
IV Domenica dopo il martirio di san Giovanni il Precursore
26 settempbre 2021
Gv 6, 41-51
Riferimenti : 1Re 19, 4-8 -
Sal 33 - 1Cor 11, 23-26 |
Il tuo pane, Signore, sostiene i poveri in
cammino. Benedirò il Signore in ogni tempo, sulla mia bocca
sempre la sua lode. Io mi glorio nel Signore: i poveri ascoltino
e si rallegrino. |
1Re 19, 4-8 In quei giorni. Elia
s’inoltrò nel deserto una giornata di cammino e
andò a sedersi sotto una ginestra. Desideroso di
morire, disse: «Ora basta, Signore! Prendi la
mia vita, perché io non sono migliore dei miei
padri». Si coricò e si addormentò sotto la
ginestra. Ma ecco che un angelo lo toccò e gli
disse: «Àlzati, mangia!». Egli guardò e vide
vicino alla sua testa una focaccia, cotta su
pietre roventi, e un orcio d’acqua. Mangiò e
bevve, quindi di nuovo si coricò. Tornò per la
seconda volta l’angelo del Signore, lo toccò e
gli disse: «Àlzati, mangia, perché è troppo
lungo per te il cammino». Si alzò, mangiò e
bevve. Con la forza di quel cibo camminò per
quaranta giorni e quaranta notti fino al monte
di Dio, l’Oreb.
Re. 19, 4-8 Elia si è opposto
alla idolatria ed ha affrontato anche il
"giudizio di Dio" con una sfida ai 450 sacerdoti
di Baal, il Dio fenicio. Aveva vinto con il
fuoco dal cielo che il Signore ha inviato ed ha
incenerito con l'offerta anche tutto l'altare di
pietra (1 Re. 18, 16b-40a). Ma la successiva
vendetta di Elia, che riteneva di vendicare
l'onore di Dio uccidendo i sacerdoti di Baal, e
insieme la sofferenza e la sottomissione dei
suoi gli allontanò ancora il popolo che, dopo un
momento di esultanza e di alleanza con Elia, era
ritornato ad essere soggetto al re e alla moglie
Gezabel, figlia del re di Tiro (pagana) e
ardente missionaria della sua religione pagana.
Così Elia fuggì intraprendendo un pellegrinaggio
al monte Sinai, alla ricerca del volto di Dio,
come per Mosè, poiché non capiva più il
comportamento di Dio verso di lui e il suo
popolo. Egli voleva scoprire le strategie di
Dio, ma ricevette una esperienza, assolutamente
diversa da come se la sarebbe immaginata. Il
primo significato di questo brano è la ricerca
di Dio e delle sue scelte. Elia era fedele e non
comprendeva. Ma non voleva scoraggiarsi
perché lo alimentavano una fede profonda ed una
fiducia che gli faceva superare la fatica del
disorientamento. Dio non è facile da
accostare. Egli si nasconde e questo provoca
scoraggiamento (v. 3), la tentazione classica
del profeta (Gen 21,14-21; Giona 4,3-8; Num
11,15; Ger 15,10-11; Mt 26,36-46). Eppure Elia
ha riportato una grande vittoria al Carmelo ( 1
Re 18). Ma la solitudine del dover reggere la
fatica di un popolo infedele lo ridusse alla
prospettiva di abbandonare, di fermarsi e di
dormire, stremato dal buio che aveva davanti a
sé. La regina Gezabel aveva ancora vinto, Elia
si ritrovòa quindi solo, come più tardi Cristo;
non gli rimase che rimettersi a Dio. |
1Cor 11, 23-26 Fratelli, io
ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso:
il Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito, prese del
pane e, dopo aver reso grazie, lo spezzò e disse: «Questo è il
mio corpo, che è per voi; fate questo in memoria di me». Allo
stesso modo, dopo aver cenato, prese anche il calice, dicendo:
«Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue; fate questo,
ogni volta che ne bevete, in memoria di me». Ogni volta infatti
che mangiate questo pane e bevete al calice, voi annunciate la
morte del Signore, finché egli venga. Corinzi.
11, 23-26 Siamo attorno all'anno 56 d.C. e Paolo vuole
impegnare l'assemblea a consolidarsi, partecipando al pasto
sacro comune, con la prospettiva, non tanto di catturare Gesù e
tenerselo vicino, quanto per alimentare sé e gli altri fratelli
e sorelle nelle loro vocazione e nelle sue scelte. Di
Corinto, una comunità che Paolo conosce bene perché vi ha
abitato molti mesi, si ricordano le divisioni e gli scandali
presenti nella comunità. L'apostolo vuole mettere ordine,
soprattutto vuole intervenire nelle assemblee comunitarie quando
ci si ritrova, in particolare, per l'Eucaristia. Nei capitoli
che vanno dall'11 al 14, per inquadrare il testo di oggi, Paolo
prende in considerazione alcune deviazioni presenti nella
Comunità (11,2-14,40): il comportamento delle donne in assemblea
(11,2-16), il modo di celebrare la Cena del Signore (11,17-34),
il retto uso dei doni dello Spirito (carismi) nella Comunità
(cc.12-14). Qui, dove si parla della "Cena del Signore", ci sono
elementi importanti che hanno trasformato la cena Pasquale di
condivisione in cena dove si celebrano la croce e il sacrificio
di Gesù. Si parla, in particolare, del fare memoria.. Fare
memoria non è tanto un ricordare ma è rendere presente la
realtà, l'evento che si vuole ricordare. Gesù stesso, celebrando
la Pasqua ebraica, ha fatto memoria del dono della liberazione
ed ha anticipato nel gesto, che compie nella cena, il dono di
amore al Padre, mediante la croce.

Sinagoga di Cafarnao ove Gesù tenne il celebre discorso sul "Pane di VITA" |
Gv 6, 41-51 In quel tempo. I Giudei si misero a mormorare contro
il Signore Gesù perché aveva detto: «Io sono il pane disceso dal cielo». E
dicevano: «Costui non è forse Gesù, il figlio di Giuseppe? Di lui non
conosciamo il padre e la madre? Come dunque può dire: “Sono disceso dal
cielo”?». Gesù rispose loro: «Non mormorate tra voi. Nessuno può venire a me,
se non lo attira il Padre che mi ha mandato; e io lo risusciterò nell’ultimo
giorno. Sta scritto nei profeti: “E tutti saranno istruiti da Dio”. Chiunque
ha ascoltato il Padre e ha imparato da lui, viene a me. Non perché qualcuno
abbia visto il Padre; solo colui che viene da Dio ha visto il Padre. In
verità, in verità io vi dico: chi crede ha la vita eterna. Io sono il pane
della vita. I vostri padri hanno mangiato la manna nel deserto e sono morti;
questo è il pane che discende dal cielo, perché chi ne mangia non muoia. Io
sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in
eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo».
Gv 6, 41-51 Io sono il pane disceso dal cielo. In una sola frase Gesù
raccoglie e intreccia tre immagini: pane, cielo, discendere. Potenza della
scrittura creativa dei Vangeli, e prima ancora del linguaggio pieno di
immaginazione e di sfondamenti proprio del poeta di Nazaret. Io sono pane, ma
non come lo è un pugno di farina e di acqua passata per il fuoco: pane perché
il mio lavoro è nutrire il fondo della vita. Io sono cielo che discende sulla
terra. Terra con cielo è giardino. Senza, è polvere che non ha respiro. Nella
sinagoga si alza la contestazione: ma quale pane e quale cielo! Sappiamo
tutto di te e della tua famiglia... E qui è la chiave del racconto. Gesù ha
in sé un portato che è oltre. Qualcosa che vale per tutta la realtà: c'è una
parte di cielo che compone la terra; un oltre che abita le cose; il nostro
segreto non è in noi, è oltre noi. Come il pane, che ha in sé la polvere del
suolo e l'oro del sole, le mani del seminatore e quelle del mietitore; ha
patito il duro della macina e del fuoco; è germogliato chiamato dalla spiga
futura; si è nutrito di luce e ora può nutrire. Come il pane, Gesù è figlio
della terra e figlio del cielo. E aggiunge una frase bellissima: nessuno può
venire a me se non lo attira il Padre che mi ha mandato. Ecco una nuova
immagine di Dio: non il giudice, ma la forza di attrazione del cosmo, la
forza di gravità celeste, la forza di coesione degli atomi e dei pianeti, la
forza di ogni comunione. Dentro ciascuno di noi è al lavoro una forza
instancabile di attrazione divina, che chiama ad abbracciare bellezza e
tenerezza. E non diventeremo mai veri, mai noi stessi, mai contenti, se non
ci incamminiamo sulle strade dell'incanto per tutto ciò che chiama
all'abbraccio. |