
Quarta domenica di Pasqua
25/04/2010
Giovanni 15, 9-17
Riferimenti : Atti degli Apostoli 21, 8b-14 - Salmo 15 -
Filippesi 1, 8-14
| Il Signore è mia parte di eredità e mio
calice: nelle tue mani è la mia vita. Per me la sorte è caduta
su luoghi deliziosi:la mia eredità è stupenda. Benedico il
Signore che mi ha dato consiglio; anche di notte il mio animo mi
istruisce. Io pongo sempre davanti a me il Signore, sta alla mia
destra, non potrò vacillare. Per questo gioisce il mio cuore ed
esulta la mia anima; anche il mio corpo riposa al sicuro. Mi
indicherai il sentiero della vita, gioia piena alla tua
presenza, dolcezza senza fine alla tua destra |
Atti degli Apostoli 21,
8b-14
In quei giorni. Entrati nella casa di
Filippo l’evangelista, che era uno dei Sette, restammo presso di
lui. Egli aveva quattro figlie nubili, che avevano il dono della
profezia. Eravamo qui da alcuni giorni, quando scese dalla
Giudea un profeta di nome Àgabo. Egli venne da noi e, presa la
cintura di Paolo, si legò i piedi e le mani e disse: «Questo
dice lo Spirito Santo: l’uomo al quale appartiene questa
cintura, i Giudei a Gerusalemme lo legheranno così e lo
consegneranno nelle mani dei pagani». All’udire queste cose, noi
e quelli del luogo pregavamo Paolo di non salire a Gerusalemme.
Allora Paolo rispose: «Perché fate così, continuando a piangere
e a spezzarmi il cuore? Io sono pronto non soltanto a essere
legato, ma anche a morire a Gerusalemme per il nome del Signore
Gesù». E poiché non si lasciava persuadére, smettemmo di
insistere dicendo: «Sia fatta la volontà del Signore!».
Gli Atti degli Apostoli sono molto attenti al racconto del
ritorno di Paolo dalla terra missionaria. Qui, praticamente, ci
troviamo all’ultima tappa: a Cesarea, prima di entrare a
Gerusalemme. L’ambiente accogliente della casa di “Filippo
evangelista” e le sue quattro figlie “con il dono della
profezia” riempivano la giornata con l’approfondimento della
fede. Àgabo un profeta, ripetendo i gesti simbolici dei profeti
antichi che illuminavano il futuro con segni particolari, ripeté
la profezia sull’arresto di Paolo a Gerusalemme utilizzando la
cintura di Paolo come un legame di carcere. Anche a Tiro (21,4)
alcuni discepoli previdero la stessa cosa. Paolo si mostrò
comprensivo per le loro preoccupazioni, ma irremovibile
sull’itinerario del suo viaggio. “Sono pronto ad essere legato e
morire a Gerusalemme per il nome del Signore Gesù”. E in questa
consapevolezza di scelte, si risente la determinazione di Gesù
che comunicava verso il Padre. Paolo insistette poiché ormai
aveva affinato la sua sensibilità e la sua vocazione. Ormai ha
maturato con coscienza che la sua vita ha una vocazione sola:
quella dell’apostolo e quindi ha il compito di maturare una
evangelizzazione nel mondo ed una adesione piena alla volontà di
Dio. E’ questo ciò che attorno a Lui si percepiva: piena
comprensione di Paolo e fiducia nel “fare la volontà del
Signore”. Paolo ritiene che la vera evangelizzazione si dovesse
sviluppare nella conoscenza della volontà di Dio, nel mettere a
disposizione le proprie energie e nel camminare con fiducia. Poi
Paolo saprà difendersi con intelligenza, ma nel frattempo non
fugge. Il Signore chiede a noi la stessa determinazione e
fiducia : Egli ci accompagna nel nostro tempo e lo ricrea come
tempo di pace tra gli uomini e le donne.
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Filippesi 1, 8-14
Fratelli, Dio mi è testimone del vivo
desiderio che nutro per tutti voi nell’amore di Cristo Gesù. E
perciò prego che la vostra carità cresca sempre più in
conoscenza e in pieno discernimento, perché possiate distinguere
ciò che è meglio ed essere integri e irreprensibili per il
giorno di Cristo, ricolmi di quel frutto di giustizia che si
ottiene per mezzo di Gesù Cristo, a gloria e lode di Dio.
Desidero che sappiate, fratelli, come le mie vicende si siano
volte piuttosto per il progresso del Vangelo, al punto che, in
tutto il palazzo del pretorio e dovunque, si sa che io sono
prigioniero per Cristo. In tal modo la maggior parte dei
fratelli nel Signore, incoraggiati dalle mie catene, ancor più
ardiscono annunciare senza timore la Parola.
Filippesi 1,8-14
Filippi è stata la prima città europea evangelizzata da
Paolo. Egli giunse, su indicazioni pressanti, attorno agli anni
50, durante il secondo viaggio. Si trovò bene in questa
comunità, pur soffrendo contestazioni e rifiuti da parte di
alcuni, e con questa comunità mantenne rapporti schietti e
familiari. Questa lettera fu scritta, probabilmente, nel periodo
61-63 d.C. durante la prigionia a Roma. L’affetto di Paolo si
manifesta, prima di tutto, nel ricordo e nella preghiera.
L’atteggiamento dell’apostolo è di riconoscenza e di
ringraziamento. Ciò che chiede al Signore, e lo manifesta nella
lettera, è la maturazione della carità che già i Filippesi
vivono, ma che ha comunque bisogno sempre, di crescere in
conoscenza e pieno discernimento. La Carità, in tal modo, aiuta
a “distinguere ciò che è meglio” ed essere integri e
irreprensibili per il giorno del Signore quando apparirà la
potenza di Gesù e si manifesterà “il frutto della giustizia”
(10,11). Paolo tiene a dare notizie personali che fanno
riferimento alla sua prigionia e ne parla con gioia poiché sono
notizie di evangelizzazione. Nel pretorio e nel mondo
giudiziario romano tutti conoscono la fede di Paolo ed anche
altri, prendendo coraggio da Paolo stesso, “ardiscono annunciare
senza timore la Parola” (13-14). Paolo racconta le sue disgrazie
con riconoscenza, poiché vi vede una traccia segnata dalla
Provvidenza per aprire i cuori all’annuncio di Gesù. E in tal
modo Paolo sa che sta educando la Comunità di Filippi a saper
vedere la storia come occasione di sapienza e progetti nuovi. In
questa luce, pur con tutti i disagi, anche le accuse, i processi
sbagliati, le fatiche, le detenzioni vissute da innocente,
ritrovano una squarcio di giustizia,un’occasione di novità, una
possibilità di scoperta di Dio. Paolo ne parla per la sua vita,
ma invita gli amici credenti a rilegger così i fatti della
propria storia: occasione per la gloria di Dio che si manifesta
nella propria |
Giovanni 15, 9-17
In
quel tempo. Il Signore Gesù disse ai discepoli: «Come il Padre ha amato me,
anche io ho amato voi. Rimanete nel mio amore. Se osserverete i miei
comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del
Padre mio e rimango nel suo amore. Vi ho detto queste cose perché la mia gioia
sia in voi e la vostra gioia sia piena. Questo è il mio comandamento: che vi
amiate gli uni gli altri come io ho amato voi. Nessuno ha un amore più grande di
questo: dare la sua vita per i propri amici. Voi siete miei amici, se fate ciò
che io vi comando. Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa
il suo padrone; ma vi ho chiamato amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre
mio l’ho fatto conoscere a voi. Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e
vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga;
perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda. Questo
vi comando: che vi amiate gli uni gli altri».
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| Attuale entrata alla Sala superiore del S. Cenacolo |
Il testo è tratto dai discorsi dell'ultima cena, che Giovanni lungamente
riporta. L'inizio di questa parte è costituita dal racconto della lavanda dei
piedi. Tutta la rivelazione di Gesù dà per scontato che i discepoli gli sono
affezionati e che lo riconoscono come maestro. Ma qui Giovanni si preoccupa di
far maturare la conoscenza di Gesù - che è profondamente legato al Padre
(14,1-13): "Io sono la via al Padre, Io sono nel Padre e il Padre è in me; - che
è colui che prega il Padre perché mandi lo Spirito (14,15-26); - che è la vite
che porta frutto ed esprime così il suo essere sottomesso al Padre ed essenziale
vincolo con i discepoli. A questo punto (e siamo al testo di oggi), Gesù
richiama i rapporti fondamentali che Egli ha con i discepoli e che essi
intravedono nel sentirsi legati a Lui. Con queste esplicite garanzie Gesù
sviluppa il senso della piccola comunità che si è formata e continuerà a
formarsi. Ma ci sono alcune condizioni che giocano sulla libertà di ciascuno e
che vanno oltre i sentimenti. La stima, l'attaccamento, l'affetto non bastano.
Gesù Sta dicendo che, tra poco, nonostante queste adesioni a Lui, si
disperderanno nella paura e nel disorientamento. Bisognerà ricordare, comunque,
anche nei momenti della sconfitta: "Rimanete nel mio amore" (15,9) “Se
osserverete i miei comandamenti rimarrete nel mio amore” (15,10) "Il
comandamento è: amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi" (15,12) "Voi
siete amici e non servi" (15,15) "Voi site stati scelti da me" (15,16) "Vostra
vocazione è portare un frutto che rimanga" (15,16) " Se chiederete nel mio nome,
la vostra preghiera al padre sarà potente" (15,16) Il termine di tutto, e come
riassunto di questo percorso in cui Gesù svela i suoi rapporti col Padre e i
discepoli, è: "amatevi gli uni gli altri" (15,17). La coesione e la fedeltà a
Gesù passano attraverso un amore fraterno. E Gesù offre i parametri
fondamentali: "Amatevi come io vi ho amato" e " Amore grande è dare la vita".
Questa misura ci disorienta e non ci lascia scampo. Non ci toglie le forze, ma
ci fa intravedere la lontananza. Non ci giudica prima, ma ci dà in mano elementi
di confronto, che valgono prima di tutto per noi. In fondo, questo mondo è
sempre a rischio di frana. La compattezza si costruisce via via insieme,
cominciando a voler bene in orizzonti sempre meno selezionati.
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