla alla sofferenza di Cristo, conosce tuttavia che è necessaria per condurre a termine il suo itinerario apostolico, la sua maturazione che chiama «compimento a ciò che, dei patimenti di Cristo, manca nella mia carne». Egli verifica in sé quella sofferenza che riproduce quella di Cristo, nel suo modo di vivere e di soffrire, necessario per essere disponibile per l'annuncio del Vangelo e per la Chiesa. Paolo infatti vuole sottolineare l'autorità che Dio gli ha dato, il contenuto del messaggio (il mistero di Cristo), il suo impegno personale (lotta e sofferenza) a favore delle comunità ed anche dei destinatari che non lo hanno conosciuto (2,1). Infatti "di essa (la Chiesa) sono diventato ministro, secondo la missione affidatami da Dio verso di voi, di portare a compimento la parola di Dio, il mistero nascosto da secoli e da generazioni, ma ora manifestato ai suoi santi" (1,25-26). E quindi Paolo, con chiarezza e risoluzione, sente e decide di portare, in sé, a compimento, le sofferenze redentrici per la Chiesa attraverso il suo itinerario apostolico. "Per questo mi affatico e lotto, con la forza che viene da lui e che agisce in me con potenza" (1,29). Il mistero di Cristo è totalmente inaccessibile agli esseri umani. Esso deve essere manifestato da una persona autorizzata da Dio che, in questo caso, è Paolo stesso. Cristo è il contenuto di questo mistero. Paolo sente la responsabilità e si preoccupa di orientare tutti a Cristo. Egli assicura che segue anche queste nuove comunità con amore e soddisfazione, nello stesso tempo, poiché "sono tra voi con lo spirito e gioisco vedendo la vostra condotta ordinata e la saldezza della vostra fede in Cristo" (2,5). Paolo continua ad essere fiducioso del loro comportamento di credenti ed ha fiducia poiché "siete radicati e fondati e sapete rendere grazie, come vi è stato insegnato"(2,7).

      Gv 2, 1-11
In quel tempo. Vi fu una festa di nozze a Cana di Galilea e c’era la madre di Gesù. Fu invitato alle nozze anche Gesù con i suoi discepoli. Venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: «Non hanno vino». E Gesù le rispose: «Donna, che vuoi da me? Non è ancora giunta la mia ora». Sua madre disse ai servitori: «Qualsiasi cosa vi dica, fatela ». Vi erano là sei anfore di pietra per la purificazione rituale dei Giudei, contenenti ciascuna da ottanta a centoventi litri. E Gesù disse loro: «Riempite d’acqua le anfore»; e le riempirono fino all’orlo. Disse loro di nuovo: «Ora prendetene e portatene a colui che dirige il banchetto». Ed essi gliene portarono. Come ebbe assaggiato l’acqua diventata vino, colui che dirigeva il banchetto – il quale non sapeva da dove venisse, ma lo sapevano i servitori che avevano preso l’acqua – chiamò lo sposo e gli disse: «Tutti mettono in tavola il vino buono all’inizio e, quando si è già bevuto molto, quello meno buono. Tu invece hai tenuto da parte il vino buono finora». Questo, a Cana di Galilea, fu l’inizio dei segni compiuti da Gesù; egli manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui.

Giovanni 2, 1-11
E' la terza manifestazione (dopo l'Epifania) del volto di Dio attraverso Gesù. Qui siamo in un clima di festa, di gioia, di gratuità, di superfluo. Di quel "di più" che rende appagata e appetibile la vita, che la fa traboccare sul piano del contribuire ad una felicità. Infatti una festa di nozze è ricca di promesse, di speranze, di vita: per questo tutto deve svolgersi ed essere nel modo migliore. E il vino rappresenta l'esuberanza della festa, la possibilità che tutto diventi danza, piacere di stare insieme, desiderio appagato. Ed è sempre l'occhio di una donna a vigilare che tutto scorra senza intoppi, la sua iniziativa (nonostante la risposta frettolosa e -sembrerebbe- urtante del Figlio) che supera addirittura l'attesa, anche se non sospetta l'incredibile che avverrà. Ma ci sono anche collaboratori, di solito non considerati. Ci pensate alla fatica di riempire d'acqua (dal pozzo) alle giare, recipienti di pietra pesanti? Sono sei e contengono ciascuna da 80 a 120 litri. Quindi è tutto un andirivieni dal pozzo al banchetto, silenzioso ma alacre per eseguire l'ordine un po' strano di Gesù: "Riempitele fino all'orlo". E poi lo stupore per il vino che si ritrovano a portare all'assaggio del direttore della mensa, e la gioia per essere stati attori di questo primo "segno" di Gesù. Ci vuole proprio la prontezza di rispondere senza replicare, ma aprendo subito, al "fate quello che vi dirà". È la consapevolezza che Gesù non si ritrae mai, anche se non concede molto alle parole, quando c'è da eliminare un turbamento, o da sottolineare che ci vuole un superfluo, un di più per creare gioia e festa vera, condivisa, che non va assolutamente trascurata, tanto meno disprezzata.