Domenica che precede il martirio del precursore
29 agosto 2010
Matteo 18, 1-10
Riferimenti: Secondo dei Maccabei 6, 1-2, 18-28 - Salmo 140 - Corinzi 4, 17 - 5, 10
| DSalvami, Signore, dal malvagio, proteggimi dall'uomo violento, da quelli che tramano sventure nel cuore e ogni giorno scatenano guerre. Aguzzano la lingua come serpenti; veleno d'aspide è sotto le loro labbra. Proteggimi, Signore, dalle mani degli empi, salvami dall'uomo violento: essi tramano per farmi cadere. I superbi mi tendono lacci
e stendono funi come una rete, pongono agguati sul mio cammino. Io dico al Signore: "Tu sei il mio Dio; ascolta, Signore, la voce della mia preghiera". Signore, mio Dio, forza della mia salvezza, proteggi il mio capo nel giorno della lotta. Signore, non soddisfare i desideri degli empi, non favorire le loro trame. Alzano la testa quelli che mi circondano, ma la malizia delle loro labbra li sommerge. Fà piovere su di loro carboni ardenti, gettali nel bàratro e più non si rialzino. Il maldicente non duri sulla terra, il male spinga il violento alla rovina. So che il Signore difende la causa dei miseri, il diritto dei poveri. Sì, i giusti loderanno il tuo nome, i retti abiteranno alla tua presenza. |
Secondo Maccabei 6, 1-2, 18-28
In quei giorni. Il re inviò un vecchio ateniese per costringere i Giudei ad allontanarsi dalle leggi dei padri e a non governarsi più secondo le leggi di Dio, e inoltre per profanare il tempio di Gerusalemme e dedicare questo a Giove Olimpio e quello sul Garizìm a Giove Ospitale, come si confaceva agli abitanti del luogo. Un tale Eleàzaro, uno degli scribi più stimati, uomo già avanti negli anni e molto dignitoso nell’aspetto della persona, veniva costretto ad aprire la bocca e a ingoiare carne suina.Ma egli, preferendo una morte gloriosa a una vita ignominiosa, s’incamminò volontariamente al supplizio,sputando il boccone e comportandosi come conviene a coloro che sono pronti ad allontanarsi da quanto non è lecito gustare per attaccamento alla vita.Quelli che erano incaricati dell’illecito banchetto sacrificale, in nome della familiarità di antica data che avevano con quest’uomo, lo tirarono in disparte e lo pregarono di prendere la carne di cui era lecito cibarsi, preparata da lui stesso, e fingere di mangiare le carni sacrificate imposte dal re,perché, agendo a questo modo, sarebbe sfuggito alla morte e avrebbe trovato umanità in nome dell’antica amicizia che aveva con loro.Ma egli, facendo un nobile ragionamento, degno della sua età e del prestigio della vecchiaia, della raggiunta veneranda canizie e della condotta irreprensibile tenuta fin da fanciullo, ma specialmente delle sante leggi stabilite da Dio, rispose subito dicendo che lo mandassero pure alla morte.«Poiché – egli diceva – non è affatto degno della nostra etàfingere, con il pericolo che molti giovani, pensando che anovant’anni Eleàzaro sia passato alle usanze straniere, a loro volta, per colpa della mia finzione, per appena un po’ più di vita, si perdano per causa mia e io procuri così disonore e macchia alla mia vecchiaia. Infatti, anche se ora mi sottraessi al castigo degli uomini, non potrei sfuggire, né da vivo né da morto, alle mani dell’Onnipotente. Perciò, abbandonando ora da forte questa vita, mi mostrerò degno della mia età e lascerò ai giovani un nobile esempio, perché sappiano affrontare la morte prontamente e nobilmente per le sante e venerande leggi». Dette queste parole, si avviò prontamente al supplizio.
Il secondo libro dei Maccabei è importante per la conoscenza del momento storico in cui l'ellenismo penetra in Giudea e in Gerusalemme e delle lotte che seguirono tra i diversi gruppi giudaici, pro o contro l'ellenizzazione. Richiama un periodo di tempo breve: dall'assalto non riuscito al tesoro del tempio, effettuato al tempo di Seleuco IV (187-175 a.C.), alle lotte per il sommo sacerdozio e alla persecuzione religiosa di Antioco Epìfane, fino al racconto della rivolta maccabaica e della vittoria di Giuda su Nicànore (160); complessivamente, quindici anni di storia (175-160). L'inasprimento delle misure antigiudaiche si collocano nel novembre-dicembre del 167 a.C. Il tempio viene profanato e si procede all'abolizione delle istituzioni ebraiche. Il compito viene affidato ad un ateniese, probabilmente per la competenza nell'organizzare la vita secondo la struttura greca. Qui si valuta il lavoro di questa persona, fondamentalmente, nell'impegno di impedire le usanze ebraiche e nella preoccupazione di profanare il tempio. L’episodio dell'eroico martirio di Eleazaro, al di fuori delle coordinate spazio-tempo, appare come un esempio emblematico e universale di come va vissuta la fedeltà della propria fede. Vengono qui assommate insieme nobiltà e fierezza, saggezza e linearità di condotta, esprimendo così lo stile delle più alte virtù umane prima ancora che giudaiche o greche, rendendo la testimonianza ammirevole sia ai Giudei che ai Greci. Il quadro è quello di un banchetto sacrificale e l'accento non è posto sulla illegittimità del sacrificio stesso, bensì sul tipo di animale usato (probabilmente il maiale era considerato sommamente impuro: Levitico 11,7ss.) e quindi sulle carni da mangiare. Si suppone che Eleazaro possa, nello stesso tempo, fingere di mangiare ciò che per lui è lecito e insieme dare l'impressione di ubbidire alle leggi pagane. Questo testo condanna la tendenza al compromesso, anche in leggi rituali. Chi è credente non può fingere per salvarsi, ma deve preferire la pena: la tortura e la morte. Chi è adulto nella fede non può ingannare gli altri credenti, ma accettare la conseguenza delle proprie scelte religiose con trasparenza. “Infatti, anche se ora mi sottraessi al castigo degli uomini, non potrei sfuggire, né da vivo né da morto, alle mani dell’Onnipotente. Perciò, abbandonando ora da forte questa vita, mi mostrerò degno della mia età e lascerò ai giovani un nobile esempio…”. E’ una grande responsabilità che noi credenti dobbiamo offrire alle nuove generazioni, soprattutto quando abbiamo cariche e visibilità sociale, religiosa o politica. |
Corinzi 4, 17 - 5, 10
Fratelli, il momentaneo, leggero peso della nostra tribolazione ci procura una quantità smisurata ed eterna di gloria: noi non fissiamo lo sguardo sulle cose visibili, ma su quelle invisibili, perché le cose visibili sono di un momento, quelle invisibili invece sono eterne. Sappiamo infatti che, quando sarà distrutta la nostra dimora terrena, che è come una tenda, riceveremo da Dio un’abitazione, una dimora non costruita da mani d’uomo, eterna, nei cieli. Perciò, in questa condizione, noi gemiamo e desideriamo rivestirci della nostra abitazione celeste purché siamo trovati vestiti, non nudi. In realtà quanti siamo in questa tenda sospiriamo come sotto un peso, perché non vogliamo essere spogliati ma rivestiti, affinché ciò che è mortale venga assorbito dalla vita. E chi ci ha fatti proprio per questo è Dio, che ci ha dato la caparra dello Spirito.Dunque, sempre pieni di fiducia e sapendo che siamo in esiliolontano dal Signore finché abitiamo nel corpo camminiamo infattinella fede e non nella visione –,siamo pieni di fiducia e preferiamoandare in esilio dal corpo e abitare presso il Signore. 9Perciò, sia abitando nel corpo sia andando in esilio, ci sforziamo di essere a lui graditi. 10Tutti infatti dobbiamo comparire davanti al tribunale di Cristo, per ricevere ciascuno la ricompensa delle opere compiute quando era nel corpo, sia in bene che in male.
Ognuno di noi vive un cammino. La fatica spesso è pesante, ma se abbiamo la consapevolezza di una meta "smisurata ed eterna di gloria", anche la difficoltà quotidiana si ridimensiona e noi non ci fermiamo più, solo, a fissare "le cose visibili", quotidiane, ripetitive e faticose, ma alziamo gli occhi, fiduciosi e sereni, verso le realtà invisibili ed eterne. La riflessione che Paolo sviluppa vuole essere un’ampia considerazione sulla condizione mortale di ciascuno. Ognuno vive come in una tenda, come un nomade che non ha una definitiva residenza, ma la risurrezione ci garantisce una dimora eterna, perfetta: un corpo risorto per opera dello Spirito. Noi stiamo attendendo e viviamo il nostro tempo in questa speranza. Dalla tenda al vestito. Ognuno di noi ha un vestito, che è la propria carne mortale, ma desideriamo il corpo celeste. Vorremmo, tuttavia, rivestirci di questo corpo celeste senza spogliarci, cioè senza l'esperienza dolorosa della morte. La nostra speranza ci garantisce, comunque, che Dio ci ha creati per questa nuova vita, mentre la nostra situazione attuale è in una situazione di designati, lontani da Dio "(v 6). In qualunque condizione noi siamo, comunque siamo pieni di fiducia. Noi camminiamo nella fede, e non ancora in visione e quindi siamo consapevoli di vivere in esilio, e tuttavia neppure la morte ci deve far paura. Essa infatti ci libera da quest'esilio. "Perciò ci sforziamo, sia dimorando nel corpo sia esulando da esso, di essere a lui graditi”. Sono le stesse riflessioni che Paolo riferisce a se stesso e che troviamo nella lettera ai Filippesi (1,21-23; 3,7-14). Così, la stessa prospettiva di comparire davanti al Signore ci porta fiducia e non ci fa entrare nella paura, anche se il Signore è un giudice giusto e valuta quello che abbiamo fatto di bene e di male. |
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Matteo 18, 1-10
In quel tempo. I discepoli si avvicinarono a Gesù dicendo: «Chi dunque è più grande nel regno dei cieli?». Allora chiamò a sé un bambino, lo pose in mezzo a loro e disse: «In verità io vi dico: se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli. Perciò chiunque si farà piccolo come questo bambino, costui è il più grande nel regno dei cieli. E chi accoglierà un solo bambino come questo nel mio nome, accoglie me. Chi invece scandalizzerà uno solo di questi piccoli che credono in me, gli conviene che gli venga appesa al collo una macina da mulino e sia gettato nel profondo del mare. Guai al mondo per gli scandali! È inevitabile che vengano scandali, ma guai all’uomo a causa del quale viene lo scandalo! Se la tua mano o il tuo piede ti è motivo di scandalo, taglialo e gettalo via da te. È meglio per te entrare nella vita monco o zoppo, anziché con due mani o due piedi essere gettato nel fuoco eterno. E se il tuo occhio ti è motivo di scandalo, cavalo e gettalo via da te. È meglio per te entrare nella vita con un occhio solo, anziché con due occhi essere gettato nella Geènna del fuoco. Guardate di non disprezzare uno solo di questi piccoli, perché io vi dico che i loro angeli nei cieli vedono sempre la faccia del Padre mio che è nei cieli.
Il capitolo 18 è ripensato da Matteo come un discorso alla comunità cristiana. In tal modo è interessante notare alcune caratteristiche fondamentali ritenute necessarie e che vanno ricordate e mantenute. Così, dice Matteo, per essere una comunità viva, che matura le scelte di Gesù, bisogna sviluppare i seguenti temi: ƒ il valore del bambino nel Regno, e quindi del piccolo e del povero, diventa modello prezioso da custodire, da imitare, da non scandalizzare perdendolo; ƒ nella comunità cristiana ci si deve reciprocamente educare o "correggere fraternamente"; ƒ è fondamentale il perdono e Pietro, pur convinto, chiede però la misura del perdono: "Quante volte?" E la misura non c’è, poiché è quella di Dio che lo offre a ciascuno di noi in modo eccezionalmente innumerevole. Sono interessanti le parole chiave: "bambino" (paidion: 4 volte (4 x ), "piccolo" (micros: 3x), "non scandalizzare" (6 x), "smarrirsi" (3x), "perdonare" (3x). Oggi il Vangelo riflette sul primo tema, iniziando dalla domanda che gli apostoli fanno a Gesù: "Chi è il più grande nel regno dei cieli?" Gli evangelisti Marco e Luca richiamano la stessa problematica, solo che lungo la strada sono gli apostoli che discutono e Gesù, ad un certo punto, si ferma a chiedere di che cosa discutono lungo la via. Non va dimenticato, comunque, che l'episodio viene collocato nei tre Vangeli dopo una lunga riflessione che Gesù fa sul suo destino: "il Figlio dell'uomo sta per essere consegnato nelle mani degli uomini...". Il testo, perciò, ha uno spessore molto più grande che una semplice esibizione di personalità. Gli apostoli si stanno rendendo conto che Gesù ha il tempo contato e cominciano a pensare a chi lo sostituirà, con tutte le perplessità del caso. L'istruzione di Gesù non riguarda solo i Dodici, ma ogni membro della comunità ecclesiale. Qui non si parla del Paradiso poiché non è in gioco la conclusione del mondo. Non si parla direttamente nella Chiesa perché la Chiesa non è il Regno di Dio e non vi si identifica. La Chiesa è segno, inizio. E però, se non si parla del regno futuro né della Chiesa, si parla del Regno come di quella comunità di uomini e donne che già ora vivono sotto la sovranità e le scelte di Dio, fatte e rivelate da Gesù. “Mettere un bambino al centro del gruppo” richiama non solo il rispetto e l’attenzione a chi non riceve riconoscimento, ma, passando attraverso il ritorno all'infanzia, ricorda l'atteggiamento di umiltà, di povertà e obbedienza fiduciosa. Diventare come bambini è il richiamo a ciò che è scarsamente considerato nel Medio Oriente (la parola “paidion” 4x). Il bambino è segno della fede e dell'accoglienza, non tanto dell'innocenza. È segno di fiducia nel suo appoggiarsi al Padre, del suo essere piccolo e ultimo (in greco uno dei verbi che identifica queste realtà riflette il nostro aggettivo "tapino", cioè umiliazione e debolezza). Il testo continua, ma non designa più solo il bambino, bensì “i piccoli, che credono in me” (“Chi invece scandalizzerà uno solo di questi piccoli che credono in me”: v 6), cioè i credenti in Cristo che hanno bisogno di particolare cura, semplici, fragili, non attrezzati intellettualmente, per cui basta pochissimo perché si disorientino. Bastano piccoli ostacoli perché si scandalizzino. Scandalizzare dei piccoli è un fatto molto grave perché impedisce loro di perseverare nel legame con Gesù (v 6); e la sorte di chi affoga in mare viene ritenuta preferibile a quella di chi scandalizza. La realtà storica riproporrà continuamente questi inciampi e questi scandali che disorienteranno i piccoli e i poveri, ma "guai all'uomo per conto del quale viene lo scandalo" (v 7). Le ultime battute sono sullo scandalo che ciascuno può provocare a se stesso, perché si mette nell’occasione di essere tentato e di cadere nel male che lui stesso si è procurato. Le conclusioni di questo testo ci allargano gli orizzonti portandoci di fronte, con sorpresa, alla corte celeste. E qui Matteo osa, superando la teologia ebraica, affermare che gli angeli vedono la faccia del Padre, quali protettori e accompagnatori fedeli di questi piccoli e di questi poveri. Ultimamente questi testi sono stati ricordati spesso dal Papa in relazione al peccato della pedofilia, causato anche da alcuni membri della Chiesa e di fronte ai quali non si è stati capaci di reagire con tempestività e giustizia. Questi tre testi ci richiamano la responsabilità della coerenza palese da parte di tutti, preoccupati di sostenere e salvaguardare i deboli e i bambini. |