
IV Domenica dopo Pentecoste
20 giugno 2021
Mt 22, 1-14
Gen 18, 17-21; 19, 1. 12-13. 15. 23-29 Sal 32 - 1Cor 6,
9-12 |
Il Signore regna su tutte le nazioni. Il Signore
annulla i disegni delle nazioni, rende vani i progetti dei
popoli. Ma il disegno del Signore sussiste per sempre, i
progetti del suo cuore per tutte le generazioni |
Gen 18, 17-21; 19, 1. 12-13. 15.
23-29 In quei giorni. Il Signore diceva:
«Devo io tenere nascosto ad Abramo quello che
sto per fare, mentre Abramo dovrà diventare una
nazione grande e potente e in lui si diranno
benedette tutte le nazioni della terra? Infatti
io l’ho scelto, perché egli obblighi i suoi
figli e la sua famiglia dopo di lui a osservare
la via del Signore e ad agire con giustizia e
diritto, perché il Signore compia per Abramo
quanto gli ha promesso». Disse allora il
Signore: «Il grido di Sòdoma e Gomorra è troppo
grande e il loro peccato è molto grave. Voglio
scendere a vedere se proprio hanno fatto tutto
il male di cui è giunto il grido fino a me; lo
voglio sapere!». I due angeli arrivarono a
Sòdoma sul far della sera, mentre Lostava seduto
alla porta di Sòdoma. Non appena li ebbe visti,
Lot si alzò, andò loro incontro e si prostrò con
la faccia a terra. Quegli uomini dissero allora
a Lot: «Chi hai ancora qui? Il genero, i tuoi
figli, le tue figlie e quanti hai in città,
falli uscire da questo luogo. Perché noi stiamo
per distruggere questo luogo: il grido innalzato
contro di loro davanti al Signore è grande e il
Signore ci ha mandato a distruggerli». Quando
apparve l’alba, gli angeli fecero premura a Lot,
dicendo: «Su, prendi tua moglie e le tue due
figlie che hai qui, per non essere travolto nel
castigo della città». Il sole spuntava sulla
terra e Lot era arrivato a Soar, quand’ecco il
Signore fece piovere dal cielo sopra Sòdoma e
sopra Gomorra zolfo e fuoco provenienti dal
Signore. Distrusse queste città e tutta la valle
con tutti gli abitanti delle città e la
vegetazione del suolo. Ora la moglie di Lot
guardò indietro e divenne una statua di sale.
Abramo andò di buon mattino al luogo dove si era
fermato alla presenza del Signore; contemplò
dall’alto Sòdoma e Gomorra e tutta la distesa
della valle e vide che un fumo saliva dalla
terra, come il fumo di una fornace. Così, quando
distrusse le città della valle, Dio si ricordò
di Abramo e fece sfuggire Lot alla catastrofe,
mentre distruggeva le città nelle quali Lot
aveva abitato. Genesi. 18,
17-21; 19, 1. 12-13. 15. 23-29 Abramo è un
vero amico di Dio e il Signore lo riconosce
nella sua qualità di giusto, di intercessore, di
uomo di fiducia. Perciò il racconto su alcuni
fatti che hanno sconvolto il tempo e la
geografia dei luoghi attorno al Mar Morto,
allora zona di benessere e di civiltà, fa
leggere, in termini teologici, il terremoto,
probabilmente, in concomitanza coni eruzioni
vulcaniche (Gen 19,24-25). Da qui fuoco e zolfo
dal cielo. Lot, nipote di Abramo, immigrato
anche lui con il Patriarca nel viaggio da Ur di
Caldea a Carran, sempre con Abramo giunge in
Canaan, poi in Egitto e poi ancora in Canaan
dove si è stabilito, Lot ha molto bestiame. Per
poter vivere in pace nello sviluppo della
propria ricchezza, e per non dover litigare con
i pastori di Abramo, alla ricerca di pascoli, su
proposta di Abramo stesso gli viene offerta la
possibilità di scegliere il territorio in cui
vivere. Lot sceglie di emigrare nella valle del
Giordano, ben irrigata, e si stabilisce presso
Sodoma (Gen 13,8-13). Dio ascolta il grido di
sofferenza che si alza dalle città di Sodoma e
Gomorra poiché gli abitanti sono malvagi e
opprimono gli altri cittadini più poveri e
indifesi. Gli abitanti malvagi fanno il male,
rifiutano l'ospitalità, a differenza di Abramo
che ritiene sempre un onore ospitare e dar da
mangiare ad uno straniero Anzi considerano
straniero Lot stesso, che abita tra loro e lo
rimproverano per il fatto che si rifiuta di
consegnare loro due ospiti che sono venuti a
trovarlo. Essi vogliono abusare di loro e
minacciano lo stesso Lot: (Gen 19,9: "È venuto
tra noi come straniero e vuol farsi giudice").
A questo punto, l'autore biblico ritiene di aver
sufficientemente dimostrato la malvagità di
Sodoma e Gomorra e quindi conclude che Dio,
giustamente, debba distruggere le due città. A
questo punto, nel testo, viene riportata la
grande intercessione di Abramo con Dio che gli
ha confidato i suoi progetti di distruzione del
male e dei suoi autori. Abramo non difende i
malvagi ma pone il problema della morte dei
giusti insieme con i peccatori in caso di
catastrofe: "Sterminerai, Signore, l'empio con
il giusto?" (18,23-33). In una trattativa tipica
del mondo orientale in cui si insiste ad
abbassare i parametri degli interventi di
castigo, Abramo incomincia da 50. "Se ci fossero
50 giusti?" e arriva fino a 10:"E se ci fossero
10 giusti?". Non c'erano neppure 10 giusti.
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1Cor 6, 9-12 Fratelli, non sapete
che gli ingiusti non erediteranno il regno di Dio? Non
illudetevi: né immorali, né idolatri, né adùlteri, né depravati,
né sodomìti, né ladri, né avari, né ubriaconi, né calunniatori,
né rapinatori erediteranno il regno di Dio. E tali eravate
alcuni di voi! Ma siete stati lavati, siete stati santificati,
siete stati giustificati nel nome del Signore Gesù Cristo e
nello Spirito del nostro Dio. «Tutto mi è lecito!». Sì, ma non
tutto giova. «Tutto mi è lecito!». Sì, ma non mi lascerò
dominare da nulla. Prima lettera ai
Corinzi. 6, 9-12 La lettera ai Corinzi sorge con alcune
urgenti problematiche che Paolo sente di dover affrontare per
non lasciare nell'ambiguità e nella immoralità i credenti in
Cristo che, pure, hanno ricevuto esempi, parole nuove,
suggerimenti e stili di vita altissimi. Perciò, dopo essere
intervenuto duramente su un grave fatto di immoralità sessuale,
verificatosi nella comunità cristiana e da tutti conosciuto: "un
cristiano convive con la moglie di suo padre", "immoralità che
non si riscontra neppure tra i pagani" (5,1), e dopo aver
giudicato e concluso con l'espulsione di tale cristiano dalla
Comunità, Paolo continua con alcune proposte coerenti con la
fede, ma anche di difficile accoglimento, mentre rimprovera: "Se
avete liti per cose di questo mondo, voi prendete a giudici
gente che non ha alcuna autorità nella Chiesa" (6,4). Così Paolo
suggerisce: "Prendete invece tra voi qualche persona saggia che
possa fare da arbitro tra fratelli e fratelli" (6,5). Tra
l'altro questo è il riferimento per cui sono sorti i tribunali
ecclesiastici, croce pesante per i vescovi dei primi secoli che
dovevano passare molte ore a giudicare su sciocchezze e
problemi, spesso poco significativi, ma causa di discussione e
di contesa. In questo contesto morale Paolo richiama un breve
catalogo di catechismo morale, frequente nelle lettere
dell'apostolo, ma qui particolarmente solenne: sono enumerati 10
comportamenti immorali che escludono dal Regno, tanti quanti i
10 Comandamenti. Il fatto che si aggiunga un "Non illudetevi"
può far pensare a mentalità libertine che uniscono insieme fede
cristiana e comportamenti immorali. Problema sempre esistito,
anche oggi. La fede cristiana deve rivedere un comportamento
pagano poiché essa pretende una conversione. Il battesimo
consacra a Dio e rende interiormente giusti ("santificati e
giustificati"). Gesù è "giustizia, santificazione e redenzione"
(1,30). La fede in Lui, "nel suo nome", e la forza dello Spirito
del nostro Dio" ci hanno trasformato poiché la grandezza del Dio
Trinitario si è riversata in noi" (6,11). "Tutto mi è
permesso" (ripetuto due volte) può essere un'affermazione di
Paolo, ripetuta in altri contesti, probabilmente in richiami a
regole ebraiche". Ma Paolo è preoccupato di educare la libertà
di ciascuno. La libertà ha i suoi limiti e va impegnata con
responsabilità. E' necessario costruire ciò che vale e in modo
tale da non lasciarsi dominare da forze avverse che ci rendono
schiavi.
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Mt 22, 1-14 In quel tempo.
Il Signore Gesù riprese a parlare loro con parabole e disse: «Il regno dei
cieli è simile a un re, che fece una festa di nozze per suo figlio. Egli
mandò i suoi servi a chiamare gli invitati alle nozze, ma questi non volevano
venire. Mandò di nuovo altri servi con quest’ordine: “Dite agli invitati:
Ecco, ho preparato il mio pranzo; i miei buoi e gli animali ingrassati sono
già uccisi e tutto è pronto; venite alle nozze!”. Ma quelli non se ne
curarono e andaròno chi al proprio campo, chi ai propri affari; altri poi
presero i suoi servi, li insultarono e li uccisero. Allora il re si indignò:
mandò le sue truppe, fece uccidere quegli assassini e diede alle fiamme la
loro città. Poi disse ai suoi servi: “La festa di nozze è pronta, ma gli
invitati non erano degni; andate ora ai crocicchi delle strade e tutti quelli
che troverete, chiamateli alle nozze”. Usciti per le strade, quei servi
radunarono tutti quelli che trovarono, cattivi e buoni, e la sala delle nozze
si riempì di commensali. Il re entrò per vedere i commensali e lì scorse un
uomo che non indossava l’abito nuziale. Gli disse: “Amico, come mai sei
entrato qui senza l’abito nuziale?”. Quello ammutolì. Allora il re ordinò ai
servi: “Legatelo mani e piedi e gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto
e stridore di denti”. Perché molti sono chiamati, ma pochi eletti».
Matteo. 22, 1-14 Matteo elenca qui tre parabole, di seguito, che hanno,
come significato, l'accoglienza alla volontà di Dio, la concretezza di una
risposta che non sia formale o solo gentile, quanto piuttosto responsabile e
coerente, carica di impegni e di frutti. - 21,28-32: la parabola dei due
figli, - 21,33-46: la parabola dei vignaioli malvagi, - 22,1-14: gli
invitati a nozze.
Noi, oggi ci fermiamo sulla terza parabola, pur
ricordando che tutte e tre pongono, al vertice del valore della vita, un
rapporto di collaborazione, di dignità sul lavoro e di privilegio per le
nozze ma, in ultima analisi, la ricerca e l'obbedienza alla volontà di Dio.
Questa parabola ha un parallelo con Luca 14,15-24 e presenta delle differenze
interessanti, dipendenti dal messaggio culturale diverso e dall'esperienza di
Matteo Il re prepara il banchetto di nozze per il figlio. E siamo, così,
subito trasportati in una atmosfera favolosa, tanto più che subito si
intravede che il re è Dio e il figlio è il Messia che incorona, dopo un
progetto di millenni, un matrimonio di pienezza con la sua sposa. Gli
inviti, selezionati, sono stati inviati ed i profeti, che hanno sollecitato
almeno due volte, sono stati ignorati. Anzi l'invito è stato addirittura
volutamente rifiutato. In alcuni casi è diventato il pretesto per una rivolta
contro il re poiché i messaggeri, pur essendo inviolabili come ambasciatori,
sono stati cacciati e perfino uccisi. L'esperienza di Matteo, che ha alle
spalle la tragedia della distruzione di Gerusalemme (70 d.C.) fa
immediatamente collegare questo rifiuto e queste ribellioni al giudizio ed al
rifiuto di Dio (v 7). C'è un terzo invito per poter celebrare le nozze
della Chiesa. Qui non si seleziona preventivamente nessuno, anzi si comincia
ad accoglier chiunque, cominciando dai "cattivi" per raggiungere poi anche i
"buoni". (v 10). Le nozze sono un dono gratuito e tutti sono invitati,
indipendentemente dal loro passato. Quando tutti sono "sdraiati", come si usa
in questo contesto per mangiare, (v 11) il re scende per stare con loro. E'
la garanzia dell'accoglienza. I rabbini garantivano che il giorno del
banchetto "il Santo siederà in mezzo a loro". Ma uno non ha l'abito
nuziale. Alcuni documenti mesopotamici ricordano il costume dei re di
regalare la veste all'ingresso della sala del convito ad ogni singolo
invitato. Perciò chi non ha la veste per la cerimonia l'ha rifiutata ed è
colpevole. Se tutto è gratuito, per fermarsi ci sono però alcune condizioni
da rispettare. Nella Chiesa, dice Matteo, sono chiamati tutti, ma poi
tutti debbono indossare l'abito che rappresenta le scelte evangeliche, quelle
assunte con il battesimo, con il bagno che purifica e fa risorgere. Bisogna
smettere gli stracci delle abitudini del male. Così Matteo vuole ricordare
ai suoi che non si può convivere con le precedenti abitudini. Le scelte da
fare, la dignità da reinvestire, i criteri da maturare debbono essere in
linea con l'ospitalità, la gioia e la festa dove Dio è presente. Non basta
essere nella Chiesa. La veste nuziale sono le "opere giuste dei santi" (Ap
19,8), i frutti. Qualche capitolo più avanti (25,31-46), Matteo enumera le
opere buone che debbono fare da cardine nell'umanità, credente o no, ma che
si deve misurare sul cammino della storia e su ciò che resta davvero. C'è un
gran finale nel giorno del giustizio in cui verremo ringraziati o rifiutati a
secondo di quello che avremo fatto. Gesù dirà: "Avevo fame, avevo sete, ero
nudo e forestiero, ero malato o in carcere". E se ci sentiremo un grazie, ci
chiederemo stupidi, spero tutti, di quella riconoscenza e ritorneremo con la
memoria ai gesti, luoghi e tempi dell'accoglienza offerta ed egli ci
arricchirà di particolari e ci svelerà i tempi della sua povertà. Ma quel
elenco sarà occupato anche da tanti altri frutti poiché nel Vangelo l'elenco
è incompleto (siamo solo al sei, e non al sette, numero pieno). E quindi,
nella storia, siamo invitati ad aprire gli occhi, poiché sorgeranno altre
presenze di Gesù povero. Quel giorno i beati, spero tutti. avranno una
splendida veste nuziale.
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