 III Domenica di Quaresima
7 marzo 2021
Gv 8, 31-59
Riferimentiv : Es 32, 7-13b -
Sal 105
- 1Ts 2, 20 – 3, 8 |
Salvaci, Signore, nostro Dio. Abbiamo peccato con i
nostri padri, delitti e malvagità abbiamo commesso. I nostri padri, in Egitto, non compresero le tue meraviglie,ì
non si ricordarono della grandezza del tuo amore.
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Es 32, 7-13b In quei giorni. Il Signore
disse a Mosè: «Va’, scendi, perché il tuo
popolo, che hai fatto uscire dalla terra
d’Egitto, si è pervertito. Non hanno tardato ad
allontanarsi dalla via che io avevo loro
indicato! Si sono fatti un vitello di metallo
fuso, poi gli si sono prostrati dinanzi, gli
hanno offerto sacrifici e hanno detto: “Ecco il
tuo Dio, Israele, colui che ti ha fatto uscire
dalla terra d’Egitto”». Il Signore disse inoltre
a Mosè: «Ho osservato questo popolo: ecco, è un
popolo dalla dura cervice. Ora lascia che la mia
ira si accenda contro di loro e li divori. Di te
invece farò una grande nazione». Mosè allora
supplicò il Signore, suo Dio, e disse: «Perché,
Signore, si accenderà la tua ira contro il tuo
popolo, che hai fatto uscire dalla terra
d’Egitto con grande forza e con mano potente?
Perché dovranno dire gli Egiziani: “Con malizia
li ha fatti uscire, per farli perire tra le
montagne e farli sparire dalla terra”? Desisti
dall’ardore della tua ira e abbandona il
proposito di fare del male al tuo popolo.
Ricòrdati di Abramo, di Isacco, di Israele, tuoi
servi, ai quali hai giurato per te stesso e hai
detto: “Renderò la vostra posterità numerosa
come le stelle del cielo”».
Es 32,7-13b Il popolo d'Israele vive
all'improvviso una situazione inimmaginabile;
passa dalla soggezione e dalla disperazione
rassegnata della schiavitù e dello sfruttamento
alla liberazione. Chi non è abituato alle scelte
ed alla libertà, pretende di avere garanzie
continue, riferimenti solidi e presenti.
Procedere nel tempo senza concretezze
rassicuranti mentre stiamo decidendo, giocandoci
solo con la fiducia, è esasperante. Soprattutto
se incrociamo difficoltà impreviste e si innesta
nella riflessione quotidiana il tarlo del
dubbio. Mosè è salito sul monte da oltre un
mese, entrato nella tempesta che dal basso si
intravede. E' lontano, inghiottito nella nube e
nel fragore del Sinai e non dà segni di
sopravvivenza. Il Signore vuole certamente
offrire un segno che diventi, nel patto con il
suo popolo, un documento: lo vuole consegnare
nelle mani di Mosé: sono " le due tavole della
testimonianza, tavole di pietra, scritte dal
dito di Dio" (Es 31,18). Ma il popolo sta
scoprendo che il loro Dio è un Dio silenzioso,
nascosto, non rappresentabile in nessuna forma,
rispettoso della libertà e della autonomia del
suo popolo, capace di fidarsi ma esigente sulla
libertà. L'unico rapporto possibile è la
fiducia. Ma il popolo si aspetta un Dio
protettivo, garantista, mammone, e insieme
tempestivo, che si esibisce, incombente,
minaccioso. Il parametro della folla è quello
del giudice inflessibile o del padre
giustiziere. Uno schiavo è abituato alla paura,
al sotterfugio, a non avere fiato, ad essere
continuamente piegato, obbligato, senza scampo,
senza pensiero, senza scelte. Il popolo,
allora, angosciato e preoccupato, pretende da
Aronne, fratello di Mosè, una presenza
significativa e visibile che sostituisca Mosè,
che si assuma le stesse responsabilità, ma
pretendendo di dettare le scelte future: "Fa per
noi un Dio che cammini alla nostra testa perché
a Mosé, quell'uomo che ci ha fatto uscire dalla
terra d'Egitto, non sappiamo che cosa sia
accaduto" (32,1). Ed Aronne stesso è coinvolto e
fa fondere un vitello in metallo, tratto dagli
ornamenti preziosi che il popolo ha portato
dall'Egitto. Al toro, in Egitto, immagine del
grande Dio Ptah di Memphis, un Dio creatore, era
attribuita la fecondità dei campi e degli
animali. Perciò il popolo si vuole garantire,
per il futuro: per la conclusione del cammino,
per l'insediamento nella nuova terra, per la
fecondità dei raccolti e dei beni. Una statua,
un Dio materializzato, dà garanzia di
possederlo, di costringerlo, di obbligarlo ai
propri progetti. Lo si porta come primo in
processione per sentirsi protetti. Anche gli
eserciti ritengono una garanzia affrontare le
battaglie con la statua del Dio in primo piano.
Viene scoperto, in questo testo, il ruolo enorme
e splendido dell'Intercessore. Mosè lo è: già al
momento delle piaghe d'Egitto
(5,22-23;8,4;9,28;10,17); in favore della
sorella Maria (Nm 12,13); ma specialmente per
tutto il popolo nel deserto
(5,22-23;32,11-14.30-32;Nm 11,2;14,13-19; 16,22;
21,7; Dt 9,25-29). Sarà ricordato mediatore
anche nei secoli futuri: da Ger 15,1; Sal 99,6;
106,23; Sir 45,3. Cf.2Mac 15,14. L'intercessione
di Mosè prefigura quella di Cristo. Ma va
ricordato che per questo popolo la
rappresentazione del vitello non è un altro Dio,
ma è l'immagine visibile di quel Dio che li ha
liberati da Faraone e dalla schiavitù
dell'Egitto. (v.8).
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1Ts 2, 20 – 3, 8 Fratelli, siete voi la
nostra gloria e la nostra gioia! Per questo, non potendo più
resistere, abbiamo deciso di restare soli ad Atene e abbiamo
inviato Timòteo, nostro fratello e collaboratore di Dio nel
vangelo di Cristo, per confermarvi ed esortarvi nella vostra
fede, perché nessuno si lasci turbare in queste prove. Voi
stessi, infatti, sapete che questa è la nostra sorte; infatti,
quando eravamo tra voi, dicevamo già che avremmo subìto delle
prove, come in realtà è accaduto e voi ben sapete. Per questo,
non potendo più resistere, mandai a prendere notizie della
vostra fede, temendo che il tentatore vi avesse messi alla prova
e che la nostra fatica non fosse servita a nulla. Ma, ora che
Timòteo è tornato, ci ha portato buone notizie della vostra
fede, della vostra carità e del ricordo sempre vivo che
conservate di noi, desiderosi di vederci, come noi lo siamo di
vedere voi. E perciò, fratelli, in mezzo a tutte le nostre
necessità e tribolazioni, ci sentiamo consolati a vostro
riguardo, a motivo della vostra fede. Ora, sì, ci sentiamo
rivivere, se rimanete saldi nel Signore. I Tess2,20,-3,8
Paolo sente di essere missionario nel mondo pagano e, attorno
all'anno 50, compie il suo secondo viaggio dei quattro che gli
si attribuiscono, arrivando a Tessalonica, la capitale della
provincia romana in Macedonia, la prima grande città in Europa,
per ora, sul suo cammino. Paolo vi giunge insieme con Sila e
Timoteo (At 17,1-10). Non è stata una permanenza molto breve
Poi, bruscamente, la sua opera si interrompe ed egli fugge,
mantenendo tuttavia la grande nostalgia per gli amici è una
grande preoccupazione per non aver compiuto a sufficienza
l'opera di evangelizzazione. Resta tuttavia sempre all'erta e le
notizie, che giungono, gli portano fiducia e lo incoraggiano per
un lavoro fatto bene che sta dando frutti. Infatti i cristiani
della comunità di Tessalonica hanno resistito alla prova e sono
sulla buona strada. Così non è preoccupato poiché hanno accolto
l'essenziale e conoscono lo stile che debbono continuare. Paolo
sa che il tentatore è sempre all'opera, ma riconosce che dalle
notizie ricevute sulla "loro fede, carità e il ricordo della sua
evangelizzazione" può essere sereno per ricordare con fiducia e
con affetto. La lettera continua dando, quindi, alcuni
suggerimenti molto significativi sulla vita di comunità:
"l'amarsi l'un l'altro (4,9), "vivere in pace, facendosi un
punto d'onore l'attendere alle proprie cose" e "lavorare con le
proprie mani" (4,11). Sono suggerimenti di vita quotidiana,
comprensibili dalla comunità che accoglie e che, probabilmente,
è anche una comunità irrequieta. Essa va richiamata ad uno stile
semplice, discreto, e operoso anche se monotono. Paolo ricorda -
la 1ª raccomandazione (4,3-8): incoraggia ad un impegno di
purezza di comportamento che vieta rapporti extra- coniugali; -
la 2º raccomandazione (4,8-12): avvia allo sviluppo della carità
tanto da arrivare a considerare gli altri come fratelli e
sorelle in un legame di coerenza, e di fiducia; - la
3°raccomandazione (4,13-18) infine, impegna, anche nelle realtà
di lutto e di sofferenza, a mantenere un proprio equilibrio e un
atteggiamento di fiducia poiché i defunti vivono nella pienezza
di Dio e, come cristiani, noi crediamo nella risurrezione dei
corpi. Paolo, anche se non cita espressamente la breve
parabola del pane, l'ha presente mentre suggerisce ai cristiani
di essere il lievito della società in cui quotidianamente
sviluppano il loro impegno e la loro operosità. Si parla perciò
di santità, coerenza, rispetto e amore. Ma tutto questo deve
essere molto chiaro. Ogni cristiano, consapevole, molto carico
di fiducia, visibile agli occhi degli altri, deve essere un
atteggiamento che sappia testimoniare valori impensabili nella
società in cui vive cambiando rapporti e stili di esistenza per
tutti. La città deve diventare un laboratorio di vita e di
novità, oggi come allora e allora come oggi.
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Gv 8, 31-59 In quel tempo. Il Signore Gesù disse a quei Giudei
che gli avevano creduto: «Se rimanete nella mia parola, siete davvero miei
discepoli; conoscerete la verità e la verità vi farà liberi». Gli risposero:
«Noi siamo discendenti di Abramo e non siamo mai stati schiavi di nessuno.
Come puoi dire: “Diventerete liberi”?». Gesù rispose loro: «In verità, in
verità io vi dico: chiunque commette il peccato è schiavo del peccato. Ora,
lo schiavo non resta per sempre nella casa; il figlio vi resta per sempre. Se
dunque il Figlio vi farà liberi, sarete liberi davvero. So che siete
discendenti di Abramo. Ma intanto cercate di uccidermi perché la mia parola
non trova accoglienza in voi. Io dico quello che ho visto presso il Padre;
anche voi dunque fate quello che avete ascoltato dal padre vostro». Gli
risposero: «Il padre nostro è Abramo». Disse loro Gesù: «Se foste figli di
Abramo, fareste le opere di Abramo. Ora invece voi cercate di uccidere me, un
uomo che vi ha detto la verità udita da Dio. Questo, Abramo non l’ha fatto.
Voi fate le opere del padre vostro». Gli risposero allora: «Noi non siamo
nati da prostituzione; abbiamo un solo padre: Dio!». Disse loro Gesù: «Se Dio
fosse vostro padre, mi amereste, perché da Dio sono uscito e vengo; non sono
venuto da me stesso, ma lui mi ha mandato. Per quale motivo non comprendete
il mio linguaggio? Perché non potete dare ascolto alla mia parola. Voi avete
per padre il diavolo e volete compiere i desideri del padre vostro. Egli era
omicida fin da principio e non stava saldo nella verità, perché in lui non
c’è verità. Quando dice il falso, dice ciò che è suo, perché è menzognero e
padre della menzogna. A me, invece, voi non credete, perché dico la verità.
Chi di voi può dimostrare che ho peccato? Se dico la verità, perché non mi
credete? Chi è da Dio ascolta le parole di Dio. Per questo voi non ascoltate:
perché non siete da Dio». Gli risposero i Giudei: «Non abbiamo forse ragione
di dire che tu sei un Samaritano e un indemoniato?». Rispose Gesù: «Io non
sono indemoniato: io onoro il Padre mio, ma voi non onorate me. Io non cerco
la mia gloria; vi è chi la cerca, e giudica. In verità, in verità io vi dico:
se uno osserva la mia parola, non vedrà la morte in eterno». Gli dissero
allora i Giudei: «Ora sappiamo che sei indemoniato. Abramo è morto, come
anche i profeti, e tu dici: “Se uno osserva la mia parola, non sperimenterà
la morte in eterno”. Sei tu più grande del nostro padre Abramo, che è morto?
Anche i profeti sono morti. Chi credi di essere?». Rispose Gesù: «Se io
glorificassi me stesso, la mia gloria sarebbe nulla. Chi mi glorifica è il
Padre mio, del quale voi dite: “È nostro Dio!”, e non lo conoscete. Io invece
lo conosco. Se dicessi che non lo conosco, sarei come voi: un mentitore. Ma
io lo conosco e osservo la sua parola. Abramo, vostro padre, esultò nella
speranza di vedere il mio giorno; lo vide e fu pieno di gioia». Allora i
Giudei gli dissero: «Non hai ancora cinquant’anni e hai visto Abramo?».
Rispose loro Gesù: «In verità, in verità io vi dico: prima che Abramo fosse,
Io Sono». Allora raccolsero delle pietre per gettarle contro di lui; ma Gesù
si nascose e uscì dal tempio. Gv 08,31-59 "Se rimanete nella mia parola
siete davvero miei discepoli, conoscerete la verità e la verità vi farà
liberi" Queste parole di Gesù scandalizzano i Giudei che gli avevano creduto:
non sono mai stati schiavi di nessuno. Come Gesù può dire che diventeranno
liberi se rimarranno nella sua parola? Loro, che sono figli di Abramo? E
poi di quale parola si tratta? Noi, tra l'altro, siamo abituati ad intendere
la parola "verità" come un concetto astratto o come sinonimo di 'sincerità',
mentre per gli ebrei la 'verità' è una persona, cioè Dio. Anche Gesù dirà
(Gv.14,6): 'lo sono la via, la verità, la vità. Il termine "emet" in ebraico
che ha la stessa radice di "amen", indica qualcosa di stabile come una
roccia, un riferimento sicuro, indefettibile, che non viene meno. Dire che la
verità è una persona implica non tanto un ragionamento filosofico e razionale
o un comportamento morale, ma prima di tutto un incontro, una conoscenza, un
rapporto. E, come sempre, quando si tratta di entrare in una relazione vera
con una persona, dobbiamo coinvolgerci totalmente in un cammino: non è
questione di un momento di Illuminazione, ma di un tragitto da compiere per
una conoscenza più profonda, per una comprensione più precisa delle sue
parole, per imparare a calibrare i propri passi. E' questa conoscenza che
libera, prima di tutto, dalla schiavitù di noi stessi, dall'involucro
egoistico in cui ci immergiamo e con cui ci cauteliamo, per non esporci
troppo, per non ritrovarci in situazioni di non ritorno e di eccessivo
slancio. E poi ci libera dall'insidia di parole che vorrebbero raggirarci,
insinuare dubbi ambigui e pericolosi, rarefare il contenuto pregnante, se
pure conciso, delle parole di Gesù. E' come se Gesù volesse chiamarci
direttamente in causa sul tipo di rapporto che abbiamo con Lui, insistendo
sul 'rimanere nella sua parola' e sul chiamarci a chiarire questa 'parola', a
ricordarla, ad approfondirla. Rimanere nella parola di Gesù significa restare
nell'orizzonte dell'annuncio trasparente della misericordia del Padre: di un
Dio che, nonostante tutte le smentite provenienti dalle malvagità e
contorsioni di un mondo così piagato e dalle contraddizioni violente della
storia, vuole che possiamo vivere nella felicità e nell'amore, nella gratuità
di un volersi bene illimitato. Rimanere nella parola di Gesù ogni giorno
significa perdono, non venire meno alla voglia di vivere, di interessarci
degli altri senza doppi fini, di aprirci ad ogni possibilità e responsabilità
di bene e di compassione, di riscoprire e manifestare sentimenti e gesti di
tenerezza. Di saper cogliere i segni di bellezza e di bontà che,
nonostante tutte le paure e ì terrori, ci sono e ci accendono di desiderio
d'infinito.
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