 V Domenica di Pasqua
2 maggio 2021
Gv 17, 1b-11
At 7, 2-8. 11-12a. 17. 20-22. 30-34. 36-42a. 44-48a. 51-5 1Cor 2, 6-12 - Sal 117 - Prima lettera ai Corinzi 2,6 12
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Lodate il Signore e proclamate le sue
meraviglie. Rendete grazie al Signore perché è buono, perché il
suo amore è per sempre.Dica Israele: «Il suo amore è per
sempre». |
1Cor 2, 6-12
In quei
giorni. Stefano rispose: «Fratelli e padri,
ascoltate: [il Dio della gloria apparve al
nostro padre Abramo quando era in Mesopotamia,
prima che si stabilisse in Carran, e gli disse:
“Esci dalla tua terra e dalla tua gente e vieni
nella terra che io ti indicherò”. Allora, uscito
dalla terra dei Caldei, si stabilì in Carran; di
là, dopo la morte di suo padre, Dio lo fece
emigrare in questa terra dove voi ora abitate.
In essa non gli diede alcuna proprietà, neppure
quanto l’orma di un piede e, sebbene non avesse
figli, promise “di darla in possesso a lui e
alla sua discendenza dopo di lui”. Poi Dio parlò
così: “La sua discendenza vivrà da straniera in
terra altrui, tenuta in schiavitù e oppressione
per quattrocento anni. Ma la nazione di cui
saranno schiavi, io la giudicherò – disse Dio –
e dopo ciò usciranno” e mi adoreranno in questo
luogo. E gli diede l’alleanza della
circoncisione. E così Abramo generò Isacco e lo
circoncise l’ottavo giorno e Isacco generò
Giacobbe e Giacobbe i dodici patriarchi. Su
tutto l’Egitto e su Canaan vennero carestia e
grande tribolazione e i nostri padri non
trovavano da mangiare. Giacobbe, avendo udito
che in Egitto c’era del cibo, vi inviò i nostri
padri.] Mentre si avvicinava il tempo della
promessa fatta da Dio ad Abramo, il popolo
crebbe e si moltiplicò in Egitto. In quel tempo
nacque Mosè, ed era molto bello. Fu allevato per
tre mesi nella casa paterna e, quando fu
abbandonato, lo raccolse la figlia del faraone e
lo allevò come suo figlio. Così Mosè venne
educato in tutta la sapienza degli Egiziani ed
era potente in parole e in opere. Passati
quarant’anni, gli apparve nel deserto del monte
Sinai un angelo, in mezzo alla fiamma di un
roveto ardente. Mosè rimase stupito di questa
visione e, mentre si avvicinava per vedere
meglio, venne la voce del Signore: “Io sono il
Dio dei tuoi padri, il Dio di Abramo, di Isacco
e di Giacobbe”. Tutto tremante, Mosè non osava
guardare. Allora il Signore gli disse: “Togliti
i sandali dai piedi, perché il luogo in cui stai
è terra santa. Ho visto i maltrattamenti fatti
al mio popolo in Egitto, ho udito il loro gemito
e sono sceso a liberarli. Ora vieni, io ti mando
in Egitto”. Egli li fece uscire, compiendo
prodigi e segni nella terra d’Egitto, nel Mar
Rosso e nel deserto per quarant’anni. Egli è
quel Mosè che disse ai figli d’Israele: “Dio
farà sorgere per voi, dai vostri fratelli, un
profeta come me”. Egli è colui che, mentre erano
radunati nel deserto, fu mediatore tra l’angelo,
che gli parlava sul monte Sinai, e i nostri
padri; egli ricevette parole di vita da
trasmettere a noi. Ma i nostri padri non vollero
dargli ascolto, anzi lo respinsero e in cuor
loro si volsero verso l’Egitto, dicendo ad
Aronne: “Fa’ per noi degli dèi che camminino
davanti a noi, perché a questo Mosè, che ci
condusse fuori dalla terra d’Egitto, non
sappiamo che cosa sia accaduto”. E in quei
giorni fabbricarono un vitello e offrirono un
sacrificio all’idolo e si rallegrarono per
l’opera delle loro mani. Ma Dio si allontanò da
loro e li abbandonò al culto degli astri del
cielo. [Nel deserto i nostri padri avevano la
tenda della testimonianza, come colui che
parlava a Mosè aveva ordinato di costruirla
secondo il modello che aveva visto. E dopo
averla ricevuta, i nostri padri con Giosuè la
portarono con sé nel territorio delle nazioni
che Dio scacciò davanti a loro, fino ai tempi di
Davide. Costui trovò grazia dinanzi a Dio e
domandò di poter trovare una dimora per la casa
di Giacobbe; ma fu Salomone che gli costruì una
casa. L’Altissimo tuttavia non abita in
costruzioni fatte da mano d’uomo.] Testardi e
incirconcisi nel cuore e nelle orecchie, voi
opponete sempre resistenza allo Spirito Santo.
Come i vostri padri, così siete anche voi. Quale
dei profeti i vostri padri non hanno
perseguitato? Essi uccisero quelli che
preannunciavano la venuta del Giusto, del quale
voi ora siete diventati traditori e uccisori,
voi che avete ricevuto la Legge mediante ordini
dati dagli angeli e non l’avete osservata».
All’udire queste cose, erano furibondi in cuor
loro e digrignavano i denti contro Stefano.
Stefano, uno dei sette
scelti dalla comunità per il servizio alle
mense, si dimostra un credente adulto e
appassionato che, insieme agli apostoli, a
Gerusalemme, compie "prodigi davanti al popolo"
e imposta una riflessione assolutamente nuova
agli orecchi degli ebrei credenti. Egli mette al
centro Gesù come valore di pienezza a cui
orientare la propria vita. Verso Gesù si sono
orientati anche Mosé e i profeti (6,8). E se
alcuni "si alzarono a discutere con Stefano, non
riuscivano a resistere alla sapienza e allo
Spirito con cui egli parlava" (6,9-10).
Una sommossa tra gli
ebrei colti, con una raffica di false
testimonianze, lo accusano come provocatore
contro l'ebraismo, riuscendo, in tal modo, a
portare Stefano davanti al sommo sacerdote per
essere giudicato. E poiché viene chiesto a
Stefano di giustificarsi su tutto quello di cui
lo accusano, Stefano inizia una lunga
riflessione sulla storia d'Israele e il suo
itinerario verso il Messia. Il testo che
leggiamo non è completo (si vede dalla
citazione), e tuttavia ci indica una
predicazione biblica che si è sviluppata non
solo nelle chiese ebraiche di Gerusalemme, ma,
soprattutto nelle sinagoghe elleniste, in
particolare, per la riflessione lunga e, si può
dire, dettagliata e significativa per chi non
conosce molto il Primo Testamento. Il testo si
divide in varie parti: il comportamento di Dio
con Abramo (7,2-8), con Giuseppe, (7, 9-16), con
Mosé (7, 17-43), con il suo popolo infedele e
qui inserisce lacune riflessioni sulla
costruzione del tempio) (7, 44- 50). Infine
Stefano denuncia le responsabilità del popolo
che non ha saputo vedere in Gesù il Messia e il
"Giusto"(7, 51- 53). La conclusione della
testimonianza di Stefano porta all'obbligo di
riscoprire Gesù come la convergenza dell'azione
di Dio e del cammino del popolo d'Israele nella
storia.
Poiché una delle
accuse, che gli vengono fatte, riguarda il
tempio di Salomone e prima ancora, nel deserto
"la tenda della testimonianza" dove il popolo
d'Israele pone e garantisce la presenza di Dio
con il suo popolo, Stefano rifiuta una presenza
esclusiva e ricorda Isaia (66,1- 2) " Così dice
il Signore: «Il cielo è il mio trono, la terra
lo sgabello dei miei piedi. Quale casa mi
potreste costruire? In quale luogo potrei
fissare la dimora? 2 Tutte queste cose ha fatto
la mia mano ed esse sono mie - oracolo del
Signore. Su chi volgerò lo sguardo? Sull'umile e
su chi ha lo spirito contrito e su chi trema
alla mia parola".
Stefano, in
particolare, vuole sviluppare la memoria
riguardante la vicenda di Mosé. Si preoccupa,
infatti, di ricordare che fu Mosé a dire ai
figli d'Israele: "Dio vi farà sorgere un profeta
tra i vostri fratelli, al pari di me" (Deut
18,15).
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Prima lettera ai Corinzi 2, 6-12
Fratelli, tra coloro che sono perfetti parliamo, sì, di
sapienza, ma di una sapienza che non è di questo mondo, né dei
dominatori di questo mondo, che vengono ridotti al nulla.
Parliamo invece della sapienza di Dio, che è nel mistero, che è
rimasta nascosta e che Dio ha stabilito prima dei secoli per la
nostra gloria. Nessuno dei dominatori di questo mondo l’ha
conosciuta; se l’avessero conosciuta, non avrebbero crocifisso
il Signore della gloria. Ma, come sta scritto: «Quelle cose che
occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrarono in cuore di
uomo, Dio le ha preparate per coloro che lo amano». Ma a noi Dio
le ha rivelate per mezzo dello Spirito; lo Spirito infatti
conosce bene ogni cosa, anche le profondità di Dio. Chi infatti
conosce i segreti dell’uomo se non lo spirito dell’uomo che è in
lui? Così anche i segreti di Dio nessuno li ha mai conosciuti se
non lo Spirito di Dio. Ora, noi non abbiamo ricevuto lo spirito
del mondo, ma lo Spirito di Dio per conoscere ciò che Dio ci ha
donato. Prima lettera ai Corinzi 2, 6-12
La vera sapienza non è data a tutti ma a coloro che Dio ama.
Essa non si ottiene nello sfoggio di sottili ragionamenti come
fanno alcuni credenti, a Corinto, imitando i filosofi. E credono
così di dimostrare il valore della sapienza cristiana. Paolo
ha fatto sulla sua pelle l'esperienza della ricerca della
sapienza e, credendo nelle sue forze e nel valore di una
intelligente retorica, andando ad Atene, in mezzo a persone di
cultura, nell'areopago (il più antico tribunale di Atene), ha
tentato di proporre la fede di Gesù. Inizialmente ha parlato
della dignità di ogni essere umano come Figlio di Dio, ha
apprezzato il senso religioso che sviluppa nel mondo greco un
culto anche verso il Dio nascosto e sconosciuto. Ma poi si è
impegnato nell'annuncio di Gesù morto e risorto. E, a questo
punto, la curiosità e l'attenzione degli ateniesi sono sfumate
nella derisione e lo hanno abbandonato (At 17,22-34). In tal
modo Paolo giudica severamente le persone che si vorrebbero
comportare allo stesso modo, fidando sui propri ragionamenti
umani. La fede cristiana non pone dimensioni irrazionali,
certamente, ma orienta verso scelte che vanno oltre il normale
buon senso. Paolo ricorda l'atteggiamento iniziale che ha
portato nel cuore al primo incontro con i Corinzi: "Mi sono
presentato in debolezza e con molto timore e trepidazione" (1Cor
2, 3-4). Ma il messaggio da portare era ed è stupefacente. E'
necessario rivelare la Sapienza di Dio, ricevuta per mezzo dello
Spirito. Essa manifesta i misteri di Dio (v. 10). La Sapienza è
rimasta nascosta, i dominatori non hanno potuto conoscerla (vv
7-8), "Ma ora è stato consegnato il mistero taciuto per secoli
eterni " (Rom 16,25-26). Essa è l'invito e la garanzia della
salvezza universale, noto solo a Dio da tutta l'eternità, per
una umanità incapace di superare tutte le lacerazioni, le
divisioni, i razzismi. Questo mistero, legato al nome dello
Spirito, spinge a scoprire l'attenzione di Dio ad ogni persona,
a sentirlo Padre di ogni essere umano, ad avere coscienza di
essere fratelli e sorelle in una sola famiglia, responsabili per
ogni altro di una vita dignitosa e libera. Paolo sta insistendo
perché la nuova Sapienza cristiana sia alla vigilia di una
consapevolezza per tutto il mondo. Prima di tutto siamo noi che
dobbiamo maturare responsabilmente, nel nostro cuore, il
significato di ogni persona per Dio che crea e per Gesù che ama
fino alla morte. In questa lettura si scopre il significato del
Crocifisso che è la sapienza vera, scandalo per i giudei e
stoltezza per i pagani (1,18-25).
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Gv 17, 1b-11 In quel tempo.
Il Signore Gesù, alzàti gli occhi al cielo, disse: «Padre, è venuta l’ora:
glorifica il Figlio tuo perché il Figlio glorifichi te. Tu gli hai dato
potere su ogni essere umano, perché egli dia la vita eterna a tutti coloro
che gli hai dato. Questa è la vita eterna: che conoscano te, l’unico vero
Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo. Io ti ho glorificato sulla terra,
compiendo l’opera che mi hai dato da fare. E ora, Padre, glorificami davanti
a te con quella gloria che io avevo presso di te prima che il mondo fosse. Ho
manifestato il tuo nome agli uomini che mi hai dato dal mondo. Erano tuoi e
li hai dati a me, ed essi hanno osservato la tua parola. Ora essi sanno che
tutte le cose che mi hai dato vengono da te, perché le parole che hai dato a
me io le ho date a loro. Essi le hanno accolte e sanno veramente che sono
uscito da te e hanno creduto che tu mi hai mandato. Io prego per loro; non
prego per il mondo, ma per coloro che tu mi hai dato, perché sono tuoi. Tutte
le cose mie sono tue, e le tue sono mie, e io sono glorificato in loro. Io
non sono più nel mondo; essi invece sono nel mondo, e io vengo a te. Padre
santo, custodiscili nel tuo nome, quello che mi hai dato, perché siano una
sola cosa, come noi». Giovanni. 17, 1b-11 Il capitolo 17
del Vangelo di Giovanni riporta la "preghiera sacerdotale" di Gesù,
pronunciata nell'ultima cena come il suo ultimo discorso prima della
passione. Si può considerare questo testo come una terza rilettura della
preghiera del Getsemani, dopo i due interventi precedenti, pronunciati sempre
nell'ultima cena di Gesù: i capp 13-14 e capp 15-16, che corrispondono e si
richiamano. In questa lettura si riassume tutta la vita di Gesù: egli si
fa preghiera e preghiera di intercessione. Egli, allargando via via
l'orizzonte, prega per se stesso (1-5), per i discepoli (6-19), per la Chiesa
(20-26). La preghiera di intercessione. Gesù prega per i suoi e, in questa
preghiera, raggiunge gli estremi confini della terra. Nel salmo 99,6 si
ricorda l'intercessione di Mosé (che ha la funzione di comando e di giudice),
di Aronne (che ha una funzione sacerdotale), e di Samuele (che ha la funzione
profetica): "Mosè e Aronne tra i suoi sacerdoti, Samuele tra quanti
invocavano il suo nome: invocavano il Signore ed egli rispondeva".
L'intercessione sviluppa un dialogo con Dio nelle tre dignità fondamentali di
Gesù: re, sacerdote e profeta, trasmesse anche a noi nel valore della nostra
preghiera di battezzati. Dio avvisa Mosè che rinnegherà il suo popolo che
si è fatto un idolo, rifiutando così di vivere secondo la sua Parola. Dio
vuole, anzi, cancellarlo. E mentre lo comunica a Mosè, unico fedele rimasto,
gli offre la possibilità di diventare capostipite di una nuova nazione. Ma
Mosé prega per il suo popolo, rifiuta la prospettiva suggerita e richiama a
Dio il fatto che quel popolo, che egli sta accompagnando, è proprio quel
popolo che il Signore stesso aveva voluto liberare. Mosè si rifiuta di
abbandonare la sua gente (Es 32,10-14), e rifiuta, quindi, anche la
prospettiva che gli viene offerta. Egli paga la sua intercessione. Non avrà
la possibilità di entrare nella terra promessa. Muore "sulla bocca di Dio",
traducono i rabbini. " Mosé muore con un bacio di Dio ". (Sono tante le
versioni e le motivazioni per l'esclusione di Mosè dalla terra promessa. Ma
si dice che nella Scrittura ogni parola ha 70 interpretazioni. Comunque Mosè
ha accettato di intercedere, arrivando, in tal modo, ad offrire la vita).
Pregare per qualcuno significa dare la propria vita perché ognuno, uomo o
donna, possa vivere. E' il vero commento di ciò che avviene sulla croce.
La Gloria. "E ora, Padre, glorificami davanti a te con quella gloria che io
avevo presso di te prima che il mondo fosse".(v 5). Tutta l'eternità è
orientata a questo avvenimento e questo avvenimento, a sua volta, è la radice
di un tempo nuovo che si apre all'infinito. Il mondo di Gesù e quest'ora
avvolgono tutta la creazione: il passato ed il futuro si innestano in un
dialogo da parte di Gesù. Glorificare Dio ed essere glorificato da Dio
comporta la salvezza di tutta l'umanità e di tutta la storia. Per il mondo
greco la gloria consiste in ciò che si vede, in ciò che appare. Per il mondo
ebraico gloria significa ciò che conta davvero, ciò che è consistente. Ciò
che semplicemente appare non ha consistenza. Ciò che conta davvero entra
nella carne dell'uomo, nella sua profondità, nel rapporto con la vita e con
il mondo. Acquista risonanza, eco, scambio di riconoscimento e di
accoglienza. Isaia (49,3-6) ci ricorda, parlando del Servo di Dio: "(Il
Signore) mi ha detto: «Mio servo tu sei, Israele, sul quale manifesterò la
mia gloria». Io ho risposto: «Invano ho faticato, per nulla e invano ho
consumato le mie forze. Ma, certo, il mio diritto è presso il Signore, la mia
ricompensa presso il mio Dio» E il Signore ha garantito: «Io ti renderò luce
delle nazioni, perché porti la mia salvezza fino all'estremità della terra».
Il giorno della gloria, perciò, è il giorno della croce. Il servo umiliato,
che prende su di sé il peccato del mondo, esprime la duplice gloria: offrire
gloria al Padre ed essere glorificato da Lui poiché è garantita
l'accettazione della sua offerta. Essere in comunione: è l'elemento
fondamentale che viene proposto per essere in sintonia con la gloria di Gesù.
La dimostrazione della comunione e dell'unità dei cristiani non è tanto il
puntare sulla convergenza della struttura, pur significativa, che ci fa
supera le lacerazioni delle varie confessioni cristiane. Quello di cui Gesù
parla è, ancora più profonda, la ricerca dell'unità di comunione, l'accettare
di essere in sintonia sui valori essenziali di Dio perché lo stesso Dio e la
stessa sua Parola vivano in noi: in me e negli altri. Il nome di Dio. Gesù
ha manifestato "il nome di Dio" (v 6), ci ha svelato il significato e il
senso della potenza di Dio, la garanzia della sua presenza. "Manifestare il
nome" significa consegnare la pienezza di conoscenza, e Gesù è questo
tramite. Egli ha accompagnato i discepoli ed essi hanno scoperto che il nome
di Dio si personifica in Gesù. Più avanti la preghiera continua: "Padre
santo, custodiscili nel tuo nome, quello che mi hai dato, perché siano una
sola cosa, come noi" (v 11-12). Il custodire di Dio continua ad essere
comunione con Gesù e quindi custodia in Gesù dei discepoli e della Comunità
dei Figli. L'offerta sacrificale nel tempio, attraverso gli animali
uccisi, ha avuto un significato particolare. Dio aveva salvato Isacco dalla
morte sacrificale, che sarebbe avvenuta per mano del padre Abramo, disposto
ad ubbidire comunque a Dio, ed ha sostituto Isacco con un ariete. Il
sacrifico degli animali, di cui certo Dio non ha bisogno, è il richiamo alla
sostituzione di sé con qualcosa di proprio, ma è soprattutto disponibilità
all'obbedienza. Non per nulla, allora, i profeti dicevano che non erano
importanti i sacrifici di animali, ma le opere di misericordia e la
liberazione degli oppressi. Ora non c'è più nessuna sostituzione, ma
l'offerta al Padre di Gesù è piena, profonda fino alla morte in croce in un
amore disarmato e totale. Noi siamo chiamati ad aderire a Gesù, unica offerta
e unica salvezza.
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