X Domenica dopo Pentecoste
1 agosto 2010

Luca 18, 24b-30
Riferimenti: Primo Libro dei Re 3, 5-15 - Salmo 71 - Corinzi 3, 18-23

In te mi rifugio, Signore, ch'io non resti confuso in eterno. Liberami, difendimi per la tua giustizia, porgimi ascolto e salvami. Sii per me rupe di difesa, baluardo inaccessibile, poiché tu sei mio rifugio e mia fortezza. Mio Dio, salvami dalle mani dell'empio, dalle mani dell'iniquo e dell'oppressore. Sei tu, Signore, la mia speranza, la mia fiducia fin dalla mia giovinezza. Su di te mi appoggiai fin dal grembo materno, dal seno di mia madre tu sei il mio sostegno; a te la mia lode senza fine. Sono parso a molti quasi un prodigio: eri tu il mio rifugio sicuro. Della tua lode è piena la mia bocca, della tua gloria, tutto il giorno. Non mi respingere nel tempo della vecchiaia, non abbandonarmi quando declinano le mie forze.

Primo Libro dei Re 3, 5-15

In quei giorni. A Gàbaon il Signore apparve a Salomone in sogno durante la notte. Dio disse: «Chiedimi ciò che vuoi che io ti conceda». Salomone disse: «Tu hai trattato il tuo servo Davide, mio padre, con grande amore, perché egli aveva camminato davanti a te con fedeltà, con giustizia e con cuore retto verso di te. Tu gli hai conservato questo grande amore e gli hai dato un figlio che siede sul suo trono, come avviene oggi. Ora, Signore, mio Dio, tu hai fatto regnare il tuo servo al posto di Davide, mio padre. Ebbene io sono solo un ragazzo; non so come regolarmi. Il tuo servo è in mezzo al tuo popolo che hai scelto, popolo numeroso che per quantità non si può calcolare né contare. Concedi al tuo servo un cuore docile, perché sappia rendere giustizia al tuo popolo e sappia distinguere il bene dal male; infatti chi può governare questo tuo popolo così numeroso?». Piacque agli occhi del Signore che Salomone avesse domandato questa cosa. Dio gli disse: «Poiché hai domandato questa cosa e non hai domandato per te molti giorni, né hai domandato per te ricchezza, né hai domandato la vita dei tuoi nemici, ma hai domandato per te il discernimento nel giudicare, ecco, faccio secondo le tue parole. Ti concedo un cuore saggio e intelligente: uno come te non ci fu prima di te né sorgerà dopo di te. Ti concedo anche quanto non hai domandato, cioè ricchezza e gloria, come a nessun altro fra i re, per tutta la tua vita. Se poi camminerai nelle mie vie osservando le mie leggi e i miei comandi, come ha fatto Davide, tuo padre, prolungherò anche la tua vita». Salomone si svegliò; ecco, era stato un sogno. Andò a Gerusalemme; stette davanti all’arca dell’alleanza del Signore, offrì olocausti, compì sacrifici di comunione e diede un banchetto per tutti i suoi servi.

Salomone sale giovanissimo al trono, dopo le tragedie della sua famiglia che era la famiglia del re Davide (sono morti tre figli del re negli intrighi di palazzo e quindi fratellastri; e c’è stato anche il tentativo di detronizzare il padre da parte di alcuni di loro, per es. Assalonne). Ormai, finalmente, il mondo attorno ai confini è stato rappacificato, i nemici storici di Israele sono ricondotti alla sudditanza e una gran parte del territorio vive sotto una specie di alto protettorato per cui Israele ha raggiunto il massimo del proprio sviluppo. Tuttavia Salomone si sente fragile e teme per il suo compito che è quello di governare con giustizia. Sono necessarie la sapienza e quindi la conoscenza dell’animo umano, la sottomissione alla legge di Dio rettamente interpretata, la coerenza, la pazienza di capire e la prudenza nel decidere. Salomone esprime nel sonno il suo più profondo desiderio. Nell'antichità biblica il sogno è uno dei modi con il quale Dio comunicava con gli uomini. Così Salomone, nel dialogo di un sogno, esprime i suoi sentimenti più alti e le sue attese a Dio, mettendosi quindi a disposizione di Dio stesso affinché il popolo possa raggiungere la serenità e la giustizia. “Io sono solo un ragazzo… Concedi al tuo servo un cuore docile perché sappia rendere giustizia al tuo popolo e sappia distinguere il bene dal male”. La richiesta piace al Signore poiché, pur potendo scegliere qualunque cosa, sceglie di rappresentare visibilmente Dio nella giustizia verso il “tuo popolo” (questo è il compito del re in Israele e questa è l’attesa che il popolo mantiene ripensando al significato di una autorità: “Manifestare la giustizia di Dio ad un popolo che non è proprietà del re, ma del Signore”). In tal modo spera di dare garanzie e di offrire fiducia al popolo. Il Signore gli darà, in più, quello che non ha chiesto: ricchezza e gloria. Ma Salomone non ha neppure domandato la cultura o la scienza che scandaglia i misteri dell’universo. Egli prega per avere la capacità di governare, perciò interpella Dio per una saggezza politica che è rispetto e sostegno dei valori dell’uomo e di ogni suddito. A noi questo testo pone la stessa domanda: “Che cosa ci aspettiamo dal Signore e che cosa, prima di tutto chiediamo?” Andrebbero analizzate le sette domande del “Padre nostro” che Gesù ci ha affidato come paradigma delle nostre richieste. Se le approfondiamo, impariamo molto e scopriamo che ci sono richieste ben più alte di quelle di Salomone.

Corinzi 3, 18-23

Fratelli, nessuno si illuda. Se qualcuno tra voi si crede un sapiente in questo mondo, si faccia stolto per diventare sapiente, perché la sapienza di questo mondo è stoltezza davanti a Dio. Sta scritto infatti: Egli fa cadere i sapienti per mezzo della loro astuzia. E ancora: Il Signore sa che i progetti dei sapienti sono vani. Quindi nessuno ponga il suo vanto negli uomini, perché tutto è vostro: Paolo, Apollo, Cefa, il mondo, la vita, la morte, il presente, il futuro: tutto è vostro! Ma voi siete di Cristo e Cristo è di Dio.

Il capitolo 3 conclude l’intervento di Paolo su una faticosa e lacerante scissione che si è costituita nella comunità di Corinto. Una minoranza di cristiani, intelligente e vivace, si è suddivisa in gruppi, facendo richiamo a personalità diverse e, secondo loro, addirittura in contrapposizione: Paolo, Apollo (un bravo predicatore cristiano), Pietro (Cefa) e perfino lo stesso Cristo. Questi gruppi esuberanti costituiscono un contesto che fa vivere il disagio della separazione e porta difficoltà ai credenti semplici (la maggioranza), diffondendo disprezzo e tensione. Paolo riconosce di non essere stato sufficientemente esigente con molti di loro e di averli trattati come dei neonati a cui ha dato da bere il latte (vv 1-3), mentre doveva trattarli da adulti dando come nutrimento cibo solido. Paolo usa quindi una immagine agricola, identificando la comunità come “campo di Dio” (vv 6-9) e l'immagine della costruzione identificando la stessa comunità come “edificio di Dio” (vv 9-17). Egli certamente mette in luce l'opera di chi ha lavorato il campo e di chi ha costruito l'edificio mediante l’evangelizzazione; ma è stato il dono di Dio ciò che ha fatto maturare e crescere, che ha prodotto questa novità ed ha sostenuto l'intelligenza e la forza, che saranno alla fine giudicate. Paolo riassume, infine, nella sua esortazione la riflessione sulla sapienza che va riconosciuta come servizio (un ministero di cui si sono fatti carico lui e gli altri apostoli). La vera sapienza è più alta di tutte le discussioni, divisioni, diatribe, che corrispondono a ragionamenti e a giochi intellettuali e che rappresentano la stoltezza agli occhi di Dio. È importante riporre la propria fiducia nel Signore e non negli uomini. Egli, attraverso la realtà, il tempo e gli uomini che hanno evangelizzato (Paolo, Apollo, Pietro-Cefa), eleva ogni credente alla grandezza di un progetto eccelso e unico e riconosce in ciascuno il centro dell'universo e il vertice verso cui tutto converge. Ma questa conversione sale a Gesù come riferimento e quindi alla Gloria del Padre. In tal modo gli apostoli e i missionari che sono al servizio dei cristiani, insieme a tutti e a tutto, sono a loro vantaggio per rendere salda l'appartenenza a Cristo e, per mezzo di Cristo, a Dio Padre. In tal modo Paolo affronta con durezza le divisioni religiose e ne chiarisce le meschinità e le povertà. Egli apre alla grandezza e allo splendore il cuore di ogni credente, per quanto piccolo sia. Ciascuno è centro e tempio dell'amore di Dio che chiede, d’altra parte, responsabilità e libertà ad ogni persona.

 

Luca 18, 24b-30

In quel tempo. Il Signore Gesù disse: «Quanto è difficile, per quelli che possiedono ricchezze, entrare nel regno di Dio. È più facile infatti per un cammello passare per la cruna di un ago, che per un ricco entrare nel regno di Dio!». Quelli che ascoltavano dissero: «E chi può essere salvato?». Rispose: «Ciò che è impossibile agli uomini, è possibile a Dio». Pietro allora disse: «Noi abbiamo lasciato i nostri beni e ti abbiamo seguito». Ed egli rispose: «In verità io vi dico, non c’è nessuno che abbia lasciato casa o moglie o fratelli o genitori o figli per il regno di Dio, che non riceva molto di più nel tempo presente e la vita eterna nel tempo che verrà». Poi prese con sé i Dodici e disse loro: «Ecco, noi saliamo a Gerusalemme, e si compirà tutto ciò che fu scritto dai profeti riguardo al Figlio dell’uomo: verrà infatti consegnato ai pagani, verrà deriso e insultato, lo copriranno di sputi e, dopo averlo flagellato, lo uccideranno e il terzo giorno risorgerà». Ma quelli non compresero nulla di tutto questo; quel parlare restava oscuro per loro e non capivano ciò che egli aveva detto. Quando Gesù lo vide così triste, disse: «Quanto è difficile, per quelli che possiedono ricchezze, entrare nel regno di Dio. È più facile infatti per un cammello passare per la cruna di un ago, che per un ricco entrare nel regno di Dio!». Quelli che ascoltavano dissero: «E chi può essere salvato?». Rispose: «Ciò che è impossibile agli uomini, è possibile a Dio». Pietro allora disse: «Noi abbiamo lasciato i nostri beni e ti abbiamo seguito». Ed egli rispose: «In verità io vi dico, non c’è nessuno che abbia lasciato casa o moglie o fratelli o genitori o figli per il regno di Dio, che non riceva molto di più nel tempo presente e la vita eterna nel tempo che verrà».

L'occasione di queste riflessioni sulla ricchezza è data da un incontro che "un notabile" (v 18), rivolgendosi a Gesù come a "un maestro buono", chiedeva "Che cosa fare per ottenere la vita eterna?" (id). La risposta che Gesù offre è articolata. Prima suggerisce di rispettare i comandamenti (e in particolare quelli che hanno rapporto con il prossimo). Alla risposta: "Tutto questo l'ho osservato fin dalla mia giovinezza" (v 21), Gesù aggiunge: "Una cosa ancora ti manca: vendi quello che hai, distribuiscilo ai poveri... e seguimi" (v 22). Matteo, raccontando quest'episodio, aggiunge: "Se ne andò, triste; possedeva, infatti, molte ricchezze" (Matteo 19, 22). La riflessione successiva è carica di questa esperienza e di questo incontro pubblico in cui si sconvolgono alcuni criteri solidi, che il mondo ebraico aveva interiorizzato. Pensavano infatti: "La ricchezza è segno di benedizione di Dio, la ricchezza è un dono che Dio dà ai giusti" eccetera. Il confronto fra la delusione e la tristezza di chi se ne va e le parole di Gesù così taglienti: "Difficile per chi possiede ricchezze entrare nel Regno" sconcerta l'uditorio delle persone più che i discepoli i quali porteranno un altro tema di Gesù. Così Gesù rincara la dose, utilizzando l'immagine del cammello: l'animale più grosso e la cruna di un ago, l'apertura più piccola, per dire che è difficile il passaggio dell'uno attraverso l'altro e quindi è difficile che si entri nel Regno. Ma qui va chiarito che cosa significhi il Regno di Dio (Matteo usa l'espressione Regno dei cieli). Regno di Dio non è prima di tutto il Paradiso, ma la presenza di Gesù tra noi che costituisce il nuovo tempo e il nuovo mondo. Regno di Dio è entrare nella logica, nei valori, nelle scelte, nella sequela di Gesù. Ovviamente entrare nel Regno di Dio apre gli orizzonti della condivisione degli ultimi tempi e quindi del Paradiso. Tuttavia non si può tradurre questo brano come l’esclusione del ricco dal Paradiso. Questo brano manifesta la grande difficoltà nell'entrare nel mondo e nei criteri di vita di Gesù. E tuttavia non è impossibile se il Signore interviene. La ricchezza è fondamentalmente una grande difficoltà, e molte parabole del Vangelo, in particolare di Luca, lo richiamano: il ricco stolto (12,16-21), l'amministratore abile (16,1-8), Lazzaro e il ricco epulone (16,19-31). E non va dimenticato il richiamo di Gesù: "Nessuno può servire due padroni... non potete servire a Dio e al danaro (mammona)" (16,13"). Il ricco, infatti, rischia di contare solo su se stesso piuttosto che riconoscersi incapace davanti a Dio come il pubblicano della parabola (18,13) o come i bambini (18,17) che sono ricordati proprio in questo capitolo. Negli Atti degli apostoli (2,44-45; 4,32-37) Luca insisterà sulla rinuncia alla proprietà come caratteristica della Chiesa delle origini, anche se tutto il testo mostra che è più un orizzonte verso cui camminare che non una concretezza che viene sviluppata in ogni momento da questa comunità che sta maturando nella Parola del Signore. I discepoli, in particolare per bocca di Pietro, riconoscono che Dio aveva dato loro la forza di compiere questo passo. Resta però la domanda: “E a noi che ti abbiamo seguito che cosa viene riconosciuto?”. Gesù risponde dicendo che gli orizzonti per loro si sono allargati ed essi ricevono molto di più di ciò che hanno abbandonato. È interessante verificare l'elenco che Gesù riconosce come realtà abbandonate dai discepoli nei tre vangeli: Matteo, Marco e Luca. Qui ne sono ricordate cinque tra cui “la moglie” oltre “la casa, i fratelli, i genitori e i figli” (v 29). Lo stesso richiamo della moglie viene ricordato in Luca 14,26 da Gesù. “Se uno viene dietro a me e non odia padre, madre, e moglie, e figli, fratelli e sorelle persino la propria vita, non può essere mio discepolo". Matteo (19, 29) e Marco (10, 29), invece, nel loro elenco di sette realtà che vengono lasciate non compare la moglie. Non bisogna dimenticare che la riflessione di Matteo e Marco avviene nella sequela dei 5 temi fondamentali che il credente adulto affronta, maturando una coscienza diversa dalla mentalità corrente nella soluzione dei problemi della vita; perciò prendono posizione, di seguito, sul divorzio (e quindi sulla indissolubilità), i piccoli e i poveri, la ricchezza, il potere, il riconoscimento di “Gesù, figlio di Davide” per bocca del cieco di Gerico.