III Domenica dopo l'Epifania
24 gennaio 2021
Mt 14, 13b-21
 Riferimenti : Nm 11, 4-7. 16a. 18-20. 31-32a - Sal 104 - 1Cor 10, 1-11b
Il Signore ricorda sempre la sua parola santa. È lui il Signore, nostro Dio: su tutta la terra i suoi giudizi. Si è sempre ricordato della sua alleanza, parola data per mille generazioni, dell’alleanza stabilita con Abramo e del suo giuramento a Isacco.

 Nm 11, 4-7. 16a. 18-20. 31-32a
In quei giorni. La gente raccogliticcia, in mezzo a loro, fu presa da grande bramosia, e anche gli Israeliti ripresero a piangere e dissero: «Chi ci darà carne da mangiare? Ci ricordiamo dei pesci che mangiavamo in Egitto gratuitamente, dei cetrioli, dei cocomeri, dei porri, delle cipolle e dell’aglio. Ora la nostra gola inaridisce; non c’è più nulla, i nostri occhi non vedono altro che questa manna». La manna era come il seme di coriandolo e aveva l’aspetto della resina odorosa. Il Signore disse a Mosè: «Dirai al popolo: “Santificatevi per domani e mangerete carne, perché avete pianto agli orecchi del Signore, dicendo: Chi ci darà da mangiare carne? Stavamo così bene in Egitto! Ebbene, il Signore vi darà carne e voi ne mangerete. Ne mangerete non per un giorno, non per due giorni, non per cinque giorni, non per dieci giorni, non per venti giorni, ma per un mese intero, finché vi esca dalle narici e vi venga a nausea, perché avete respinto il Signore che è in mezzo a voi e avete pianto davanti a lui, dicendo: Perché siamo usciti dall’Egitto?”». Un vento si alzò per volere del Signore e portò quaglie dal mare e le fece cadere sull’accampamento, per la lunghezza di circa una giornata di cammino da un lato e una giornata di cammino dall’altro, intorno all’accampamento, e a un’altezza di circa due cubiti sulla superficie del suolo. Il popolo si alzò e tutto quel giorno e tutta la notte e tutto il giorno dopo raccolse le quaglie.

Numeri. 11, 4-7. 16a. 18-20. 31-32a
In marcia verso il deserto di Paran, il popolo incomincia a lamentarsi e si pone quindi i molti interrogativi che sorgono all'interno di una vita carica di imprevisti e costretta a inventarsi, giorno per giorno, elementi di sopravvivenza per poter resistere. I primi tre versetti (11,1-tre) sintetizzano proprio "questo lamentarsi aspramente" con un incendio che sorge nell'accampamento, facile come sempre negli accampamenti, di fronte a cui Mosé, pregando, diventa il mediatore che fa spegnere il fuoco. In concreto, la protesta del popolo sorge perché non ha cibo sufficiente nel deserto. Come risultato, il popolo è saziato con le quaglie (vv. 4-9.10.13.18-24a) ma è pure castigato per la sua ingordigia (vv. 31-33). Intrecciata col racconto relativo alla bramosia di cibo, si ha una storia riguardante la condivisione dell'autorità di Mosè che qui non viene riportata (vv. 11-12.14-17.24b-30). Due gruppi distinti di persone, "la gente raccogliticcia e gli israeliti" protestano per la scarsità di cibo (v. 4) e rimpiangono i giorni in cui, in Egitto, godevano abbondanza di pesce e verdure (v. 5). Ora sono insoddisfatti perché tutto ciò che hanno da mangiare è la manna, con la quale fanno quotidianamente focacce che hanno il sapore di pasta all'olio (vv. 6-9; cf. Es 16,13-14.31). Lo «sdegno del Signore divampò» contro gli israeliti (v. 10). Ma lo stesso Mosè, come il Signore, risponderanno ciascuno alla protesta a modo loro e Mosè dimentica il suo ruolo di mediatore. Infatti, contrariamente a quello che ha fatto allo scoppio dell'incendio (11, 2), Mosè stesso non intercede, ma si lamenta di dover provvedere da solo a quella grande moltitudine, e diffida della stessa potenza di Dio perché Dio stesso non è capace di provvedere per 600.000 persone e tanto più lo stesso Mosè: «Da dove prenderò la carne da dare a tutto questo popolo? Perché si lamenta contro di me» (v. 13). Mosè ritiene di avere la responsabilità di trovare carne, ma esprime la propria impossibilità. Così, invece di cercare l'aiuto di Dio, manifesta risentimento per la posizione in cui è stato posto. "Perché hai fatto del male al tuo servo? L'ho forse concepito io tutto questo popolo? Se mi devi trattare così, fammi morire piuttosto" (11,11-15)

1Cor 10, 1-11b
Non voglio infatti che ignoriate, fratelli, che i nostri padri furono tutti sotto la nube, tutti attraversarono il mare, tutti furono battezzati in rapporto a Mosè nella nube e nel mare, tutti mangiarono lo stesso cibo spirituale, tutti bevvero la stessa bevanda spirituale: bevevano infatti da una roccia spirituale che li accompagnava, e quella roccia era il Cristo. Ma la maggior parte di loro non fu gradita a Dio e perciò furono sterminati nel deserto. Ciò avvenne come esempio per noi, perché non desiderassimo cose cattive, come essi le desiderarono. Non diventate idolatri come alcuni di loro, secondo quanto sta scritto: Il popolo sedette a mangiare e a bere e poi si alzò per divertirsi. Non abbandoniamoci all’impurità, come si abbandonarono alcuni di loro e in un solo giorno ne caddero ventitremila. Non mettiamo alla prova il Signore, come lo misero alla prova alcuni di loro, e caddero vittime dei serpenti. Non mormorate, come mormorarono alcuni di loro, e caddero vittime dello sterminatore. Tutte queste cose però accaddero a loro come esempio, e sono state scritte per nostro ammonimento.

Prima lettera ai Corinzi. 10, 1-11b
Dopo aver proposto alla comunità dei cristiani di Corinto il proprio comportamento come esempio di responsabilità, (cap. 9) e aver ricordato l'impegno per la gratuità nel proprio incarico pastorale, utilizzando anche immagini sportive, molto popolari a quel tempo, in particolare a Corinto, con i giochi istmici a scadenza biennale, Paolo incoraggia la comunità, pur generosa, di Corinto a vivere con fedeltà la scelta di Gesù. Tuttavia l'apostolo si sofferma su alcuni aspetti negativi: dissensi, invidie, immoralità, esistenti, come ovunque, d'altra parte. Si corre il rischio di immaginare, dice Paolo, che il proprio battesimo garantisca la salvezza e che quindi sia sufficiente. Paolo si preoccupa allora, utilizzando la sua competenza di rabbino, di richiamare alcuni elementi fondamentali della fede ebraica, sviluppando l'esegesi della liberazione dall'Egitto del popolo d'Israele in rapporto a Mosé e quindi a Cristo. Gli israeliti hanno seguito Mosé e si sono fidati di lui; hanno camminato sotto la nube, hanno attraversato il mar Rosso, hanno mangiato la manna, hanno bevuto l'acqua scaturita dalla roccia (una leggenda dice che la roccia seguiva l'accampamento ovunque si posasse). "Ma la maggior parte di loro non fu gradita a Dio e perciò furono sterminati nel deserto" (10,5). Così quell'evento diventa esemplare anche per i cristiani: il passaggio del Mar Rosso è immagine del battesimo, battesimo nel rapporto con Mosè. mentre i cristiani sono in rapporto a Cristo. La manna e l'acqua sono segni profetici dell'Eucaristia. E tuttavia non sono sufficienti: né la fede in Cristo, né l'essere battezzati, né aver ricevuto lo Spirito, né essersi cibati dell'Eucaristia per ricevere automaticamente la salvezza. È necessario che si sviluppino, insieme, una vita coerente di fede e quindi una vita operosa secondo i criteri che Gesù ha portato, a cui, come credenti in Gesù, sono stati iniziati nel battesimo e verso cui siamo continuamente incoraggiati a camminare attraverso lo Spirito. Se non esistono questa disponibilità, questa fiducia e questo cammino, anche noi siamo a rischio di perderci come i padri nel deserto.


     Mt 14, 13b-21
In quel tempo. Il Signore Gesù partì di là su una barca e si ritirò in un luogo deserto, in disparte. Ma le folle, avendolo saputo, lo seguirono a piedi dalle città. Sceso dalla barca, egli vide una grande folla, sentì compassione per loro e guarì i loro malati. Sul far della sera, gli si avvicinarono i discepoli e gli dissero: «Il luogo è deserto ed è ormai tardi; congeda la folla perché vada nei villaggi a comprarsi da mangiare». Ma Gesù disse loro: «Non occorre che vadano; voi stessi date loro da mangiare». Gli risposero: «Qui non abbiamo altro che cinque pani e due pesci!». Ed egli disse: «Portatemeli qui». E, dopo aver ordinato alla folla di sedersi sull’erba, prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò la benedizione, spezzò i pani e li diede ai discepoli, e i discepoli alla folla. Tutti mangiarono a sazietà, e portarono via i pezzi avanzati: dodici ceste piene. Quelli che avevano mangiato erano circa cinquemila uomini, senza contare le donne e i bambini.

Matteo14, 13b-21
E' un testo molto complesso e molto costruito. Qui l'evangelista vuole insegnare alcuni valori cristiani, richiamando dei segni anche se, al momento, possono sembrare inverosimili. Con 5000 uomini c'è il richiamo alla legione, come esercito, e qui si sentono i sogni e le esigenze di un Regno che si deve costituire, mentre l'esercito è garanzia di un re che deve venire ( Giovanni ne parla espressamente: "Gesù, sapendo che venivano a prenderlo per farlo re, si ritirò di nuovo sul monte, lui solo": Gv 6,15). Gesù non vuole un esercito ma persone che costituiscano un popolo nuovo, non carne da macello, o conquistatori di altri attraverso la violenza e la sopraffazione. E' sera e sarebbe difficile dire a questa folla: "Andate a comprarvi il pane". E da che parte spuntano 12 ceste? Se le erano portate vuote con sé? San Matteo vuol raccontare uno stile ed una preoccupazione che trasmette alla sua comunità, ma vuol anche presentare l'immagine del nuovo Mosé nel deserto. Gesù, spezzando il pane, sfama la folla e ciascuno riceve ciò di cui ha bisogno per sfamarsi. E' una delle sei versioni, presenti nei Vangeli, e ogni resoconto ha un messaggio particolare, che diventa il segno di una nuova liberazione. In questo contesto siamo alla presenza di due banchetti. Il primo, immediatamente precedente, ricorda il banchetto di una società violenta e opulenta, radunato nel palazzo di Erode, che ha deciso la morte di Giovanni Battista (14, 3-12). È una società corrotta, oppressiva e sanguinaria che deve essere ripudiata da chi segue Cristo. Cristo costruisce con coloro che lo seguono il nuovo popolo nel deserto. L'altro è il banchetto di un mondo di poveri che si sviluppa nella gioia e nella festa poiché c'è Gesù, ed è aperto a tutti.
- Gesù si inoltra nel deserto e dietro di lui cammina una folla di poveri e di bisognosi, come all'uscita dall'Egitto, desiderosi di raggiungere la propria libertà e liberarsi dalla malattia.
- Egli ha compassione e condivide la sofferenza di chi non ha orientamento, né fiducia, né futuro, né Parola di Dio ed è malato.
- Se davvero si condivide, ci si deve prima di tutto accorgere dei problemi di ciascuno, dei suoi bisogni primari e quindi della fame.
- Il problema primo è, agli occhi di Gesù, la malattia, poiché è ciò che rende l'uomo instabile, fragile, debole, e quindi non libero. Gesù infatti è venuto, fondamentalmente, a ricostruire la pienezza della persona nella sua libertà e responsabilità.
- Sono i discepoli che si preoccupano della fame di queste persone e che non hanno risorse. E fanno velocemente la verifica dei bisogni e decidono: "Mandali a casa perché ciascuno provveda e comperi". E' il criterio del sottomettersi alle strutture di economia o di ingiustizie. Il comperare non esamina la vera povertà. Dice le condizioni per possedere, rifiutando ogni altra alternativa che non sia di scambio.
- Gesù chiede loro di non accettare il disimpegno: "Date voi stessi da mangiare" (v. 16). La novità è regalare condividendo, è la gratuità. Gesù chiede che si faccia l'analisi delle risorse, mentre tutti quelli che se ne rendono conto, dicono: "Sono troppo poche, insignificanti, ridicole. Non c'è nient'altro da fare".
- Gesù confida invece sullo sforzo di contribuire, per come si può, ed accetta di operare su ciò che viene raccolto e portato. Portano cinque pani e due pesci: il loro numero è sette, l'universale.
- A questo punto Gesù benedice i cinque pani raccolti e li spezza (non li moltiplica. E' errato parlare di "moltiplicazione dei pani", e infatti, nel Vangelo, di moltiplicazione non se ne parla mai). "Si spezzano i pani e si distribuiscono i pezzi". Ci si sfama con quello che ci è stato offerto, è sufficiente ed avanza.
- Le 12 sporte piene sono il pane per il nuovo popolo che viene e che ha sperimentato la gratuità.
- Il pane materiale richiama, con le parole ed i gesti, la consacrazione della Messa dove Gesù offre se stesso perché tutti si sfamino e tutti imparino a spezzare il pane. E' questo un gesto fondamentale che andrebbe, ogni volta, valorizzato. Rappresenta la nostra partecipazione al costruire gratuitamente il mondo, il nostro amore alla famiglia, all'amico, al lavoro perché sia fatto bene e diventi un vero servizio.
- Spezzare il pane è il segreto ed il criterio della pace. Lo spezzare del pane è il vero significato della presenza di Gesù tra noi, il messaggio di vita più profondo e l'avvio per quel culto spirituale quotidiano a cui la Messa rinvia come al contenuto personale totale (Rm 12, 1ss).
- Nel tempo della crisi si intravedono fatiche e si sottolineano comunque i limiti, gli aumenti di prezzi, i disagi. Si continua a fare i conti per quanto una famiglia deve spendere di più al mese per la benzina, per il gas e la luce.
- Andrebbero riproposti, però anche, elementi di gratuità, volontariato, operazioni di salvataggio, di solidarietà. Andrebbe stimolata l'inventiva, il lavoro comune, la ricerca e la scuola, la formazione professionale e il sostegno attraverso le proprie competenze. Lo spezzare il pane della conoscenza è il più duraturo e il più necessario nella vita quotidiana.