Secondo Libro dei Re 25, 1-17
Parole di Neemia, figlio di Acalia. Nel mese di Chisleu dell'anno ventesimo, mentre ero nella cittadella di Susa, Anàni, uno dei miei fratelli, e alcuni altri uomini arrivarono dalla Giudea. Li interrogai riguardo ai Giudei, i superstiti che erano scampati alla deportazione, e riguardo a Gerusalemme. Essi mi dissero: "I superstiti che sono scampati alla deportazione sono là, nella provincia, in grande miseria e desolazione; le mura di Gerusalemme sono devastate e le sue porte consumate dal fuoco". Udite queste parole, mi sedetti e piansi; feci lutto per parecchi giorni, digiunando e pregando davanti al Dio del cielo. Nel mese di Nisan dell'anno ventesimo del re Artaserse, appena il vino fu pronto davanti al re, io presi il vino e glielo diedi. Non ero mai stato triste davanti a lui. Ma il re mi disse: "Perché hai l'aspetto triste? Eppure non sei malato; non può essere altro che un'afflizione del cuore". Allora io ebbi grande timore e dissi al re: "Viva il re per sempre! Come potrebbe il mio aspetto non essere triste, quando la città dove sono i sepolcri dei miei padri è in rovina e le sue porte sono consumate dal fuoco?". Il re mi disse: "Che cosa domandi?". Allora io pregai il Dio del cielo 5e poi risposi al re: "Se piace al re e se il tuo servo ha trovato grazia ai tuoi occhi, mandami in Giudea, nella città dove sono i sepolcri dei miei padri, perché io possa ricostruirla". Il re, che aveva la regina seduta al suo fianco, mi disse: "Quanto durerà il tuo viaggio? Quando ritornerai?". Dunque la cosa non spiaceva al re, che mi lasciava andare, e io gli indicai la data. Poi dissi al re: "Se piace al re, mi si diano le lettere per i governatori dell'Oltrefiume, perché mi lascino passare fino ad arrivare in Giudea, e una lettera per Asaf, guardiano del parco del re, perché mi dia il legname per munire di travi le porte della cittadella del tempio, per le mura della città e la casa dove andrò ad abitare". Il re mi diede le lettere, perché la mano benefica del mio Dio era su di me.
Finalmente, secondo la promessa dei profeti, finisce anche l'esilio di Babilonia poiché Ciro, il grande re persiano, conquista e vince la potenza babilonese. Una buona politica di riconciliazione e di rappacificazione convince a liberare i popoli sottomessi e a permettere loro di ritornare alle loro antiche abitazioni secondo il desiderio di ciascuno. Tuttavia, la prospettiva di poter tornare a Gerusalemme, pur con tutti i sogni alimentati negli anni dell'esilio, non ingolosisce tutti poiché molti, in pratica, si sono sistemati nella nuova realtà, seguendo anche il suggerimento che il profeta Geremia aveva loro proposto (Geremia 29,4-10 ss.): “«Così dice il Signore degli eserciti, Dio d’Israele, a tutti gli esuli che ho fatto deportare da Gerusalemme a Babilonia: Costruite case e abitatele, piantate orti e mangiatene i frutti; prendete moglie e mettete al mondo figli e figlie, scegliete mogli per i figli e maritate le figlie, e costoro abbiano figlie e figli. Lì moltiplicatevi e non diminuite. Cercate il benessere del paese in cui vi ho fatto deportare, e pregate per esso il Signore, perché dal benessere suo dipende il vostro. Così dice il Signore degli eserciti, Dio d’Israele: Non vi traggano in errore i profeti che sono in mezzo a voi e i vostri indovini; non date retta ai sogni che essi sognano, perché falsamente profetizzano nel mio nome: io non li ho inviati. Oracolo del Signore. Pertanto così dice il Signore: Quando saranno compiuti a Babilonia settant’anni, vi visiterò e realizzerò la mia buona promessa di ricondurvi in questo luogo.” E’ un bellissimo testo che parla anche oggi di inserimento e di rapporti di socialità e accoglienza reciproci. Del ritorno da Babilonia parlano i due libri di Esdra e Neemia, pure vissuti in tempi diversi. Babilonia cade nel 535 circa a.C e l’autorizzazione successiva al ritorno fa muovere una prima carovana dei rimpatriati che ripristina l'altare per i sacrifici e cerca di ricostruire il tempio, superando l'ostilità dei vicini, che fanno intervenire il re persiano a fermare i lavori. Esdra viene poi ufficialmente inviato dal re persiano per ripristinare il culto e far osservare la legge; ma egli affronterà anche il problema di una comunità contaminata da matrimoni con donne straniere. Neemia, coppiere del re, chiede il permesso di recarsi a Gerusalemme per ricostruirne le mura; egli saprà organizzare i lavori, ma dovrà tener testa a diverse iniziative di nemici che vogliono ostacolarlo. Dopo la costruzione e il ripristino viene ricordata una famosa celebrazione festosa, in cui dalla mattina presto, sulla piazza "tutto il popolo si radunò come un solo uomo davanti la porta delle acque e disse ad Esdra, lo scriba, di portare il libro della legge di Mosé che il Signore aveva dato a Israele... lesse il libro sulla piazza dello spuntare della luce fino a mezzogiorno in presenza degli uomini e delle donne e di quelli che erano capaci di intendere "(Neemia 8,1-3). Per maggiore chiarezza riporto lo schema delle quattro sezioni dei due libri: Primi rimpatriati (Esd 1,1-6,22); Ritorno di Esdra (Esd 7,1-10,44); Ritorno di Neemia (Ne 1,1-7,72); Lettura della legge e organizzazione della comunità (Ne 8,1-13,31). Si parla dell’anno 20º del regno di Artaserse I°, corrispondente al 445 a.C. Il ritorno non fu esaltante poiché arrivarono come intrusi in un contesto che nel frattempo si era sviluppato senza di loro. In più, quelli che tornavano ritenevano di avere pretese sulle proprietà che erano state abbandonate non moltissimi decenni prima. Questo dice allora la tensione, la lotta, la miseria e quindi la diffidenza dei primi esuli ritornati. L'occasione di servire alla tavola del re, dopo circa quattro mesi dall'incontro con i viaggiatori dalla Giudea, permette a Neemia, per una serie di circostanze, di sviluppare un progetto di ricostruzione e Neemia ottiene l'assenso di tutte le garanzie da parte del sovrano. Chiaramente l'autore biblico fa intravvedere lo sviluppo degli avvenimenti come provvidenziale dono di Dio. |
Romani 15, 25-33
Fratelli, Per il momento vado a Gerusalemme, a rendere un servizio ai santi di quella comunità; la Macedonia e l’Acaia infatti hanno voluto realizzare una forma di comunione con i poveri tra i santi che sono a Gerusalemme. L’hanno voluto perché sono ad essi debitori: infatti le genti, avendo partecipato ai loro beni spirituali, sono in debito di rendere loro un servizio sacro anche nelle loro necessità materiali. Quando avrò fatto questo e avrò consegnato sotto garanzia quello che è stato raccolto, partirò per la Spagna passando da voi. So che, giungendo presso di voi, ci verrò con la pienezza della benedizione di Cristo. Perciò, fratelli, per il Signore nostro Gesù Cristo e l’amore dello Spirito, vi raccomando: lottate con me nelle preghiere che rivolgete a Dio, perché io sia liberato dagli infedeli della Giudea e il mio servizio a Gerusalemme sia bene accetto ai santi. Così, se Dio lo vuole, verrò da voi pieno di gioia per riposarmi in mezzo a voi. 33Il Dio della pace sia con tutti voi. Amen.
Prima di recarsi in Spagna (v 28), e quindi di passare per Roma, consapevole di aver ricevuto da Gesù "la pienezza della benedizione" (v 29), Paolo affronta un altro viaggio per tornare a Gerusalemme e portare le offerte raccolte dai cristiani nella Macedonia e nell'Acaia a quella comunità che, impegnatissima nel mondo dei poveri, ha praticamente esaurito le proprie risorse. Così Paolo parla di uno scambio tra comunità: la ricchezza di fede vissuta e offerta dalla comunità di Gerusalemme ai greci pagani, ora convertiti, viene ricambiata con beni materiali che servono al sostegno di un mondo povero. È uno dei modi con cui tra chiese diverse si manifestano una comunione e un'attenzione reciproca. La richiesta che Paolo fa a questa impegnata comunità di Roma è che preghino perché il suo gesto non sia equivocato. Anzi è importante che sia accolto e garantito con gioia e non susciti malumore e tensioni. Al versetto 30 c'è una bella confessione trinitaria in cui, “attraverso il Signore Gesù e attraverso l'amore dello Spirito noi arriviamo nella preghiera al Padre”. In questo contesto che sembra di ordinaria amministrazione circa le notizie che vengono date, si scontrano molte difficoltà che nascono nelle comunità cristiane. Spesso sorgono tensioni e rifiuti verso persone che si dimostrano disponibili. Spesso nasce il disprezzo presso coloro che si preoccupano di portare aiuti e raccolte di fondi, intravvedendo, in tal modo, una propria umiliazione. Così l'incapacità a intervenire sui bisogni delle persone crea invidie, malintesi, rifiuti ideologici sulle scelte fatte da altri. E Paolo aveva fatto scelte che nella comunità di Gerusalemme non erano piaciute a tutti, mettere cioè nella stessa comunità di Gesù, a pari dignità, ebrei fedeli e pagani convertiti. Se si guarda bene il testo, si intravedono le diverse posizioni: Paolo teme e nello stesso tempo spera di essere "accetto ai santi" che sono le autorità della comunità cristiana e i credenti che condividono con Paolo questa chiamata universale di tutti gli uomini e tutte le donne a Cristo. |