Domenica delle Palme
28 marzo 2021
Gv 12, 12-16
Riferimenti : Zc 9, 9-10 - Sal 47 - Colossesi 1,15-20
Ecco, o figlia di Sion, il tuo re. Grande è il Signore e degno di ogni lode nella città del nostro Dio. La tua santa montagna, altura stupenda, è la gioia di tutta la terra. Il monte Sion, vera dimora divina,
è la capitale del grande re

Zc 9, 9-10
Così dice il Signore Dio: «Esulta grandemente, figlia di Sion, giubila, figlia di Gerusalemme! Ecco, a te viene il tuo re. Egli è giusto e vittorioso, umile, cavalca un asino, un puledro figlio d’asina. Farà sparire il carro da guerra da Èfraim e il cavallo da Gerusalemme, l’arco di guerra sarà spezzato, annuncerà la pace alle nazioni, il suo dominio sarà da mare a mare e dal Fiume fino ai confini della

Zc 9, 9-10
Il brano è quasi all'inizio di quella sezione conclusiva del libro di Zaccaria (cc. 9-15) comunemente attribuita a un profeta posteriore ("Secondo Zaccaria"), ricca di ispirazione, alla quale il Nuovo Testamento ha in modo notevolissimo attinto (anche nel nostro caso: Mt 21,5 e Gv12,15 citano esplicitamente il nostro testo in riferimento all'ingresso di Gesù in Gerusalemme). Il profeta annunzia la pace e se, come per lo più si dice, egli vive nel IV secolo, ha presenti le guerre di Alessando Magno e dei suoi successori. Comunque lo si collochi cronologicamente, il messaggio non cambia: si vede avvicinarsi una figura singolare, un re a cavallo di un giovane asino. Non si fatica a ravvisarvi il Messia, ma l'apparato magnificente della corte davidica è scomparso. Tutto quello che si dice di lui è: giusto, vittorioso, umile, instaura la pace universale. In rapporto retto con Dio e gli uomini ("giusto"), egli sperimenta pienamente la sua salvezza (dunque "vittorioso", ma i LXX e la Vulgata lo intendono in modo attivo: "salvatore"), proprio perché non si fa forte delle proprie armi ma del Signore ("povero"). La sua azione pacificatrice non riguarda soltanto Israele (da nord a sud, Efraim e Gerusalemme), ma tutta la terra e ogni popolo. Il piano di Dio avanza infallibilmente nella storia al passo tranquillo ma sicuro del puledro figlio d'asina. Israele è invitato da subito a giubilare, prima di tutto nella sua liturgia (come è suggerito dai verbi impiegati).

Colossesi 1,15-20
Fratelli, Cristo è immagine del Dio invisibile, primogenito di tutta la creazione, perché in lui furono create tutte le cose nei cieli e sulla terra, quelle visibili e quelle invisibili: Troni, Dominazioni, Principati e Potenze. Tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui. Egli è prima di tutte le cose e tutte in lui sussistono. Egli è anche il capo del corpo, della Chiesa. Egli è principio, primogenito di quelli che risorgono dai morti, perché sia lui ad avere il primato su tutte le cose. È piaciuto infatti a Dio che abiti in lui tutta la pienezza e che per mezzo di lui e in vista di lui siano riconciliate tutte le cose, avendo pacificato con il sangue della sua croce sia le cose che stanno sulla terra, sia quelle che stanno nei cieli.

Colossesi 1,15-20
« Per reagire contro la tentazione di sottomettersi a potenze cosmiche che avrebbero in mano il destino di ognuno, l’autore sacro inserisce un inno cristiano preesistente, allo scopo di affermare l’assoluta preminenza del Figlio e nell’ordine della creazione e in quello della redenzione. Il Figlio è l’unico Mediatore dell’operare creatore e salvifico di Dio. Con ciò viene proclamata la preesistenza e la superiorità di Cristo su tutto il creato, inclusa la schiera delle potenze cosmiche, che, benché invisibili, non possono competere con cristo ed essere le sue rivali. L’inno parla di Cristo nel suo rapporto con l’universo degli uomini. Agli occhi della fede, egli è l’unica risposta possibile alle inquietudini dell’uomo che si sente esistenzialmente minacciato e non comprende più il proprio posto nel mondo. L’inno serve così di base all’argomentazione principale della lettera. la prima strofa canta la funzione di mediazione del Figlio nella creazione. Come la Sapienza (cfr. Sap 7,26), egli è . Dio che non si può vedere con i nostri occhi, si è reso visibile nella vita, morte e risurrezione di Gesù.

VANGELO Gv 12, 12-16
In quel tempo. La grande folla che era venuta per la festa, udito che Gesù veniva a Gerusalemme, prese dei rami di palme e uscì incontro a lui gridando: «Osanna! Benedetto colui che viene nel nome del Signore, il re d’Israele!». Gesù, trovato un asinello, vi montò sopra, come sta scritto: «Non temere, figlia di Sion! Ecco, il tuo re viene, seduto su un puledro d’asina». I suoi discepoli sul momento non compresero queste cose; ma, quando Gesù fu glorificato, si ricordarono che di lui erano state scritte queste cose e che a lui essi le avevano fatte.

Gv 12, 12-16
Per Gesù è arrivata la sua "ora".
Entra in Gerusalemme per la sua settimana decisiva. Lì compirà i suoi atti fondamentali di salvezza e riscatto per noi: la sua passione e morte in croce.
Ha voluto preparare bene questo gesto, quasi un presentarsi ufficiale quale Messia preannunciato dai profeti.
Quanti l'hanno capito? Neanche i più vicini. Non era facile accettare un Messia così sconcertante: cavalca un asino. Un Messia umile, che vuol portare il peso dei nostri peccati, un Messia crocifisso.
Ecco, domandiamoci: che cosa significa che Cristo ci salva dalla croce? Che cosa cioè vuol mostrare Dio scegliendo di farsi conoscere crocifisso? Questa è la sorpresa: che Dio ha tanto voluto condividere con noi la vita da sostituirsi a noi nel nostro riscatto dal male e dal peccato. Solidale con noi, ha voluto esprimere a nome nostro e in nostro favore tutta la faticosa obbedienza che ci riscatta e ci salva davanti a Dio.
"Egli si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori, è stato trafitto per i nostri delitti, schiacciato per le nostre iniquità. Il castigo che ci dà salvezza si è abbattuto su di lui; per le sue piaghe noi siamo stati guariti" (I lett.).
Una condivisione portata fino all'estremo dono di sé, fino al segno del sangue: "Avendo amato i suoi, li amò sino alla fine" (Gv 13,1). Dio è uno che ci mette la pelle per noi: "Non c'è amore più grande di chi dà la vita per i suoi amici" (Gv 15,13). Sant'Agostino ha una espressione illuminante: "Potuit gutta, venit unda"; poteva salvarci con una goccia di sangue, ne venne una valanga...! Ad amare quando le cose van bene, son buoni tutti: anche per noi la prova d'amore vuole sacrificio.